Nadia Urbinati insegna Teoria politica alla Columbia University di New York. Collabora a varie riviste di teoria e filosofia politica. Recentemente ha pubblicato Democrazia sfigurata. Il popolo fra opinione e verità, Università Bocconi, 2014.

Si discute molto se sia in atto una svolta autoritaria. Tu cosa ne pensi?
Allora, qui stiamo parlando di cambiare la nostra Costituzione in maniera sostanziale. Chi propone con determinazione (e l’uso di molto potere) questo cambiamento lo fa senza spiegare con la necessaria e dovuta precisione perché è necessario; lo fa come se cambiare la Costituzione fosse un fatto ordinario e che, soprattutto, appartiene agli eletti, non a tutti i cittadini (verrà certamente promosso un referendum, ma la forza delle opinioni è impari e quindi il referendum può essere un plebiscito, che è quanto vuole chi promuove questa riforma).
Non appartiene ai cittadini nel momento dell’elaborazione del progetto di riforma. Per esempio, il Partito democratico non ha nemmeno aperto una discussione al proprio interno per spiegare, far capire e raccogliere le opinioni. A metà luglio ho partecipato a un incontro alla festa del Partito democratico a Rimini sulle forme tradizionali e sperimentali di democrazia partecipata, democrazia dal basso come si dice, ma nulla è stato detto sui cambiamenti in atto della più importante legge della nostra vita collettiva. Si parla in astratto di partecipazione e non si fa nulla di concreto per rendere almeno coloro che sono vicini al Pd partecipi di questo mutamento epocale. In passato, quando i partiti mettevano in piedi grosse politiche, era prassi indire riunioni, molte e ripetute; era forse un ritualismo perché comunque l’oggetto su cui si discuteva era già stato in molta parte deciso, tuttavia vi era l’idea che non si potesse prescindere dalla relazione con i cittadini; era convinzione anche delle élite che le politiche dovevano essere macinate mettendo anche in conto che, macinandole, forse qualcosa poteva anche essere cambiato. Ora, invece, non c’è più nemmeno questo tentativo di coinvolgimento e nel nome della liberazione dalle ritualità di partito si è approdati a un vero e proprio decisionismo dei dirigenti, anzi del capo. Noi, ovvero tutti i cittadini in generale, vicini o non al Pd, siamo fuori dalla politica e fuori dai circuiti deliberativi ufficiali,come se quel che succede a Roma non ci riguardasse più, come se noi fossimo essenzialmente solo spettatori di un fare che succede davanti ai nostri occhi, sui media, ma senza di noi. La politica è un affare loro. Noi siamo solo pubblico. E la Costituzione segue questo destino. Nessuno ci ha spiegato con ragioni ragionate perché il bicameralismo che abbiamo ora non funziona, perché avere un Senato nominato sia meglio che averne uno eletto. Gli argomenti addotti dal Presidente del Consiglio sono semplicemente irrilevanti: perché il Senato costa troppo e perché fa perdere tempo a chi deve decidere. Così la riforma è passata senza che quasi ce ne accorgessimo e come se tutti i problemi che bloccano il paese siano al fondo riducibili a uno solo: l’avere organismi elettivi. La democrazia, par di capire, causa problema. Se i senatori non fossero eletti i problemi sarebbero minori. La logica si è già affermata con le Province: non si è tolta la struttura organizzativa e burocratica delle Province ma i Consigli provinciali eletti. C’è da giurare che assisteremo presto alla costruzione di altri carrozzoni per la "governance” delle aree metropolitane, dei consorzi di comuni, eccetera. L’importante è che non ci sia più il rapporto diretto coi cittadini.Sembra che tutto quello che deve essere riformato pertenga al rapporto diretto coi cittadini, cioè agli organismi elettivi. Insomma, si vogliono sfoltire i poteri diretti dei cittadini.
Quando questa riforma del Senato sarà operativa noi eleggeremo solo tre organismi: il Consiglio comunale, quello regionale e la Camera dei deputati. E in tutti e tre, guarda caso, il metodo elettorale farà sì che venga premiata prima di tutto la maggioranza, non preoccupandosi del fatto che tutte le componenti della cittadinanza debbano avere una rappresentanza proporzionale alla loro grandezza: la maggioranza avrà più potere e la minoranza numerica ne avrà meno, proprio come è accaduto con i Consigli comunali, che hanno per questo visto indebolire molto il loro ruolo a tutto vantaggio dell’esecutivo, ovvero del Sindaco e della sua giunta ("sua” nel vero senso della ...[continua]

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