4 novembre 2008
E’ finalmente arrivato il momento! Ed è stato così difficile non mettersi in fila per votare! La scuola dei miei figli ospita un seggio elettorale, e la tentazione di aggiungersi alla fila degli elettori per poter votare -una volta nella vita!- per una persona in cui si crede davvero è stata fortissima. Ma non sono cittadina americana, e quindi ho solo potuto sorridere agli elettori in fila -probabilmente tutti sostenitori di Obama! Washington è una città solidamente democratica, e nel nostro quartiere (solid middle-class, a maggioranza bianco ma con molti altri colori) c’è un unico, solitario cartello McCain-Palin. La vera sfida è in Virginia, qui a fianco, e nelle ultime settimane migliaia di volontari hanno invaso lo stato “to get out the vote”, per convincere gli indecisi, o anche solo i pigri...
Per fare la mia (piccolissima) parte nella organizzatissima macchina elettorale di Obama sono andata un sabato a bussare porta a porta. Appuntamento a Washington, dove volontari accoppiavano e smistavano altri volontari. Così io e Kim, simpatica donna nera sulla cinquantina, con un indirizzo di una cittadina in Virginia in mano, siamo finite in una casa dove altri volontari ci hanno mandato a bussare a un selezionato numero di porte, con il compito di parlare specificatamente con James, o Kristine, che secondo i dati che ci erano stati dati non avevano mai votato, o solo poche volte, e quindi potenzialmente sostenitori di Obama in un quartiere solidamente repubblicano. Eravamo una strana coppia, messa insieme dal caso e dal profondo convincimento che questa elezione non è come le altre, e ci siamo divertite e sentite almeno un po’ utili.
Anche solo per questo, per quel breve momento in cui milioni di americani si sono trovati a lavorare per eleggere the skinny kid with a funny name (il magrolino dal nome strano, come si è definito) superando pregiudizi e barriere, questa elezione rimarrà nella storia. Un’altra sera sono andata in una casa del vicinato dove abbiamo guardato il lungo spot elettorale di Obama e telefonato in Virginia (anche qui, scientificamente) - l’invito ad andare era online, sulla pagina web degli eventi della campagna di Obama a Washington... E ora sto tornando in Virginia, per un ultimo sforzo, per accompagnare ai seggi chi ne ha bisogno, per fare qualcosa affinché domani non si debba cominciare la giornata con un “se”...
La campagna di Obama è stata anche questo: una rete organizzativa impressionante, basata molto su internet e email, ma che ha connesso migliaia di persone, di colori e provenienza diversissimi, in un modo mai visto, anche in un paese così socialmente attivo (rispetto al volontariato) come questo. Una delle differenza fondamentali tra queste elezioni e quelle che ho vissuto in Italia ad aprile (anche quelle molto importanti!) è che in Italia il porta a porta era solo quello del salotto televisivo. Qui il porta a porta è anche quello vero, e la campagna di Obama ha incessantemente chiesto il sostegno non solo finanziario ma anche di presenza per tutta la campagna elettorale.
Non posso parlare per tutta l’Italia, ma a Bolzano, se anche avessi voluto fare qualcosa per la campagna elettorale non avrei saputo da dove cominciare. Certo ci saranno state delle possibilità. Ma qui, senza contatti, sono andata online, ho inserito il mio nome e il Cap, e due minuti dopo avevo sullo schermo del computer una lista di opportunità, di indirizzi, di nomi. E per non rischiare di far affievolire il mio entusiasmo, la campagna di Obama mi ha chiamato un sacco di volte chiedendomi cosa potessi fare!
Una campagna pratica, focalizzata sulle questioni importanti, meno sulle ideologie. Se festeggeremo la vittoria di Obama anche in italia come storica, forse dovremmo anche imparare qualcosa. Tornare al porta a porta reale, magari, lasciando meno spazio a quello televisivo. Puntando sul cambiamento che viene dall’agire diversamente, non dall’identificare, ideologicamente, tutto e tutti a destra o a sinistra.
Questa campagna elettorale, ad esempio, avrebbe potuto essere una lunga e dolorosa seduta di psicoanalisi collettiva sul razzismo. Ma Obama non si è fatto mettere in un angolo. Ha fatto un discorso (bellissimo) sul razzismo, ma per il resto ha sempre detto che ci saranno elettori che non voteranno per lui perché è nero, e questa è una realtà con cui fare i conti. Il suo obiettivo era raggiungere quelli che erano dubbiosi per via delle sue idee, della sua piatta ...[continua]

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