1. Un evento simbolico
Il 27 maggio del 2021 è stata posta a Berlino nella Petriplatz la prima pietra di un tempio che accomunerà in uno stesso complesso edilizio una sinagoga, una moschea e una chiesa cristiana. L’idea risale al 2009 e parte dall’incontro dell’imam, del rabbino e di un pastore cristiano protestante della città. Da allora si è svolto un concorso tra studi di progettazione ed è stato selezionato un progetto vincitore che prevede un ampio edificio di ingresso e di incontro dal quale si accede ai tre spazi, separati ma uniti, di preghiera e di meditazione, delle tre religioni monoteiste che hanno segnato la storia d’Europa e di mezzo mondo da più di due millenni. Il finanziamento dell’opera è stato assicurato da fondi del Bund, della città-stato di Berlino e da una sottoscrizione volontaria di organizzazioni e di privati cittadini.
Le religioni sono state in Europa un potente fattore di divisioni e conflitti, tra le religioni e all’interno di ciascuna di esse. Il movimento ecumenico ha fatto notevoli progressi negli ultimi decenni, ma la presenza di un unico tempio dove i credenti delle diverse fedi possono insieme, e nello stesso tempo ognuno per conto suo, pregare e celebrare i propri riti, è un evento destinato ad avere un grande valore simbolico, forse, ci auguriamo, a segnare una svolta non solo per l’Europa, ma per il mondo intero.

Se ci dessimo il compito di suscitare qualche forma di “nazionalismo europeo” non avremmo difficoltà a recuperare molti elementi nel repertorio della storia degli ultimi due-tremila anni che fanno dell’Europa, come si dice retoricamente, un “faro di civiltà”. Non è questo il compito che vogliamo assumerci. L’Europa ha inventato lo stato-nazione e può ora dimostrare che se ne può in parte fare a meno; l’Europa ha infiammato le guerre di religione, può forse ora mostrare che fedi diverse possono convivere pacificamente. Vogliamo gettar luce su quegli aspetti per i quali l’Europa è, ed è stata, un esempio non solo positivo ma anche negativo e rispetto ai quali può, forse, oggi, mostrare la via per un loro superamento.

2. L'Europa e le guerre di religione
Uno di questi aspetti è sicuramente individuabile nella lunga storia delle guerre di religione. Una storia che parte da lontano, almeno dalle vicende delle successive distruzioni e ricostruzioni del tempio di Gerusalemme, dalla storia delle Crociate per giungere fino al terrorismo e all’attentato alle Torri Gemelle che ha segnato l’inizio del terzo millennio. È significativo che il tempio berlinese preveda l’incontro, insieme ma distinte, delle tre grandi religioni monoteiste, dal più antico, l’Ebraismo, al Cristianesimo e all’Islam. Tutte e tre postulano la credenza in un unico Dio, ma la sua parola si manifesta attraverso le profezie e quindi i conflitti nascono intorno alla domanda su quale sia la “vera” parola di Dio. Ciò che le accomuna, a partire dalla credenza in un unico Dio, non ha impedito in diverse fasi della storia e in diverse aree del mondo la loro convivenza più o meno pacifica, ma più spesso ha prodotto guerre di inaudita violenza. Secondo Jan Assmann, uno dei maggiori studiosi delle origini del monoteismo, i popoli che si riconoscono nella credenza in un solo dio danno inevitabilmente origine al conflitto, alla violenza, poiché il “mio” Dio non può essere compatibile con il “tuo” Dio, se il “mio” è il “vero” Dio, il tuo non può essere che falsità e menzogna. La storia dei rapporti tra cristiani e musulmani, tra ebrei e cristiani e tra ebrei e musulmani, anche senza aderire alla teoria dell’inevitabile “scontro tra civiltà”, è più una storia di guerre che di pacifiche convivenze.
Le credenze religiose sono senz’altro una componente dell’identità dei popoli della terra, sono un fattore di inclusione e nello stesso tempo di esclusione e quindi possono essere cause e conseguenze di conflitto. Conflitti della massima asprezza, tuttavia, si sono sviluppati non solo tra ma anche all’interno delle religioni monoteiste, anche a quelle che hanno predicato la fratellanza universale.
Nel 1598, il re Enrico IV emanò l’editto di Nantes che pose, provvisoriamente, fine alla guerra tra cattolici e ugonotti (calvinisti) che aveva devastato la Francia per quasi mezzo secolo, riconoscendo la libertà di culto e altri diritti. Poco meno di un secolo più tardi, l’editto fu revocato, questa volta a Fontainebleau, da Luigi XVI, riaprendo una questione che verrà superata solo con la Rivoluzione. Anche la storia della Germania nel XVII secolo è caratterizzata dalle guerre di religione tra stati cattolici e stati protestanti: le stime dicono che la Guerra dei Trent’anni provocò dai tre ai nove milioni di morti su una popolazione stimata dai quindici ai venti milioni (allora nessuno stato organizzava ancora veri e propri censimenti della popolazione e questo spiega la grande variabilità delle stime). La guerra terminò con la pace di Westfalia (1648) che sancì, da un lato, la definitiva affermazione del principio che i sudditi dovevano seguire la religione del principe che governava il territorio (“cuius regio, eius religio”) e, dall’altro, il principio della sovranità assoluta dello stato, cancellando ogni pretesa di un’istanza imperiale superiore. Ancora oggi, nelle regioni di lingua tedesca, la diffusione territoriale delle confessioni religiose tra regioni cattoliche e protestanti riflette quella consolidata allora.

