Mi piacerebbe leggere, prima o poi, una storia dei modi in cui, attraverso il lavoro di orientalisti, viaggiatori, sinologi in senso stretto, giornalisti, noialtri europei siamo stati di volta in volta informati di quanto succedeva in Cina; e, prima ancora, di chi fossero i cinesi, cosa credessero, cosa pensassero di se stessi e di noi, come vivessero. Per carità, non intendo una storia completa dalla celebre ambasciata di Antonino il Pio (ammesso che sia lui, da identificare con l’An Du, o An Tun, delle fonti cinesi), ma semplicemente una storia degli ultimi due secoli, da quando i contatti si sono fatti più intensi a causa di tè, oppio, cannoniere e così via. Qui proverò soltanto a fare qualche esempio di cosa troveremmo, non avendo la competenza necessaria a un’opera più completa e, soprattutto, non essendo certo mia intenzione quella di rubare spazio a Ilaria Maria Sala e alle sue belle Lettere cinesi. Troveremmo, innanzitutto, una varia popolazione di avventurieri ottocenteschi, conoscitori un po’ improvvisati, ma spesso di buon livello, del cosiddetto Oriente. Organizzatori di furti di tesori artistici da depositare poi nei musei europei, diplomatici distinti, esploratori e spie: il tutto, assai spesso, raccolto in un unico personaggio, che poteva essere di volta in volta francese o svedese, russo o britannico. Erano, questi uomini, la propaggine orientale del "grande gioco” di cui parla Kipling. Benché si occupassero di troppe cose per riuscire a farlo in maniera più che dilettantesca, è a loro che dobbiamo molte delle notizie, dei testi (anch’essi, spesso, trafugati), delle prime testimonianze fotografiche di un mondo che era rimasto a lungo chiuso all’Europa per aprirsi soltanto, poco prima della metà dell’Ottocento, lungo le sue coste, o tutt’al più seguendo il primo tratto del grande fiume Chang Jiang. A loro dobbiamo quindi buona parte delle conoscenze artistiche, letterarie, religiose sul Celeste Impero dopo un’interruzione di due secoli dovuta all’abbandono forzato dei Gesuiti, che avevano svolto questo compito tra Cinque e Settecento.
Si comincia subito con personaggi pittoreschi e fuori del comune. Basti pensare a uno degli esponenti più curiosi e affascinanti di questa popolazione, l’inglese Sir Edmund Backhouse (1874-1944), la cui vicenda è stata raccontata dallo storico Hugh Trevor Roper. Questo Backhouse era, sostanzialmente, un truffatore e un falsario, di un livello tale da permettergli di scrivere una storia della corte cinese al tempo della potente "imperatrice vedova” Cixi, tutta costruita su documenti da lui inventati: ma così bene da trarre in inganno alcuni dei maggiori studiosi di allora, cinesi ed europei.
Più tardi, nei decenni a cavallo della seconda guerra mondiale, una nuova generazione di studiosi occidentali (ne nomino solo due, Owen Lattimore e Joseph Needham, nati entrambi nel 1900) proseguiranno questa tradizione di studiosi non da tavolino, ma aperti a esperienze diverse (Lattimore sarà anche un grande esploratore e geografo dell’interno dell’Asia, Needham un importante scienziato; entrambi svolgeranno anche ruoli diplomatici). Tuttavia, questa nuova generazione vedrà diminuire i caratteri dell’avventura e del dilettantismo ed emergere invece studiosi della cultura cinese, a cominciare dai due ora nominati, di alto livello scientifico. E con loro anche una generazione di giornalisti coraggiosi e meno mossi da pregiudizi. A Edgar Snow, il più famoso fra tutti, si deve certamente, come si ripete sempre, il merito di aver fatto conoscere, negli Stati Uniti e nell’Occidente in genere, ciò che stavano facendo Mao e i suoi in alcune province dell’interno, delle quali assai poco si sapeva, al di fuori di alcuni canali del Comintern. Probabilmente si deve a lui anche l’aver contribuito a creare attorno ai comunisti di Yan’an quel muro di protezione mediatica che ha offuscato per decenni autoritarismo e violenza politica, spietate lotte di potere, miseria e carestie.
Questo potrebbe essere uno dei primi capitoli. Non c’è alcun dubbio che uno dei successivi dovrebbe essere dedicato alla grande figura del cremlinologo applicato alla Cina (divenuto quindi pechinologo). Alla base del nascere e del diffondersi di questa nuova figura che durerà per qualche decennio, e che neppure oggi si può considerare del tutto scomparsa, ci sono due fenomeni. Il primo è il costituirsi della Cina comunista come stato totalitario, privo di ogni forma di libertà e di trasparenza. In que ...[continua]

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