Simone Mattioli, 38 anni, è il presidente della cooperativa pesarese "Labirinto", che ha 180 soci e una sessantina di dipendenti non soci. E’ stato uno dei promotori del consorzio Fuori Margine, che coinvolge complessivamente un migliaio di lavoratori, di cui circa 200 svantaggiati, per un fatturato di 25 miliardi nel ’97.

Nei mesi scorsi abbiamo aperto un dibattito tra operatori e sindacalisti sulla cooperazione sociale e sui pericoli che sta correndo. A partire dalla tua esperienza, tu esprimi delle perplessità su quanto emerso in particolare dal forum di Milano dove si evidenziavano alcuni rischi molto gravi: quello di una nuova ghettizzazione della persona disagiata; quello di una deregulation contrattuale ottenuta sfruttando sia l’istituto del salario convenzionale, nato in altra epoca per tutelare categorie deboli, sia l’ambiguità della figura del socio-lavoratore; quello di una mancanza di trasparenza e partecipazione nella vita societaria delle cooperative. Si denunciava poi, come una delle cause di tutto ciò, la logica del massimo ribasso portata avanti da gran parte degli enti locali. Tu cosa ne pensi?
Intanto voglio dire che il rapporto tra la cooperazione sociale e il sindacato pesaresi è ottimo (parlo di Cgil perché il resto esiste poco) a tal punto da mettere in difficoltà i rappresentanti del sindacato locale di fronte ai loro colleghi regionali e nazionali. Qui il sindacato ha dimostrato di essere capace di capire la complessità del sistema della cooperazione sociale in cui è difficile dividere le cose in bianco e nero. Non si può andare a parlare alla cooperativa sociale come con Fossa e la Confindustria. E’ vero che ci sono tutti quei pericoli che hanno riscontrato i sindacalisti della Lombardia, ma contro quei pericoli ci battiamo anche noi perché la diffusione sul territorio nazionale di una cooperazione spuria non ci avvantaggia certamente.
Noi vogliamo correggere questa situazione e crediamo che, per farlo, sia fondamentale lavorare proprio con il sindacato. Se poi, insieme al sindacato, si istaurano anche ottimi rapporti col territorio, intendo gli enti locali, i pericoli possono essere allontanati.
Il rischio che ho sentito in quel dibattito è che, evidenziando solo i pericoli, per quanto reali, si finisce per far passare l’idea che la cooperazione sia solo questa e non è così. Il sindacato per primo lo sa che ci sono delle esperienze positive e che quelle meno interessanti sono una minoranza. Non solo, ma evidenziando soltanto i pericoli, le storture, alla fine si ottiene il risultato che anche la cooperazione sociale che non è così, e che non vuole esser così, finirà per avere un rapporto col sindacato improntato alla diffidenza.
Vediamo, allora. Uno dei rischi analizzati in quel dibattito è che la cooperazione sociale di tipo B possa portare a una nuova ghettizzazione del portatore di handicap. C’è questo rischio?
Si c’è, però anche qui: in questa nostra provincia ci sono cooperative che hanno il 60% di persone svantaggiate che lavorano; in questo 60% ci sono soggetti gravi che non troverebbero lavoro in nessun’altra situazione. Certo, c’è un’altra parte di soggetti che potrebbero andare a lavorare nelle imprese, solo che queste non li vogliono. Allora? Sarebbe giusto che trovassero un lavoro dentro un’impresa, ma se l’impresa preferisce pagare le multe piuttosto che prenderli, che facciamo?
E’ interessante quello che è successo a Treviso dove la cooperazione sociale ed altre istituzioni di riferimento, come l’ispettorato del lavoro, i sindacati stessi, l’associazione degli industriali e i datori di lavoro, hanno fatto un protocollo in cui dicono: "Noi rinunciamo a preoccuparci di questo 6% di svantaggiati che dovremmo assumere per legge, diamo delle quote di lavoro a cooperative sociali e ci pensano loro a inserirli, che lo fanno anche meglio". Detta così non è piaciuta a nessuno, è molto ghettizzante, però intanto è diverso dal fare le cooperative sociali apposta, sfruttando i portatori di handicap. E in secondo luogo, quando non c’è alternativa (e succede spesso), credo che non ci sia nulla di scandaloso se qualche meccanismo legislativo o accordo territoriale può portare l’impresa a dare 300 milioni di lavoro all’anno ad una cooperativa sociale che con quei soldi riesce a far lavorare 3 persone svantaggiate che altrimenti non troverebbero lavoro.
Veniamo alla questione del salario convenzionale che era uno dei problemi più gravi denunciati dal sindacato bol ...[continua]

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