3. L'intreccio tra conflitti religiosi e conflitti politici
Le guerre di religione, come è ben noto, non erano mosse solo da motivi religiosi. Nella storia il rapporto tra religione e potere politico è passato attraverso le più diverse configurazioni, che vanno dalla coincidenza alla commistione e influenza reciproca, alla separazione e alla reciproca ostilità. Talvolta è il potere politico che usa la religione ai propri fini, talvolta sono invece le istituzioni religiose che si servono dell’alleanza col potere politico per affermare e diffondere la propria fede.
Non si può non ricordare, ad esempio, che l’espansione delle religioni cristiane, e in particolare l’influenza della Chiesa cattolica, sono andate di pari passo con l’espansione coloniale delle potenze europee. I missionari hanno spesso accompagnato o seguito gli eserciti coloniali e molte volte la conversione di intere popolazioni è stata coatta e imposta con la minaccia delle armi. La memoria del colonialismo si estende anche dopo l’epoca che ne ha segnato la fine e anche oggi ha lasciato tracce profonde nei rapporti, ad esempio, tra Occidente e mondo islamico.

Se si può dire che le guerre di religione in Europa siano sostanzialmente finite con la pace di Westfalia e che, con tempi e forme diverse da paese a paese, si siano affermate in Europa condizioni di maggiore tolleranza tra le confessioni religiose cristiane, la storia dell’anti-islamismo non è affatto finita, anzi ha avuto drammatici sviluppi lungo tutto il XX secolo fino ai giorni nostri.

Le guerre di religione non sono però una prerogativa dell’Europa cristiana. Anche all’interno dell’Islam si sono combattuti, e si combattono ancora oggi, conflitti armati di inaudita violenza. Come quello recente tra Iran e Iraq, tra il 2002 e il 2011, che ha riaperto antiche ostilità tra sciiti e sunniti risalenti ai tempi della successione di Maometto, o anche la guerra tra Yemen e Arabia Saudita dove i motivi religiosi, ancorché non decisivi, non sono certo assenti. Non c’è bisogno di spiegare invece perché non ci sono state vere guerre di religione all’interno dell’ebraismo: la dispersione nella diaspora in comunità sparse ha fatto sì che talvolta cittadini di religione ebraica appartenenti a stati tra loro in guerra si siano trovati a dover combattere contro propri correligionari. Ma questo non ha nulla a che fare con le guerre di religione ma con la storia davvero singolare del popolo ebraico.
Nel mondo non ci sono solo religioni monoteiste. Nelle religioni orientali si ritrovano varianti di stampo politeista (ad esempio, nell’induismo) e religioni animistiche e spiritualistiche, come il buddismo e lo shintoismo. È significativo che siano stati prevalentemente i contatti con popoli di religioni monoteiste a generare conflitti religiosi con le religioni dell’Oriente, anche se non mancano esempi, come recentemente nello Sri-Lanka, di conflitti tra popolazioni di fede buddista (cingalesi) e induiste (tamil).

