Lo Statuto dei lavoratori fu approvato in una stagione probabilmente irripetibile del processo di sviluppo industriale italiano, ma è altrettanto vero che vennero condivisi tra le parti alcuni valori di base quali il diritto all’assenza per malattia, il diritto a difendersi da contestazioni disciplinari, ecc. Non tutti sanno però che l’assenza per malattia non esime il lavoratore, secondo taluna giurisprudenza, dal fare di tutto per riprendere le forze in favore del proprio datore di lavoro. In sostanza, sostiene questa tesi, il dipendente ammalato, non solo deve astenersi da qualsiasi pericolo che ne comprometta il recupero, ma deve far di tutto per poter riprendere al più presto e al meglio il suo ruolo lavorativo.
Vero è che in quasi trent’anni di professione non mi era mai capitato il caso di un licenziamento perché il lavoratore ammalato si aggrava suo malgrado fuori dal luogo di prestazione lavorativa. Il sospetto peraltro che questa tesi venga usata per nascondere altri intenti mi è sorto nell’affrontare il caso che segue. Il mio cliente, dipendente da ben 25 anni della ditta tale, media produttrice di prodotti biologici (400 dipendenti), aveva subìto un demansionamento di fatto negli ultimi anni, a seguito del quale era stato adibito da mansioni di controllo dei macchinari al carico degli stessi, con sovraccarico della colonna che gli aveva procurato una forte lombosciatalgia. Non si era mai lamentato dell’avvenuta dequalificazione (peraltro in precedenza aveva ricevuto anche encomi!) avendo ben compreso che il datore di lavoro era alla ricerca di un pretesto per licenziarlo (il lavoratore anziano in mansioni ripetitive è meno produttivo e costa ben di più di un giovane).
Iniziava quindi un periodo di lunga assenza per malattia (quasi cinque mesi) causa la pesante lombosciatalgia che l’aveva colpito (presumibilmente dovuta alle nuove mansioni). Quasi allo scadere di detto periodo, ormai pressoché guarito, un giorno il nostro, in fascia oraria consentita, accompagnava il figlio (minorenne) con il proprio scooter ad un pranzo organizzato da amici. Al ritorno, lungo il percorso (pochi chilometri da casa) causa il ghiaino sull’asfalto, il centauro rovinava a terra procurandosi un trauma toracico con fratture costali.
Appena venuta a conoscenza del fatto, che fa la ditta? Contesta al lavoratore di aver tenuto una condotta incompatibile (l’uso del motorino) con l’obbligo di garantirsi un "pronto ed efficace ristabilimento dalla malattia e un contegno atto a deporre per la stessa insussistenza dello stato patologico denunciato”. A seguito delle giustificazioni, e anzi, ancora prima di riceverle (due giorni prima) la ditta tale lo licenziava per "giusta causa”.
La giurisprudenza dominante considera sempre di natura disciplinare il licenziamento per giusta causa, con la precisazione che il licenziamento in esame è quello intimato a motivo di una condotta colpevole del lavoratore.
In altre parole, ogni qual volta il datore di lavoro reagisca con il licenziamento a un ipotetico inadempimento del lavoratore, siamo di fronte a un licenziamento disciplinare. Così, sinteticamente, il datore di lavoro dovrà contestare il fatto, invitare il lavoratore a rendere le proprie giustificazioni e, infine, attendere almeno cinque giorni dalla contestazione prima di adottare la sanzione. Il mancato esperimento di tale procedura costituisce un vizio insanabile che comporta, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, l’illegittimità del licenziamento intimato. A tutela del lavoratore, l’ordinamento italiano prevede specifiche conseguenze sanzionatorie per i licenziamenti disciplinari illegittimi (ma ora non più per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 a seguito del Jobs Act!).
La norma indicata ha subìto peraltro radicali modifiche per effetto della legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro. Prima di tale intervento, infatti, era prevista una tutela unica, che comportava la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento pieno del danno (con il pagamento delle retribuzioni e della contribuzione dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione e, comunque, nella misura minima di cinque mensilità). Il nuovo testo dell’art. 18 (secondo Fornero), invece, prevede un sistema di tutele differenziate che mutano a seconda del vizio riscontrato nel licenziamento: quando non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo per insussistenza del fatto contestato o perché il f ...[continua]

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