Bohdan Paczowski, intellettuale e architetto scomparso nel 2017, fu membro fondatore della Fondation de l’architecture et de l’ingénierie nel 1992. Ha progettato tra gli altri l’edificio Jean Monnet per la Commissione europea in Lussemburgo. Era amico di Nicola Chiaromonte. Il saggio che pubblichiamo è uscito in Polonia su “Zeszyty Literackie”, n. 126, estate 2014. Ringraziamo per avercelo segnalato l’amico Piotr Kloczowski, dell’Istituto di documentazione e studi sulla letteratura polacca di Varsavia.

“Vorrei che tu mi dicessi senz’altro, quando accade, se nelle mie lettere trovi oscurità e confusione e quali sono. Io so troppo bene che spesso dipano fila di pensieri i cui capi sono... nel mio capo. E se l’altro (tu specialmente) non me ne avverte, io rimango invischiato nei miei propri confusi pensieri invece di trovarmi costretto a spiegarli, cioè a metterli alla prova dell’altro”.
Questo frammento di una lettera di Chiaromonte testimonia come lui immaginasse le basi della comune ricerca di un percorso verso un pensiero libero, l’aura nella quale doveva scorrere la conversazione mai interrotta con la sua corrispondente preferita -conversazione che altrove definì una infinita conversatio. Il titolo [parla di Fra me e te la verità – Lettere a Muska, Una città, 2003] di questo straordinario scambio di pensieri e sentimenti nella comune ricerca di significato e di verità è tratto da un frammento di Mimnermo, poeta greco del VII secolo: “Tra me e te la verità, il più vero dei doni”. Nicola Chiaromonte lo cita in una delle sue lettere. Questo scambio di pensieri scorre tra il 1957 e il 1972, tra due personalità dalla vita particolare e in un periodo particolare. Il tono viene ribadito, subito dopo la citazione di Mimnermo, dalle parole di san Gregorio Teologo, formulate dopo la morte di san Basilio, nel 379: “Tu solo ci desti l’esempio di una vita eguale alle tue parole, e di parole eguali alla tua vita”.
Molti argomenti sviluppati in queste lettere, al contrario dei testi pubblicati e compiuti, sono catturati proprio nel momento in cui si sviluppano e sono qualcosa di simile a uno scambio di pensieri ad alta voce, o un laboratorio di pensiero, cosa che aggiunge spesso un’aura d’improvvisazione.
Nicola Chiaromonte, nato nel 1905, antifascista e tra i più brillanti pensatori del ventesimo secolo, corrisponde con Melanie von Nagel, più giovane di lui di tre anni, proveniente da una famiglia aristocratica tedesca da parte di padre e dalle più alte sfere newyorkesi da parte di madre, poetessa e traduttrice di Celan, Trakl, Montale, Ungaretti, Bonnefoy, capace di parlare fluentemente cinque lingue e dopo il 1957 suora nel convento Regina Laudis nel Connecticut. Questa corrispondenza cade in un periodo difficile della vita dello scrittore. Era tornato nel 1953 in Italia, dopo gli anni in fuga dalla polizia fascista che aveva passato a Parigi e sul fronte spagnolo, dove aveva combattuto con la squadra aerea repubblicana di André Malraux, poi era stato a New York e infine di nuovo a Parigi, dove aveva lavorato presso l’Unesco -eppure si sentiva in esilio nel proprio paese. Tre anni più tardi fondò, combattendo fin da subito con le difficoltà, la rivista eretica “Tempo presente”, nella quale fece il possibile per creare un luogo per un socialismo liberale e antitotalitario tra i blocchi dogmatici, di destra e sinistra, allora dominanti in Italia.
La chiusura della rivista nel 1968 tolse a Chiaromonte non soltanto la possibilità di un’espressione indipendente, ma anche una fonte di sostentamento. In verità quello stesso anno il settimanale “L’Espresso” gli propose una rubrica fissa di critica teatrale, ma la sensazione di alienazione non lo abbandonò fino alla morte, nel 1972. Fu uno shock anche la notizia che “Tempo presente”, sostenuto dal Congresso per la Libertà della Cultura, fosse finanziato dalla Cia. Minava la questione dell’indipendenza e offese Chiaromonte profondamente.
Le lettere di Melanie von Nagel e le domande in esse contenute lo distraevano dal peso della quotidianità e lo trasportavano nello spazio del pensiero che cerca risposte. In una di esse lui scrive: “Le tue lettere mi aiutano a vivere, anzi addirittura a respirare”, in un’altra: “Tu mi porti aria pura e dolce, aria gentile… mi porti quello che mi manca, ecco”, e in una lettera da Genova riconosce: “… cerco di vedere le cose con gli occhi Tuoi e di fartele vedere attraverso i miei”. Alle lettere spesso fanno compagnia testimoni ...[continua]

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