Visto il gran parlare intorno all’economia sommersa come risorsa per il Sud, bisognerebbe sapere se tutto quel che è sommerso è di per sé positivo...
Meldolesi. La prima osservazione che posso fare è che nella letteratura internazionale si distinguono tre tipi di sommerso: un sommerso di sopravvivenza, un sommerso di sfruttamento e un sommerso di sviluppo. Il sommerso di sopravvivenza è costituito dai nostri vu cumprà e da chi lava i vetri delle auto ferme ai semafori. Questa è una condizione che in Italia non è molto diffusa, non ha una grande dimensione economica, perché svolta normalmente da immigrati o da persone che si trovano in condizioni particolarmente disastrate. Gli altri due tipi di sommerso, che chiamerei in altro modo, volendo adottare un linguaggio più neutrale, sono al centro del nostro colloquio. Io li chiamerei “sommerso a basso reddito” e “sommerso strutturale”. Il sommerso a basso reddito è una condizione che esiste nel Mezzogiorno, ma che, secondo me, deve essere abbandonata. Si tratta di produzioni in concorrenza con quelle del Terzo Mondo, che esistono nel nostro sistema perché il mercato del lavoro funziona male. E funziona male anche per ragioni culturali gravi, come l’atteggiamento di chiusura delle diverse comunità o certi pregiudizi sul lavoro femminile... Tutto ciò crea un sommerso a basso reddito, e quando dico “a basso reddito” intendo sotto le 500 mila lire al mese. Alcuni miei studenti, per esempio, hanno lavorato in fabbrica per 400 mila lire al mese, senza vedersi pagare i contributi e senza pagare imposte. Invece, l’altro tipo di sommerso, quello di cui io mi occupo, è un sommerso nel quale c’è una produttività più bassa rispetto al Centro-nord del Paese, ma più alta rispetto ai concorrenti del Terzo Mondo. In sostanza, mentre in Albania il salario è di 100 mila lire al mese, qui c’è un salario che oscilla intorno al milione di lire. Sto sempre parlando di lavoro comune, non di giovani che devono cominciare a lavorare né di persone che hanno tali capacità produttive che nel sommerso possono arrivare a toccare livelli retributivi di diversi milioni al mese. Questo sommerso strutturale costituisce il vero problema.
Ora, bisogna vedere se l’ambiente preferisce il sommerso “bianco” oppure quello “nero”. Nel napoletano è il secondo ad essere normale. Qui, in pratica, c’è un accordo tra imprenditore e lavoratore per cui il salario è più alto, ma si imbroglia lo Stato. Nel pugliese, invece, la condizione più normale è quella per cui si pagano i contributi e le imposte, ma il salario è molto più basso, per cui lì, anche in presenza di un basso salario, il costo del lavoro non è basso. In questo settore come livello di produttività c’è una componente di vitalità effettiva, che si situa a metà strada tra i distretti industriali del Centro-nord e le produzioni standardizzate del Sud. Questo perché c’è una vera capacità produttiva: si tratta di aziende che lasciano a desiderare da molti punti di vista, però hanno la cosa più importante, ossia gente che sa lavorare, artigiani con esperienza che possiedono una certa capacità di fare. E questo è l’elemento più importante dal punto di vista economico, perché le aziende possono venire capitalizzate, riorganizzate o informatizzate, ma se non hanno gente che sappia lavorare, allora...
A questo proposito, tempo fa discutevo con una sindacalista della Filtea-Cgil e ci trovavamo d’accordo proprio sul fatto che il sommerso napoletano possiede una capacità produttiva vera che crea potenzialità economiche altrimenti inesistenti. Il vero problema del sommerso strutturale è creare dei modi per migliorare una produttività che già oggi non è da buttar via. E il problema è lì perché l’emersione può avvenire in due maniere: o a basso salario o con il miglioramento delle condizioni dei lavoratori in conseguenza di un miglioramento della produttività. La scelta, io credo, dev’essere quest’ultima.
Scopino. Sì, però, così lei ha fatto un’estrapolazione, ha tirato fuori il segmento più importante del sommerso, ma la varietà del so ...[continua]
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