Bertolt Brecht, 1938
Caro Generale,
Lei mi ha scritto recentemente che “in considerazione del prolungato stato di guerra in cui ci troviamo... e delle conseguenti esigenze operative, sono chiamato a ‘compiti operativi’ nei settori di Horon”. Vi scrivo per farvi sapere che non ho alcuna intenzione di rispondere a tale convocazione.
Negli anni Ottanta, Ariel Sharon ha eretto decine di colonie nel cuore dei Territori occupati, un’azione il cui fine ultimo era la totale repressione ed espropriazione del popolo palestinese. Oggi queste colonie controllano quasi la metà dell’area, soffocando l’espansione delle città e dei villaggi palestinesi e impedendo la circolazione dei loro abitanti. In questo nuovo secolo, Sharon -ora primo ministro- sta preparando le fasi finali di quel progetto. Ha dettato gli ordini operativi al suo scriba, il ministro della Difesa, e da lì sono stati trasmessi lungo la catena di comando.
Il Capo di Stato Maggiore ha dichiarato che i palestinesi sono una minaccia cancerosa e ha dato quindi istruzioni per applicare la chemioterapia contro di loro. Il capo del comando centrale ha dato istruzioni per imporre un coprifuoco di durata illimitata. Il comandante della brigata ha posizionato i carri armati sulle colline e tra le case e ha vietato alle ambulanze palestinesi di evacuare i feriti. Il comandante del battaglione ha annunciato che le regole d’ingaggio avrebbero d’ora in poi recitato: “L’ordine è: aprire il fuoco!”. Il comandante del carro armato ha osservato alcune persone che risiedevano in modo sospetto nelle loro case e ha ordinato all’artigliere di esplodere un colpo.
Sono l’artigliere. Sono l’ultimo piccolo ingranaggio di questa sofisticata macchina da guerra. Sono l’ultimo e meno importante anello della catena di comando. Dovrei solo obbedire agli ordini. Ridurmi allo stimolo e alla risposta. Sentire il comando “Fuoco!” e premere il grilletto. Per portare a compimento il piano. E fare tutto questo con la naturale semplicità di un robot che non percepisce nulla al di là dello tremolio del carro armato mentre la granata viene espulsa dalla cannone e vola verso il suo obiettivo.
Ma come scrisse ancora Brecht: Generale, l’uomo fa di tutto. Può volare e può uccidere. Ma ha un difetto: può pensare.
E così, mio generale, chiunque tu sia, comandante di battaglione, capo di stato maggiore, ministro, primo ministro -uno o tutti- sono capace di pensare. Forse non posso fare molto di più. Devo confessare che come soldato non sono particolarmente dotato o coraggioso. Non sono un buon tiratore. Le mie capacità tecniche sono minime. Non sono nemmeno un grande sportivo e non riesco nemmeno a farmi andare bene l’uniforme. Ma pensare è una cosa che mi riesce bene.
Riesco a capire dove mi stai portando. Capisco che dovremo uccidere e schiacciare, ferire e morire, e non finirà mai. So che “l’esteso stato di guerra in cui ci troviamo” si prolungherà all’infinito. Posso dedurre che i “requisiti operativi risultanti” ci impongono di cacciare e affamare un’intera nazione, qualcosa in questi “requisiti” è andato storto. Pertanto devo rifiutare la vostra convocazione in servizio. Non verrò a premere il grilletto per conto vostro.
Naturalmente non mi faccio illusioni. Per lei sono un moscerino ronzante che lei cercherà di schiacciare prima di andare avanti. Troverete un altro artigliere, più obbediente e dotato di me. Non c’è carenza. Il vostro carro armato continuerà a rombare. Un solo moscerino non può fermare un carro armato, certamente non una colonna di carri armati, certamente non l’intera marcia della follia. Ma il moscerino può ronzare, irritare, infuriare, a volte anche pungere. Alla fine, sempre più artiglieri, piloti e comandanti, che vedranno sempre più uccisioni senza scopo, inizieranno a pensare e a ronzare. Siamo già molte centinaia. Alla fine il nostro ronzio si trasformerà in un grido assordante che riecheggerà nelle vostre orecchie e in quelle dei vostri figli, e sulle pagine della storia per molte generazioni.
Perciò, mio generale, prima di cacciarmi, forse anche voi dovreste riflettere un po’.
Cordiali saluti,
Yigal Bronner