4. Credenti e non-credenti
Poiché l’Europa è stata il vero teatro delle guerre di religione, ci si può augurare che il nuovo tempio di Berlino possa simbolicamente significare il loro superamento e nello stesso tempo l’inizio di una nuova era in cui le diverse fedi religiose possano convivere nel rispetto reciproco, ma anche in un rapporto non ostile e pure di dialogo con la grande massa di coloro che non credono.
L’Europa, insieme alla Cina e al Giappone, presenta nel mondo la maggiore percentuale di atei e agnostici. Molti studi hanno cercato di spiegare le ragioni dell’eclissi del sacro, ovvero l’affermarsi del processo di secolarizzazione, nell’Europa moderna e contemporanea. Qualcuno fa risalire il disincanto nei confronti della religione in Europa alle correnti culturali che vanno dal Rinascimento all’Illuminismo, dalla diffusione del pensiero scientifico all’emergere delle ideologie otto e novecentesche (liberalismo, marxismo, nazionalismo) come sostituti funzionali delle religioni, come fedi laiche. La secolarizzazione sarebbe un aspetto della modernità. Queste tesi incontrano però una difficoltà nello spiegare come il processo non abbia raggiunto in particolare gli Stati Uniti, che per molti aspetti sembrano anzi essere un esempio estremo di modernità.

