LEGGERE CHIAROMONTE

Il 25 maggio si è tenuta a Forlì una giornata di studi su Nicola Chiaromonte, nel trentennale della morte, dal titolo “Cosa rimane”. Hanno partecipato: Pietro Adamo, storico delle idee politiche; Irena Grudzinska, della Fondazione Ford, già esule polacca e amica di Chiaromonte; Wojciech Karpinski, del Cnrs di Parigi, a cui si deve la pubblicazione in Polonia di tanti scritti di Chiaromonte; Gregory Sumner, dell’Università di Detroit, autore di un saggio, non tradotto in Italia, sul gruppo di Politics in cui militavano Dwight Macdonald, Mary McCarthy, Hannah Arendt e Nicola Chiaromonte; e poi Gino Bianco ed Enzo Golino, già redattori di Tempo Presente e amici di Nicola Chiaromonte; Ugo Berti, della casa editrice il Mulino, che ha pubblicato Chiaromonte in Italia, e Marino Sinibaldi. Pubblichiamo qui gli interventi di Wojciech Karpinski e Irena Grudzinska. In seguito pubblicheremo gli atti e altri contributi in un apposito quaderno.

Nell’autunno del 1972 a Varsavia, dopo il ritorno dal primo viaggio in Italia, scrissi un saggio su Nicola Chiaromonte. Che cosa mi aveva incuriosito nel suo atteggiamento? Mi era sembrato diverso dalla maggior parte degli autori interessati alla problematica dei diritti e dei doveri dell’individuo nei confronti della collettività da me conosciuti. Intravidi nel suo modo di pensare qualcosa al contempo personale e antidogmatico. L’incontro con i suoi testi si accompagnava alla voglia della conversazione, come se parlasse proprio a me, di cose importanti e di solito sottaciute. All’epoca non sapevo quanto avessi colto nel segno: il mio conoscere Chiaromonte, la scoperta della sua opera dura ormai da trent’anni; la conversazione con lui non è finita, siamo ancora lontani da una conclusione. Vorrei raccontare il mio conoscere Chiaromonte; cosa avevo letto allora, nel 1972, a Roma e a Varsavia, come ero capitato tra le sue parole, perché la conversazione sia durata nel tempo e come sia proseguita.
Il saggio su Chiaromonte del 1972, l’anno della sua morte, presentava il profilo dell’umanista sovrano, che non si lascia ingabbiare nella definizione di “pensatore politico”, perché è interessato all’uomo nella sua pienezza; un pensatore che non si lascia racchiudere in schemi ideologici, ma per il quale i legami dell’individuo con la polis rappresentano il soggetto costante della riflessione. Chiaromonte mi interessava in quanto autore del Credere e non credere, così si intitolava in italiano il volume delle sue riflessioni sull’individuo impigliato nella tempesta della storia. Io preferisco tuttavia il titolo dell’edizione inglese The paradox of history. In questo volume, l’unico pubblicato oltre La situazione drammatica, raccolta di recensioni ed articoli teatrali, l’autore non si rivela del tutto, ci parla come per interposta persona, attraverso l’analisi delle situazioni morali, politiche, esistenziali che appaiono sulle pagine di Stendhal (Fabrizio Del Dongo a Waterloo), Tolstoj (Il principe Andrej e il principe Bagration ad Austerlitz), Roger Martin du Gard (Antoine e Jacques Thibault), Malraux (La condizione umana), Pasternak (Il dottor Zivago). Ma mi interessava soprattutto il Chiaromonte, le sue scelte, le sue riflessioni. Apprezzavo la distanza che metteva tra il trambusto della modernità, disputa odierna, il linguaggio di oggi sottoposto all’atrofia ideologica e il proprio pensiero. Volevo, tuttavia, ascoltare le sue esperienze personali.
Notai una visione più soggettiva di Chiaromonte nelle pagine del saggio “Sul fascismo”. Questo testo mi sorprese per la sua perspicacia intellettuale. Scritto prima della guerra, dall’esiliato antifascista a Parigi, parla della concreta situazione politica della metà degli anni Trenta: queste riflessioni mi diventarono utili per la comprensione della situazione polacca negli anni Settanta -e ancora oggi, nei primi anni del XXI secolo, i ragionamenti del giovane italiano di settant’anni fa rimangono vivi e illuminanti. In questo testo si fa strada l’abilità di Chiaromonte, capace di afferrare la realtà sotto le maschere di attuali o anacronistici costumi. Descrive la nascita della coscienza antifascista, la propria coscienza. Al principio, confessa, si trattava di un semplice riflesso morale, reazione della coscienza, nella quale l’elemento politico si limitava alla convinzione che di fronte a certi fenomeni si può essere solo contro. A questi fenomeni appartiene l’uso ideologico della forza. In questo test ...[continua]

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