Non è vero che la storia è fatta di memorie. Le memorie costellano i cimiteri. La storia è fatta di presente, di progetti, di azione: in breve, di passi nel futuro
(Aldo Masullo, “Napoli siccome immobile”).
Ogni anno va peggio con le celebrazioni del 25 aprile, la festa che dovrebbe essere nazionale e di tutti. Questa volta ricevo la newsletter di una casa editrice (alla quale poi mi sono disiscritto) che annuncia che “il 25 aprile è divisivo, perché divide i fascisti dalle persone perbene”. Anni e anni per stabilire che nella guerra civile ci furono una parte giusta e una sbagliata, ma che si poteva essere stati dalla parte giusta con comportamenti ignobili (come le vendette sui fascisti a guerra finita) e da quella sbagliata con comportamenti dignitosi. Anni buttati via, pare, visto che si preferisce una lotta tra il Bene e il Male assoluti, con la Resistenza come appannaggio esclusivo dei buoni. Eppure alla consapevolezza del radicamento della guerra civile in ragioni storiche, e non in rese dei conti tra eterni principi, si era arrivati già nel 1945. Togliatti, per dire, sapeva distinguere benissimo le ragioni e i torti, ma voleva che gli sconfitti fossero recuperati alla democrazia, tutti o quanti più numerosi possibile.
Oggi no. Oggi, 75 anni dopo, nulla tira più della guerra civile e del desiderio di replicarla in forma mimetica. L’Anpi, in passato una gloriosa associazione di ex-combattenti che tramandavano le loro esperienze come esempio di dirittura per i posteri, è diventata un’associazione attiva su un larghissimo ventaglio di temi politici e sociali, gestita soprattutto da giovani e radicata anche al Sud. Qualche anno fa un amico mi mostrò un libro appena uscito, contenente l’elenco di tutti i salentini caduti combattendo con i gruppi partigiani: un numero altissimo, tanto che gli chiesi se non fossero più numerosi dei piemontesi o lombardi saliti in montagna; mi rispose che probabilmente erano stati contati tutti quelli che si erano trovati a morire al Nord in quei due anni. Si potrebbe opinare che, nell’attuale latitanza dei partiti nell’educazione alla democrazia, l’attivismo dell’Anpi, il canto di Bella ciao per ogni dove e magari la promozione della “Resistenza al coronavirus” (la sciocchezza del momento) siano comunque un segno di vitalità, quindi meglio di niente. Non è così, perché non può che essere falsa e apparente una prassi politica che associa indebitamente richiami storici del passato a esigenze del presente affatto diverse ed estranee.
Giustamente nei decenni passati si contestava a Berlusconi l’anticomunismo in assenza di comunisti e di comunismo; ma non sembra che il metro possa essere diverso di fronte ai discorsi antifascisti in assenza di fascisti e di fascismo, a meno che non si voglia richiamare il pessimo pamphlet di Umberto Eco sul fascismo eterno. I gruppuscoli di estrema destra che si presentano alle elezioni non fanno insieme più voti degli irrilevanti partitini ultracomunisti; le loro velleità di violenza sono comunque controllate, e quando occorre represse, dalle autorità. Se poi per fascisti si intendono, in modo obliquo, i Berlusconi, Salvini e Meloni che un imbolsito Guccini nella cover di Bella ciao postata sul sito di Repubblica (giornale il cui notista politico ha ascendenze pacciardiane) auspica siano portati via dai partigiani, non si sa se a piazzale Loreto, bisognerebbe allora chiedersi con sgomento che senso avrebbe avuto la democrazia nata dalla Resistenza, se dopo 75 anni circa metà degli italiani sarebbero pronti a votare fascista, al più con l’attenuante di non capire che sono fascisti perché la sinistra “non ha saputo comunicare” a tutti la sua grandezza.
Un pericolo fascista, in Italia, proprio non c’è. A testimoniarlo, un documento molto citato alla fine di gennaio scorso, ma poco letto, e cioè il rapporto Italia 2020 dell’Eurispes, che alle pagg. 388-401 illustrava i risultati di un sondaggio sull’antisemitismo e la propensione per l’estrema destra degli italiani. L’opinione che gli ebrei controllano il potere economico e finanziario, oppure i mezzi di informazione, è nettamente minoritaria anche tra gli intervistati che si definiscono di destra o di centrodestra, così come l’opinione che gli ebrei determinano le scelte politiche americane (ma, sia detto per inciso, le risposte di tutti gli intervistati sarebbero state ragionevolmente diverse se si fosse chiesto dell’incidenza non degli ebrei ma di Israele sugli Usa, che ad esempio ...[continua]

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