Il 24 febbraio 2022, Kiev sarebbe dovuta cadere in quarantotto ore. Un anno dopo, la bandiera ucraina sventola su Kherson. Da un anno a questa parte, gli ucraini ci stanno dando una straordinaria lezione di coraggio. Nelle trincee di Bakhmut e nelle strade di Kherson, nelle cantine di Kharkiv e nei rifugi di Kiev si sta scrivendo la storia.
L’Ucraina è oggi il cuore pulsante dell’Europa; incarna la libertà dei popoli di fronte a un’aggressione imperialista; questo paese difende la democrazia, non solo per se stesso, ma per tutti noi, per l’intero continente europeo. Per questo dobbiamo sostenerlo con tutte le nostre forze e aumentare gli aiuti europei.
Chi teme l’“escalation”, quando si tratta solo di respingere un’aggressione, non vede che qualsiasi arretramento di fronte a Putin non farebbe altro che spingere il nostro continente in una spirale di insicurezza e violenza. Putin non ha fatto mistero delle sue idee e dei suoi piani: è in guerra con la democrazia europea, nella quale non vede altro che decadenza e contro la quale vuole affermare, nel disprezzo di ogni diritto, la potenza dell’impero russo.
La dinamica imperialista messa in moto dal 1999 dal regime di Putin, sostenuto da un capitalismo mafioso e oligarchico, si interromperà solo se la Russia perderà in Ucraina. Mentre la guerra torna a infuriare ai nostri confini, mentre è in gioco la sicurezza di tutta l’Europa, non sono ammesse colpevoli codardie e ambiguità.
La questione è semplice: dobbiamo fornire agli ucraini i mezzi per difendersi o premiare l’aggressore russo lasciandogli distruggere il diritto internazionale e commettere impunemente i suoi crimini contro l’umanità? Coloro che chiedono la fine della fornitura di armi all’Ucraina non sono “pacifisti”: non vogliono la pace, ma il consenso alla sconfitta; consegnandoli agli aggressori, autorizzano il sacrificio degli ucraini. Sperano di ottenere la pace cedendo a coloro che iniziano le guerre. È una vecchia illusione che ci è costata cara molte volte nel corso della storia. La vittoria del fascismo non è la “pace”, ma la preparazione di altre guerre.

La sicurezza del continente europeo
Lo pseudo “pacifismo” di una parte della classe politica francese ed europea -anche di sinistra- che rifiuta la fornitura di armi all’Ucraina contribuisce all’oppressione e all’annientamento di un popolo la cui unica colpa è di aver voluto vivere libero. I Paesi europei non solo hanno ragione a fornire armi all’Ucraina, ma devono intensificare i loro sforzi.
Se vogliamo davvero vivere in pace, dobbiamo essere solidali con gli ucraini nella loro lotta contro un regime che fa dei civili i suoi bersagli preferiti, come già successo in Cecenia e in Siria. Agli ucraini devono essere fornite tutte le armi necessarie per far rientrare l’esercito russo nei suoi confini. Ogni ritardo, ogni dilazione non fa che prolungare l’aggressione.
Questa guerra sarà decisiva per la sicurezza del continente europeo per i decenni a venire. Deciderà anche il senso della democrazia europea e la sua capacità di privilegiare la solidarietà a politiche di profitto miopi, che sacrificano al contempo la giustizia sociale, l’emergenza ecologica e l’autonomia strategica delle nostre città.
Una parte della sinistra non capisce che ci può essere una risposta di sinistra alla guerra: basata sulla solidarietà con il popolo ucraino in lotta, ma anche sulla semplice idea che i più ricchi dovrebbero contribuire maggiormente allo sforzo comune, sul fatto che la tassazione dei profitti di guerra è sempre stata un’occasione, nel corso della storia, per ristabilire il primato dell’interesse generale sugli interessi particolari, e del potere pubblico sui poteri privati. Lo stato di guerra ci impone di non separare più la politica dall’economia.

Estendere le sanzioni
Dobbiamo colmare le lacune nelle sanzioni contro la Federazione Russa; estendere le sanzioni individuali e confiscare i beni russi che finora sono stati semplicemente congelati; creare urgentemente un registro di tutti i beni finanziari e non finanziari detenuti nei paradisi fiscali, a partire da quelli europei, particolarmente amati dagli oligarchi russi, e congelare i beni russi oltre un certo livello di ricchezza, per indebolire i soggetti che più beneficiano del regime di Putin; estendere le sanzioni agli Stati o alle entità che aiutano il regime russo ad annettere i territori ucraini occupati e ad aggirare le sanzioni esistenti.
Dobbiamo dichiarare apertamente l’obiettivo strategico dell’Unione europea: la vittoria dell’Ucraina all’interno delle sue frontiere. I discorsi ambigui, che inducono Mosca a credere che una porta sia semiaperta e che l’Europa possa accettare l’annessione dei territori ucraini occupati dalla Russia, non fanno altro che prolungare la guerra, incoraggiando la Russia a  estendere il più possibile la sua occupazione.
L’Ue deve anche essere all’altezza della solidarietà materiale dovuta ai molti Paesi del mondo che stanno subendo involontariamente le conseguenze della guerra, soprattutto in termini di approvvigionamento alimentare ed energetico.
Essere “realisti” significa fondare la propria strategia sulla realtà, non sulle illusioni che la guerra ha infranto. E la realtà, così a lungo ignorata dai nostri leader, è che siamo di fronte a uno Stato fascista che deve assolutamente perdere la guerra che ha scatenato in Ucraina.

Nessun diritto alla codardia
La guerra in Ucraina pone ciascuno di noi di fronte alla storia. Costringe la sinistra a decidere se continuare o rinnegare la lotta antifascista che è stata l’onore della sua storia. Una sinistra fedele agli insegnamenti della sua storia ricorda la guerra di Spagna e l’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia fascista, come pure l’invasione della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista. Il rifiuto di armare i repubblicani spagnoli o gli etiopi invasi da Mussolini non ha portato alla “pace”, ma a una guerra molto più devastante. L’abbandono della Cecoslovacchia nel 1938 preparò la disfatta.
Ogni rinuncia prepara i disastri di domani. Ieri, la rassegnazione delle democrazie di fronte alla barbarie di Bashar Al-Assad ha dato a Putin, che aveva già sperimentato l’impunità della sua violenza estrema in Cecenia e aveva potuto violare il diritto internazionale in Crimea, il segnale per commettere l’irreparabile in Ucraina.

Gli ucraini non si arrendono, nonostante i morti, gli stupri, i massacri. Noi non abbiamo diritto alla codardia mentre loro combattono per noi. L’unico modo per difendere la pace è sostenere gli ucraini.

L’appello, pubblicato su “Le Monde” il 24 febbraio 2023, è stato promosso da Raphael Glucksmann e Jean-Yves Pranchère e firmato da oltre novanta intellettuali francesi.