Riflettere sulle nuove frontiere del sindacato, cioè sui nuovi confini della nostra attività, è oggi il tema dei temi per chi ha scelto di fare il sindacalista, peraltro in momento non facile.
Proverò a dire quali sono le criticità che io vedo oggi nell’azione sindacale, concludendo però con le azioni positive che credo possiamo svolgere, ferma restando la consapevolezza che scontiamo dei ritardi.
Dobbiamo infatti partire dall’affermazione che il sindacato oggi non sta tanto bene. Non sta tanto bene nel nostro paese e non sta tanto bene nel mondo, ma perché il lavoro non sta bene.
La salute del sindacato italiano è particolarmente precaria perché parliamo di un soggetto confederale, cioè di un soggetto che ha l’ambizione di rappresentare non solo le condizioni dei lavoratori nei loro luoghi di lavoro, ma di rappresentare lavoratori e cittadini in senso più generale e quindi di occuparsi anche di politiche pubbliche.
Le difficoltà sono dettate da condizioni oggettive e soggettive, legate al venir meno dei nostri tradizionali strumenti e luoghi di azione.
Trent’anni fa, quando entravamo in un luogo di lavoro, nella grande fabbrica, e convocavamo un’assemblea, ci ritrovavamo con quattrocento-cinquecento persone che ci ascoltavano.
Oggi quella stessa fabbrica, quello stesso luogo produttivo in realtà è costituito da quattro-cinque aziende diverse, ciascuna con orari e un’organizzazione del lavoro differenti. Noi ormai ci troviamo a interloquire con gruppi molto piccoli e che casomai, proprio per come è diventato il lavoro, sono più in una situazione di conflittualità fra di loro che con il datore di lavoro, con il capitale.
È una condizione difficile anche perché la rappresentanza in questa fase storica non gode di una buona reputazione. Questo è un problema che condividiamo con la rappresentanza politica in senso stretto. La variabilità, la volatilità dell’adesione politica dei cittadini non è un tema banale.
Non esistono più quei vincoli forti che una volta facevano aderire cittadini e lavoratori a una determinata rappresentanza politica. I legami sono sempre più deboli, temporanei. Oggi un cittadino, un lavoratore può farsi convincere da un certo messaggio, ma se non trova risposta ai suoi bisogni, domani può dare la sua adesione a un messaggio diverso, anche opposto. Il fatto che nel nostro paese negli ultimi dieci anni nove milioni di persone abbiano cambiato orientamento di voto nelle tre-quattro occasioni elettorali che ci sono state è un discorso che riguarda anche il sindacato.
Questa fatica della rappresentanza è figlia anche della logica della disintermediazione, una logica che peraltro favorisce l’azione corporativa. Cioè, io costruisco la mia associazione per sollevare il problema che ho in quel determinato momento, e pretendo una risposta specifica, individuale quasi. La nostra sfida invece è sempre stata quella di una ricostruzione collettiva del problema del singolo, cioè di una rappresentanza generale.
Quello che è successo in questi anni, il prevalere di politiche neoliberiste, che la sinistra ha faticato a contrastare (tutta la sinistra, anche i movimenti sindacali) ha portato a un deterioramento del lavoro. Il lavoro è diventato sempre più una merce in funzione di altre priorità, della competitività; in un sistema sempre più globalizzato, in nome della competizione e della salvaguardia delle nostre produzioni, ci siamo trovati a cedere un portato, anche di diritti, conquistato nazionalmente.
Per noi i lavoratori non sono mai stati solo dei soggetti a cui garantire un compenso economico e delle garanzie. Il lavoro è sempre stato inteso anche come elemento cruciale nella costruzione dei principi democratici di questa società, dei suoi meccanismi, delle sue dinamiche, anche dei suoi conflitti. Impoverire il lavoro ha significato anche intervenire sulla sua natura e sulla sua rappresentanza.
In pochi anni è successa poi una cosa quasi paradossale: il sindacato, da costruttore di politiche, da soggetto che partecipava attivamente con idee e proposte alla costruzione dei meccanismi sociali, è quasi diventato il bersaglio, il responsabile dei mancati avanzamenti, o degli arretramenti che oggettivamente nel lavoro si sono determinati.
Davanti a processi competitivi sempre più globalizzati, l’azione del sindacato, che è un’azione tradizionalmente territoriale, si è rivelata insufficiente.
Pertanto mi sento di dire che se non ci impegniamo per la costruzione di un sindacato glo ...[continua]

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