In un’indagine campionaria Gallup del 2009, è stato chiesto alla popolazione di 150 stati sparsi in tutto il mondo se attribuivano importanza alla religione (“Is relgion important in your daily life ?”); tutti i paesi nei quali le risposte negative superano quelle positive sono, con poche eccezioni, paesi europei o asiatici (Giappone, Hong Kong, Vietnam, Australia, Nuova Zelanda, Cuba, Canada, Corea del Sud, Taiwan). Gli unici paesi europei dove prevalgono i “sì” sono, nell’ordine di frequenza delle risposte positive, l’Irlanda, l’Austria, la Croazia, la Grecia, il Portogallo, l’Italia e la Polonia. Con l’eccezione della Grecia, tutti i paesi europei dove gli orientamenti “secolarizzati” sono in minoranza sono paesi di tradizione cattolica ed è da segnalare che in un paese come la Spagna prevalgono, sia pure di poco, coloro che non danno importanza alla religione nella loro vita quotidiana. Ricerche più recenti condotte nell’ambito dell’Ue dall’Euro-barometro confermano grosso modo lo stesso quadro.
Gli Stati Uniti si collocano subito dopo l’Austria e prima della Croazia, quindi, rispetto all’Europa, tra i paesi a livelli più alti di religiosità. Gli studiosi si sono chiesti se l’anomalia sia la diffusa secolarizzazione europea, oppure la persistente religiosità degli Stati Uniti. Il pluralismo religioso, in una situazione dove non è mai esistita una “religione di stato” e anzi, dove la separazione tra i due poteri, secolare e religioso, si è stabilita fin dall’inizio, sono fattori che hanno senz’altro contribuito alla diffusione di atteggiamenti di tolleranza verso coloro che credono e praticano una fede diversa dalla propria. Ciò non toglie che anche negli Stati Uniti, soprattutto in tempi recenti, si siano manifestati forti movimenti anti-islamici e non siano mancati anche episodi di antisemitismo.
Dal punto di vista religioso non c’è dubbio che il pluralismo favorisca significativamente la convivenza pacifica.
Il panorama della religiosità in Europa non riguarda tuttavia soltanto la pluralità delle fedi presenti, ma anche la grande diversità dei modi di porsi nei confronti della fede e dei modi di praticarla. Un conto è credere in Dio, un altro conto è ritenere che questa credenza sia rilevante per la propria vita quotidiana e un altro conto ancora è seguire assiduamente le prescrizioni che la pratica religiosa comporta (ad esempio, la frequenza alla messa domenicale). Vi sono poi coloro che non credono in una specifica divinità ma si riconoscono in qualche forma di spiritualità, coloro che negano l’esistenza di qualsivoglia entità divina/trascendente e infine coloro che sono del tutto indifferenti alle problematiche religiose.
Per i cristiani la frequenza alla messa in Europa varia da paesi dove circa 1/3 della popolazione segue regolarmente il precetto domenicale (Irlanda, Polonia e Italia), a paesi dove si aggira su 1/4-1/5 (Austria, Spagna, Grecia) a tutti gli altri paesi dove è meno del 10%. Molto variabile è anche la quota di coloro che sono, e/o si dichiarano, atei o agnostici. Il confine tra ateismo e agnosticismo è difficile da tracciare, sia concettualmente sia nella coscienza dei singoli individui. Atei sono coloro che negano l’esistenza di Dio e di qualsivoglia divinità, agnostici coloro che sostengono che non vi sia alcuna prova che Dio esista oppure non esista, ma spesso credono nell’esistenza di una dimensione dello spirito che non prende la forma divina. Circa un cittadino europeo su quattro appartiene a queste due ultime categorie, con grande variabilità da paese a paese: metà degli svedesi, 40% dei francesi, 1/3 dei britannici, ma solo il 13% degli italiani e il 3,5% dei greci. Atei e agnostici, tuttavia, non sono da confondere con coloro per i quali la religione non ha rilevanza per la propria vita quotidiana, cioè con coloro che sono indifferenti rispetto alla dimensione religiosa. Gli indifferenti si annidano piuttosto tra coloro, non importa se credenti o non credenti, per i quali la religione è comunque irrilevante. Sugli indifferenti non si può contare neppure in una prospettiva ecumenica, mentre tra atei, agnostici e credenti un dialogo è possibile.
Un’anticipazione molto promettente in questa direzione era stata l’inaugurazione nel 1987 a Milano della “cattedra dei non credenti” da parte del cardinale Martini che così si espresse in quell’occasione: “Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa”.
Il fatto di non credere nell’esistenza di Dio o degli dei (ateo), oppure di non trovare nessuna ragione per affermare l’esistenza o la non esistenza di Dio o degli dei (agnostici) non vuol dire che coloro che appartengono a queste due categorie non si chiedano qual è il senso della vita, con quale criterio si distingue il bene dal male, perché la sofferenza è distribuita in modo diseguale tra gli esseri viventi, da dove veniamo (chi c’era prima di noi?) e dove andiamo (chi ci sarà dopo di noi?). Sono tutte domande rispetto alle quali le società umane hanno spesso cercato risposte nelle religioni.
L’ecumenismo quindi non è soltanto una corrente di pensiero che promuove il dialogo tra fedi diverse, ma anche tra credenti e non credenti.

5. Scienza moderna e religione
È vero che spesso le religioni sono state utilizzate per istituire, rafforzare, legittimare i rapporti di potere tra dominanti e dominati. Vi è una lunga tradizione nella cultura europea, dall’Illuminismo a Marx e a Nietzsche che pensa alle religioni come forme di superstizione, come “oppio del popolo”, ma ve ne sono altre che vedono la religione come fattore di riscatto e di emancipazione.

