La Marš Mira è una marcia commemorativa dedicata alla colonna di circa 15.000 persone, principalmente uomini in età militare, che a luglio del ‘95, alla caduta di Srebrenica, tentarono la fuga attraverso le montagne per raggiungere i cosiddetti "territori liberi”, verso Tuzla. Poco più della metà riuscì a salvarsi. Gli altri, braccati dalle truppe dall’esercito Serbo-Bosniaco di Mladić e dalle formazioni paramilitari serbo-bosniache, vennero uccisi e tumulati in fosse comuni.
La Marcia della Pace percorre a ritroso il cammino che fece la colonna del ’95, su un percorso simile a quello originale, attraverso i boschi e le montagne della Bosnia orientale.


8 luglio
Partiamo da Srebrenica alle sei di mattina e verso le 8 arriviamo al punto di partenza, Nezuk, oggi a ridosso del confine tra Federazione e Republika Srpska, nel ‘95 era la linea del fronte. La marcia ricorda in particolare Ejub Golić, uno dei comandanti del 28° battaglione di montagna della ArBih (Armija Bosne i Hercegovine - Esercito della Bih) che difendeva Srebrenica, morto nel tentativo, riuscito, di sfondare l’ultimo blocco della Vrs (Vojska Republike Srpske - Esercito Serbo-Bosniaco), per far passare la colonna verso i "territori liberi”.
Ci sono gruppi organizzati da tutta la Bosnia, riconoscibili dalle t-shirt, prodotte per l’occasione: Zenica, Višegrad, Goražde, Tuzla, Sarajevo, Cerska...
Spiccano tanti "ne zaboravimo” (non dimentichiamo) e tante bandiere blu stellate.
Partiamo alle nove e fa già caldo. 90 chilometri in tre giorni. La prima tappa ci porterà a Liplje dove pianteremo le tende per la notte. Lì c’era il lager femminile. Nella scuola elementare - oggi ristrutturata, funzionante e pitturata con un improbabile color rosa era dislocata la truppa della Vrs e nelle due case adiacenti vennero tenute, per diversi mesi, più di 400 donne bosgnacche rastrellate dai villaggi della zona.
Trenta chilometri durissimi e non ci serve a niente l’abitudine a percorrere le alture del Sudtirolo. Si fa fatica e basta. Le montagne bosniache però sono splendide e ci regalano scorci indimenticabili sul canyon della Drina.
Verso Snagovo, un trasferimento da un versante all’altro della valle, ci sfianca. Asfalto rovente in salita. Provvidenziali i camion cisterna dell’organizzazione, le numerose fontane di hajr voda (acqua buona) e l’ospitalità delle famiglie bosgnacche nei villaggi che attraversiamo: c’è kafa per tutti.

9 luglio
Alle cinque inizia a svegliarsi il campo. Riusciamo a passare in testa alla colonna. Ieri è stato delirante rimanere bloccati negli ingorghi -immancabilmente sotto il sole- agli inizi delle salite e marciare intruppati subendo il ritmo della colonna. Gli amici dell’organizzazione ci dicono che quest’anno ci sono più di 7.000 partecipanti. Come lo scorso anno, l’Esercito, al seguito della marcia, garantisce il trasporto del bagaglio pesante fino al campo successivo, quindi è possibile organizzare gli zaini con lo stretto necessario per la tappa, lasciando tende, sacchi a pelo ecc. in custodia ai militari. Ottimo anche il servizio medico, con la presenza di oltre un centinaio di volontari, che seguono tutto il percorso.
Dopo aver arrancato, oggi riusciamo ad "alzare la testa” e guardarci intorno.
Facciamo un pezzo di cammino con una coppia di Brčko e parliamo della guerra, della situazione attuale e del futuro. Ci chiedono cosa ci fanno degli italiani alla Marš Mira e gli raccontiamo del progetto Adopt Srebrenica della Fondazione Alexander Langer per cui lavoro. Si ritrovano anche loro nell’idea langeriana dei gruppi misti (multi-etnici, multi-culturali, multi-religiosi) come il "nostro” gruppo di Srebrenica "...per piccoli che essi siano  come piante pioniere, sperimentano ogni giorno il difficile terreno della convivenza...”. Qui, dopo quello che è successo negli anni Novanta, queste sono parole che hanno un significato importante. 
Ci dicono che la situazione politica attuale in Bosnia Erzegovina non favorisce reali tentativi di dialogo per la rielaborazione del recente passato e che l’unica speranza sta nella volontà delle persone. Però manca il lavoro e lì, al lavoro, sei costretto a trovare un modo per fartela passare bene con i tuoi colleghi. E prima o poi ci parli. E non si può fare finta che non sia successo niente. Se continui a mettere lo sporco sotto il tappeto, prima o poi puzza.
Mi piace  come la pensano. "Quando ci sediamo e parliamo insieme, quando mi ascolti e ...[continua]

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