L’opinione pubblica da qualche tempo non invoca più la presenza dei cosiddetti tecnici nei governi: anche l’ultima volta che lo ha fatto, dopo il marasma di Tangentopoli, ha finito per rimanerne delusa.
La richiesta di sostituire i politici con i tecnici nasce dalla convinzione che il fare politica non richieda una competenza specifica e che anzi la professionalità politica finisca per essere una aggiunta alla competenza tecnica, inutile e a volte dannosa.
Tutti sanno che per esercitare una qualsiasi professione occorre una preparazione specifica e che per riuscirvi in modo eccellente occorrono anche una predisposizione e un impegno costante e generoso. Per questo nessuno si sognerebbe, se deluso da alcuni medici, di rivolgersi ad ingegneri o a commercialisti per essere curato, o se scottato dai costi di un elettricista, di rivolgersi a un idraulico o a un falegname. Per la politica non è così. Per anni abbiamo visto magistrati e giornalisti, imprenditori e docenti universitari, militari e gente di spettacolo, affacciarsi alla politica in nome della loro estraneità alla politica stessa. Non vorrei essere frainteso: tutti possono fare politica e tutti possono riuscirvi bene e dare un buon contributo alla vita di una nazione. Ma come un geologo o un fisico, per giocare a calcio, per suonare il pianoforte o per fare il genitore, cerca di esercitarsi nella nuova attività, apprendendo nuove nozioni, senza basarsi sulle competenze della propria professione, così chi vuol far politica deve almeno conoscere lo specifico dell’attività che intende praticare. E preciso che non sto parlando di chi agisce politicamente, cosa che ognuno fa mille volte al giorno; ma di chi fa politica cercando consensi per esercitare un potere (o un servizio). Quello che si dice: un politico. Spesso si pensa che lo specifico che deve avere chi fa politica sia l’insieme di qualità che ognuno auspica al riguardo: onestà e disinteresse personale, intelligenza e competenza, altruismo, e così via. Oppure che lo specifico sia la preparazione in storia come in geografia, in diritto come in economia, ecc. ecc. Tutte belle cose che non hanno però a che fare con lo specifico. Invece, come al medico si chiede come requisito essenziale e insostituibile l’assoluta affidabilità (ne va della vita) e al magistrato la libertà di giudizio (al riparo da interessi, condizionamenti, opinioni altrui), così al politico si chiede di saper soppesare il consenso.
La specificità del politico si articola attorno al tema del consenso. Un buon politico riesce ad ottenere consenso anche attorno ad una politica di sacrifici; un pessimo politico allontana il consenso anche quando suggerisce ricette facili e tecnicamente adeguate.
Il politico è una persona che sa ascoltare e comprendere l’altro al punto da intuire su che cosa e attraverso quale percorso egli esprimerà un consenso o un dissenso.
Non si confonda la capacità di leggere il consenso altrui con la ambiguità di chi ricerca il consenso a ogni costo e insegue l’elettorato dove esso vuole andare.
Il politico capace non liscia necessariamente il pelo all’interlocutore; può anche contrastarlo, provocarlo, ma deve saperne prevedere il consenso e il dissenso. Perché dire una cosa senza immaginare che effetto ciò produce nell’interlocutore è impolitico. Ed essendo il politico un uomo pubblico può ingenerare gravi guasti gratuitamente. Chiamare bamboccioni i trentenni non autonomi o dire che pagare le tasse è magnifico sono gratuite provocazioni, che producono effetti opposti a quelli desiderati. In questo senso Prodi e il suo ministro per l’economia non erano buoni politici: dicevano cose serie e a volte difficili o provocanti con espressioni del viso che dimostravano la loro incapacità a intuire gli effetti spesso devastanti del proprio dire.
Diverso il discorso per Bossi o per Calderoli che dicono cose “orrende”, ma che provocano e allontanano ancor di più solo elettori che mai darebbero a loro il proprio voto. E invece si rendono paladini di una parte di elettori che la pensano come loro. Sono “oscenità” volute e studiate, l’opposto dell’antipolitica, al di là del giudizio di merito che non intendo esprimere.
Capire come reagiscono gli interlocutori in modo da condizionarne il consenso o il dissenso è l’abilità esenziale del politico.
Vi sono tanti modi di esprimere uno stesso concetto, mantenendo lealtà e sincerità verso se stessi e verso l’interlocutore. Un genitore nell’educare un figlio, un p ...[continua]

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