Maurizio Mori è componente della Consulta di Bioetica e dirige la rivista “Bioetica”.

La consulta di Bioetica ha avanzato una proposta di legge sul riconoscimento della carta dell’autodeterminazione. Di cosa si tratta?
La carta dell’autodeterminazione, che ogni tanto viene anche chiamata testamento biologico o living will, testamento di vita, o ancora bio-card, per stemperare il pathos, in sostanza è un documento in cui uno lascia per iscritto le disposizioni circa i trattamenti che vuole gli vengano riservati nelle fasi terminali della vita, nel caso avesse perso la capacità di intendere e volere e fosse quindi diventato “incompetente” come noi diciamo.
Senz’altro è un passo decisivo e sostanziale nella questione relativa alla fine della vita, perché si tratta di introdurre anche nell’ordinamento giuridico il riconoscimento dell’autonomia e delle capacità di scelta in tale ambito.
In quali casi è contemplata tale possibilità?
Per adesso è consentito solo nei casi legali, cioè ad esempio per la sospensione delle terapie, che è prevista dall’ordinamento: i medici già potrebbero sospendere le terapie, anche se, di fatto, ciò non succede per un eccesso di autotutela da parte del medico.
Senz’altro più controversa resta invece la questione relativa allo stato vegetativo persistente, perché si tratta di persone che ormai hanno perso le funzioni superiori del cervello, ma rimane il tronco encefalico, per cui si ha ancora respirazione autonoma e questo permette di resistere anni, anche decenni. Questi sono casi non ancora previsti, perché non rientrano nella definizione di “morte cerebrale”, anche se per loro non c’è speranza di ritorno a vita cosciente.
Ora, in questo caso uno potrebbe richiedere appunto la sospensione delle terapie oppure di lasciare i propri resti corporei, mortali (bodily remains li chiamano in inglese perché a quel punto non si può neanche più parlare di “corpo”) ad esempio, per la sperimentazione scientifica, per testare nuovi farmaci. Ormai la persona non c’è più, non c’è neanche più la capacità di provare piacere o dolore... Ecco, può sembrare brutale, ma secondo me sono già morti, indipendentemente dal fatto che respirino: sono morti in quanto persone, non in quanto esseri umani. La distinzione tra essere umano e persona per me è fondamentale: non tutti gli esseri umani sono persone.
So che sono affermazioni abbastanza impressionanti, sconcertanti, non a caso l’estensione della nostra capacità di autonomia in questi nuovi ambiti crea non pochi problemi. Io però mi chiedo se non sia comunque meglio essere consapevoli e prendere atto del cambiamento intervenuto, casomai anche scegliendo di non accettare questa opportunità di intervento.
Perché proprio oggi si rende opportuno un intervento di questo tipo?
Si tratta evidentemente di una questione controversa. Quello che è certo è che ormai gli avanzamenti tecnici in campo bio-medico, con la capacità di conoscere e sostenere la vita biologica, impongono scelte precise in proposito, che non sono più demandate o demandabili a terzi. E questo non perché, come sostengono molte delle tesi conservatrici e tradizionaliste, la tecnica distrugge ogni valore, ma piuttosto in quanto apre nuove possibilità di scelta. Ecco, se Sartre diceva: “Siamo condannati a essere liberi”, sottolineando soprattutto il peso della libertà, possiamo dire che la carta dell’autodeterminazione è un ulteriore passo in quella direzione. D’altra parte, un tempo l’autodeterminazione non esisteva neanche in campo sociale: non occorreva scegliersi il lavoro (arrivati a una certa età, senza neanche rendersene conto, si faceva il lavoro del proprio padre), e nemmeno se, quando o chi sposare (decidevano i genitori). Oggi dobbiamo continuamente scegliere cosa fare, e talvolta è senz’altro un grosso carico, perché il campo di scelta oggi si estende fino a coinvolgere la sfera biologica.
Qui varrebbe la pena di essere chiari anche su un punto: non è vero che sulle questioni che stiamo trattando le decisioni non vengono prese, che vengono prese dalla natura: le prende comunque qualcuno. E allora noi riteniamo che la persona più titolata a prendere tali decisioni sia il soggetto medesimo, appunto lasciando disposizioni conformi alle proprie volontà. Ove questo non accada, o nel caso che la situazione che si verifica non fosse prevista, l’interessato può designare un fiduciario, eventualmente anche un vice, (se l’incaricato risultasse irreperibile oppure fosse la ...[continua]

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