Ezel Ceylan Alcu è un’attivista politica originaria del Kurdistan turco. È rifugiata politica in Italia dal 2009, perché il governo turco l’ha condannata a ottant’anni di carcere per terrorismo. Nell’aprile del 2018 è uscito il suo primo libro, Senza chiedere il permesso, un’autobiografia in versi e in prosa in cui Alcu racconta la sua esperienza di militante nel movimento confederale democratico.

Ti chiederei di spiegare l’attuale situazione politica in Siria. Quali forze si fronteggiano? Che ruolo ha avuto il movimento confederale democratico nella guerra e nella liberazione del Paese dalla presenza di Daesh?
Noi curdi all’inizio della guerra in Siria abbiamo scelto una terza via che chiamiamo confederalismo democratico. Non potevamo sostenere un regime, né potevamo sentirci parte degli islamisti. Infatti, da un lato c’era il regime siriano che, come ogni regime all’interno degli stati nazione in cui vivono i curdi, opprimeva sia i curdi che tutti gli altri popoli della Siria. Dall’altro, l’alternativa al regime di Assad era quella del fondamentalismo islamico basato sulla repressione delle minoranze e delle donne. Da quando abbiamo deciso di liberare le nostre zone subiamo gli attacchi di vari gruppi fondamentalisti che con il tempo hanno cambiato nome e oggi vengono chiamati Isis. Noi proponiamo una società alternativa, non lo stato nazione ma una nazione democratica, dove tutte le etnie che vivono sul territorio possano conservare la loro lingua, la loro religione e la loro cultura. Tutti insieme possiamo formare un nazione democratica, sembreremmo un giardino di fiori. Parliamo di una democrazia diretta che vive in stretta relazione con la società.
Si può definire quella in atto in Siria ormai da molti anni una vera e propria rivoluzione culturale? 
Sì, sarebbe ingannevole parlare solo di operazioni militari perché quello in corso non è un conflitto tra popoli, etnie o religioni. Questa è una guerra tra due sistemi diversi: quello della modernità capitalistica e quello della modernità democratica. La società ha memoria, la società sapeva come gestirsi prima del capitalismo; prima dello stato nazione e prima delle grandi civiltà i popoli vivevano con un sistema di autogestione. Conserviamo questa memoria e sappiamo che il declino della società è cominciato con l’avvento dello stato nazione. Il potere e il sistema della modernità capitalistica non tollerano l’esistenza di un’alternativa. Ogni sistema ha un inizio e una fine, il sistema capitalistico e lo stato nazione hanno concluso il loro tempo. Non solo in Kurdistan, ma in tutte la parti del mondo, l’umanità cerca un’alternativa. 
Il confederalismo democratico si basa su quattro punti fondamentali: 1) autogestione: assemblee e comuni in ogni quartiere basate su un sistema orizzontale e non gerarchico-piramidale; 2) autodifesa: non un esercito regolare che può impugnare il potere, ma una società in cui ognuno può difendersi dalle minacce che incombono. È una cosa naturale, no? Come una rosa che ha le spine, come un’ape che punge, come i nostri anticorpi contro una malattia che ci attacca. In natura ogni essere vivente ha un naturale sistema di autodifesa; 3) economia ecologica sociale: l’economia deve essere gestita dalla comunità, i quartieri praticano la loro economia con un modello di cooperazione. Non mi riferisco alle cooperative che esistono in occidente, la produzione deve essere basata sulla necessità e il valore non deve essere fondato sullo scambio ma, appunto, sulla necessità; 4) uguaglianza di genere: nelle assemblee ci sono il 50% di donne, di cui il 25% donne giovani. Parliamo di una società fondata intorno alle donne perché noi donne siamo state schiacciate e sottomesse in ogni modo dalla filosofia, dalla religione, dallo stato nazione, dal capitalismo. Con il nuovo paradigma si parla di uguaglianza di genere, da cui nasce una parità totale in ogni aspetto della società. Parliamo di giovani donne (e quindi giovani uomini) perché questa società si fonda sull’autonomia delle donne e sull’autonomia dei giovani. La sottomissione di donne e giovani ha portato alle prime forme di schiavitù e repressione della storia.
Vorrei che ci soffermassimo un attimo sull’autonomia delle donne. Qual è stata la scintilla che ha spinto le donne ad aggregarsi, a riflettere su di sé, a rivendicare il ruolo di protagoniste?
Per provare a dare una risposta dobbiamo partire da molto lontano. Con ...[continua]

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