Cari amici, si avvicina la fine dell’anno. Fa freddo ed è buio. Il cielo è appesantito da una coltre di nuvole e dalla luna dietro di esse; dai tetti delle case baluginano tiepide luci. Dentro al pub del quartiere, là dove è contenuto tutto il calore disponibile, c’è un ragazzo, Moyses, che indossa un completo gessato; non perché lavori nella finanza alla City di Londra, ma perché si occupa di onoranze funebri. Mi dice di essere un testimone della morte. Certo il suo impiego gli dà un certo punto di vista sui vivi, perché comprende la fragilità della vita. È una presenza silenziosa che supervisiona il passaggio dei vivi dal presente al passato. Con occhio esperto nota come il colore della pelle, indipendentemente dalle origini etniche del cadavere, va modificandosi con il processo di decomposizione, un processo che comincia molto rapidamente non appena i batteri del corpo umano cominciano il proprio lavoro, e come ne scaturisca un fiorire di nuovi colori, il viola, il giallo, il verde. Pulisce e prepara ogni cadavere che viene affidato alle sue cure con tenerezza, che sia di un neonato, di un giovane o di un anziano, persone provenienti da ogni fascia sociale, perché sotto le sue mani capita chiunque. È un momento di immensa vulnerabilità e di eguaglianza sia per i deceduti sia per le loro famiglie, e questo, nel suo lavoro, è noto come “momento della preparazione”.
Certo lavorare in una camera mortuaria non è cosa da tutti. È un luogo tranquillo, sacro, dice Moyses, che avverte un profondo senso di cura; si inchina con rispetto davanti a ogni corpo quando gli arriva da un ospedale, da una casa di cura o da una casa privata. Dopo che il deceduto è stato preparato affinché la famiglia lo possa vedere, e quando sulla bara viene posto il coperchio, il personale dei servizi funebri legge una benedizione e osserva un minuto di silenzio. Tutto questo avviene lontano dagli occhi del pubblico. Sono commossa da tanta cura. Non è un’esibizione per i parenti, ma un rito che si svolge al di fuori della scena del funerale. È un momento per il morto e lui soltanto. Ciascuno è trattato con dignità.  Non posso dire che questo avvenga sempre da parte di coloro che sono più distanti dal processo del morire e del diventare morti. Per esempio, dai nostri leader politici.
L’inverno è una stagione impegnativa per Moyses, anche solo perché le persone muoiono più nei mesi invernali che in quelli estivi, per quanto questa tendenza stia cominciando a cambiare. D’estate, le temperature sempre più alte comportano un aumento del tasso di mortalità nei giorni di calura più intensa e in quelli successivi. I dati forniti dall’Office of National Statistics rivelano che quando le temperature salgono oltre i 22 gradi, altrettanto fa il tasso di mortalità. Le cose vanno peggio per chi vive a Londra. Una temperatura di oltre 29 gradi produce un incremento significativo della mortalità, tre volte superiore rispetto a chi vive in città in periodi di clima ottimale. Ricordiamo che stiamo vivendo una crisi climatica che ci porterà a un incremento di tre gradi, questo a meno che non riduciamo le emissioni del 43%, secondo quanto annunciato dalle Nazioni Unite prima del Cop28. Voglio credere che riusciremo a raggiungere questo obbiettivo, ma temo che in futuro Moyses avrà più lavoro d’estate che d’inverno -e prego che gli rimarrà il tempo necessario per continuare a trattare i defunti con la dignità che tutti meritiamo.
Questa mia analisi si concentra sul Regno Unito, ma leggendo l’ultima edizione della rivista più importante della medicina inglese, “The Lancet”, ci si rende conto di quanto l’impatto della crisi climatica sull’umanità lasci ormai davvero senza parole. Sono milioni le persone che rischiano di morire a causa del caldo. I decessi legati al caldo negli over 65 sono aumentati dell’85% dagli anni Novanta, raddoppiando il tasso atteso se le temperature non fossero cambiate. I dati relativi a tutte queste vite falcidiate prima del tempo sono impressionanti, ma non producono alcuna eco. Mettiamo pure da parte il rischio posto alla nostra esistenza. Ricordiamoci però che il tasso di mortalità rimane ancora alto, pur essendosi conclusa la pandemia. Nel 2022 abbiamo registrato il peggior dato relativo alla mortalità in eccesso degli ultimi cinquant’anni: quell’anno nel Regno Unito sono stati registrati oltre 650.000 decessi, il 9% in più del 2019. Le morti da Covid-19 sono solo uno dei fattori che compongono questo valore, e non sp ...[continua]

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