In Europa, le relazioni tra scienza e religione, tra scienziati e dottori della Chiesa è sempre stato, a dir poco, problematico. Tutti si ricordano il processo a Galileo, le controversie intorno alla concezione copernicana e le diatribe tra elio-centrismo e geo-centrismo, il rifiuto delle teorie darwiniane dell’evoluzione e, più recentemente, le contese intorno alla ricerca sulle cellule staminali e sul fine vita. L’elenco potrebbe essere allungato a piacere. La scienza ha storicamente messo in discussione e confutato molte credenze religiose, ma questo non sancisce una irriducibile incompatibilità tra scienza e religione.
Le ricerche demoscopiche ci dicono che quella degli scienziati è una delle categorie dove prevalgono ateismo e agnosticismo, ma ve ne sono tuttavia molti che non considerano incompatibili tra loro la fede religiosa con la fiducia nella scienza. Costoro ritengono, a mio avviso correttamente, che la scienza non sia in grado di rispondere a tutte le domande alle quali le religioni, in modi storicamente diversi, hanno cercato di dare una risposta. È vero che vi sono anche coloro che hanno trasformato la Scienza, con la s maiuscola, in una fede, che “credono” nella Scienza. Ma spesso non si tratta di veri scienziati. I veri scienziati conoscono i limiti, la fallibilità, la provvisorietà, l’incompletezza, delle conoscenze scientifiche: hanno fiducia nella scienza piuttosto che fede nella scienza. Chi vuole certezze, è meglio che vada in chiesa non in un laboratorio. La scienza è un percorso di avvicinamento a una verità che non si raggiunge mai, anzi i progressi della conoscenza scoprono continuamente delle realtà (sia nell’estremamente piccolo che nell’estremamente grande, sia nel campo della fisica che della psicologia) di cui ignoravamo l’esistenza, la scienza ci rende consapevoli di quanto siamo ignoranti. Pensiamo alla fisica quantistica che ci permette di gettare uno sguardo nell’immensità del cosmo o alla psicanalisi che ci permette, anche qui, di gettare solo uno sguardo nelle profondità dell’inconscio.

6. Conclusioni
Nel corso della recente pandemia i decisori politici si sono spesso nascosti dietro il presunto giudizio oggettivo della scienza, ma poiché questa non è mai in grado di dare certezze assolute e gli scienziati stessi non possono spesso giungere alle stesse conclusioni, la gente ha incominciato a dubitare e la fiducia nella scienza e negli scienziati ha incominciato a essere messa in discussione. Anche la “fede nella scienza”, così come le grandi ideologie che pretendevano di avere una risposta per tutti i problemi, hanno subìto lo stesso processo che è toccato alle grandi religioni, sono state in parte “secolarizzate”. Ma è proprio perché sono venute meno le certezze che il dialogo tra le religioni e tra credenti e non credenti è diventato non solo possibile, ma anche auspicabile. Il dialogo è difficile tra chi pretende di avere la “verità”, mentre è promettente per chi ha solo la volontà di cercarla.
L’Europa è stata il luogo dove si sono combattuti tra i più atroci conflitti nella storia del genere umano, dalle guerre di religione, alle guerre tra nazionalismi e alle guerre tra ideologie. Forse, è proprio dall’Europa che può venire il messaggio per la convivenza e la cooperazione tra genti, religioni, culture e idee diverse, per un mondo più unito.
Ai tempi delle discussioni sul Trattato per una Costituzione europea (2003-2005) fu proposto di inserire nel preambolo un riferimento alle “radici cristiane dell’Europa”, suscitando vivaci reazioni dei rappresentanti di milioni di mussulmani che vivono in Europa come cittadini di un qualche stato membro e della minoranza ebraica sopravvissuta all’Olocausto e che non è emigrata in Israele o in America. Alla fine fu raggiunto un compromesso indicando “le eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa”. Come è noto, dopo i referendum francese e olandese, il trattato costituente è stato archiviato e sostituito dal Trattato di Nizza che comprende la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea dove si fa riferimento al “patrimonio spirituale e morale” senza menzionare espressamente la dimensione religiosa. Forse è proprio in questo orientamento ecumenico sobrio, aperto, inclusivo e non escludente che nasce dalle tragedie del proprio passato che si esprime il messaggio universale dell’Unione europea.