Marco Mondini è responsabile delle Politiche del Lavoro presso la Zanussi Electrolux di Pordenone.

Nell’ultimo contratto collettivo avevate introdotto una nuova modalità di assunzione, il “job on call”, che ha scatenato molte reazioni contrarie, fino a un referendum in cui il 70% dei lavoratori ha votato contro, facendolo naufragare. Si è arrivati a parlare anche di “operaio squillo”. Può spiegarci in cosa consisteva la proposta?
Questa nuova forma di contratto di lavoro in realtà non è altro che un’innovazione di ciò che nel nostro gruppo si applica già dal 1988, ossia il part-time ciclico verticale previsto per i periodi di picco produttivo. Questa forma era stata ridefinita e maggiormente specificata nell’accordo firmato il 30 giugno di quest’anno e poi respinto dalla maggioranza dei lavoratori nel referendum del 18 e 19 luglio.
In base a questo nuovo contratto se, per esempio, in uno degli stabilimenti il periodo di picco produttivo è quello invernale, tale part-time verrà collocato in quel periodo, con un minimo di tre mesi garantiti. Su questa struttura fissa, che è a tempo indeterminato, (e quindi può durare per sempre) si sarebbe ora innestata una seconda piattaforma, che è quella invece relativa alla “chiamata”, definiamola così, anche se impropriamente. Non si tratta infatti di una semplice chiamata; è in qualche modo un’espansione del part-time.
Noi abbiamo semplicemente interpretato le norme previste dal decreto legislativo pubblicato nel febbraio di quest’anno, che riguarda proprio la disciplina su part-time, e che è poi la disposizione che recepisce la direttiva europea su tale forma di lavoro.
In concreto, questa “chiamata”, questa espansione del part-time, poteva avvenire soltanto per certe causali, che vanno dalle commesse impreviste alla sostituzione di lavoratori in malattia, in maternità. Oltretutto ogni giorno di chiamata non poteva avere una durata inferiore a quella di un turno normale di lavoro, quindi se si lavora in 8x5x3 di 8 ore; nel 6x6x3 di 6 ore; se è un turno normale, di 7 ore e mezza.
Era previsto anche il diritto del lavoratore a rifiutarsi?
Certamente. Innanzitutto il lavoratore avrebbe potuto rifiutare l’offerta in presenza di un altro impegno lavorativo. Perché ovviamente, essendo il lavoratore occupato in un periodo di tempo prestabilito, che può essere, per esempio, da dicembre a fine marzo, per il resto dell’anno è libero di trovare un altro contratto di part-time verticale, che sono poi casi che già si verificano. Ad esempio, di fronte a uno degli stabilimenti Zanussi a stagionalità estiva c’è una fabbrica che produce mostarda, che ha la stagionalità inversa, per cui abbiamo già dei lavoratori che lavorano 4-5 mesi da noi e 4-5 mesi nella fabbrica di fronte. Senza nessun problema.
Allora, a fronte della chiamata, che avviene con un preavviso minimo di 72 ore, di tre giorni quindi, il lavoratore si può rifiutare -o meglio si sarebbe potuto rifiutare dato che l’accordo è decaduto- di prestare la propria attività se ha già un altro lavoro, se sta facendo della formazione; se è in malattia, puerperio; insomma per tutte quelle cause che normalmente danno impedimento alla prestazione lavorativa, così come se sta svolgendo missioni umanitarie, se è un componente della Protezione Civile, e anche per cause soggettive, di impedimento oggettivo; se io sono in vacanza a Timbuctù e mi chiamano, dirò: “No, ragazzi, non posso”.
Insomma era ampiamente garantito.
Tra l’altro, le ore di lavoro prestate al di fuori del part-time ciclico verticale propriamente detto, sarebbero state remunerate con una maggiorazione.
E in caso di chiamata, il periodo minimo, a seconda della causale, sarebbe stato di 3, 7 o 15 giorni.
Infine, questa forma di part-time ciclico a espansione programmata dava diritto alla prelazione nel caso di assunzioni a tempo pieno. Questa proposta si rifaceva a una modalità della prestazione lavorativa molto diffusa in Olanda, dove addirittura non esiste il part-time ciclico sicuro e garantito; esiste semplicemente la “chiamata” e il 17% delle imprese fa uso di questa forma di lavoro. E il 16% circa degli occupati utilizza questa forma di lavoro, per cui tutto sommato in un paese in cui la garanzia dei diritti dei lavoratori è così tutelata, ci sembrava che questa potesse essere in qualche modo un’idea da cui prendere spunto.
L’innovazione era data anche dal fatto che questo era un contratto che prevedeva un diritto soggettivo alla formazione… ...[continua]

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