Chiara Saraceno, sociologa, è direttrice del Dipartimento di Scienze sociali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. Autrice di numerosi saggi, il suo ultimo lavoro, condotto insieme a Nicola Negri è: Le politiche contro la povertà in Italia (ll Mulino ’96).

Come è cambiata la povertà in Italia, dal dopoguerra ad oggi?
Ricordo che nella mia infanzia, durante gli anni ’50 i mendicanti erano presenti per le strade, poi sono spariti, a partire dalla metà degli anni ’60 fino all’inizio degli anni ’80, quando ricomparvero, sebbene con caratteristiche diverse. Con la visione del mendicante, sembrava fosse sparita la stessa povertà. E infatti, durante gli anni del boom, del nuovo benessere economico, si riteneva, non che la povertà non ci fosse, ma che rimanesse qualcosa di residuale, che poteva sparire con lo sviluppo. Perciò tutta l’attenzione si spostò sulla crescita, sull’affermazione di nuovi diritti di cittadinanza. Si dava per scontata una serie di cose: la centralità del lavoro, il fatto che i diritti sociali fossero strettamente legati allo Statuto dei lavoratori e che dall’altra parte la famiglia coprisse tutti quelli che non erano garantiti dal lavoro. Solo più tardi ci si è accorti, in Italia come negli altri paesi, che nell’abbondanza c’è la povertà. E oggi ci si rende conto che anche quelli che erano stati coperti dallo sviluppo stanno perdendo garanzie. Il lavoro sta ridiventando fragile per una quota della popolazione, la famiglia diventa fragile e quindi non protegge più come prima. Anche se in Italia la povertà è legata ancora fortemente alla disoccupazione, alla mancanza di lavoro sia del capofamiglia, sia di altri membri della famiglia, visto che un solo occupato non può reggere il peso dell’intero nucleo familiare, cominciano a esserci percorsi dentro la povertà che non nascono necessariamente dalla perdita del lavoro.
Dietro il problema della rimozione della povertà c’è, da un lato, il fatto che il movimento operaio storicamente ha accantonato il problema; dall’altro, il fatto che la stessa Chiesa cattolica, a differenza di paesi come la Francia e la Germania, abbia rimosso a sua volta il problema.
Nel mondo operaio c’era la preoccupazione, anche fondata se si vuole, che l’attenzione su questo tema potesse attenuare la tensione sul problema della diseguaglianza. Basti pensare agli Stati Uniti, dove le politiche di supporto ai poveri sono in alternativa all’azione di sostegno alla sicurezza sociale. In Italia, però, c’è anche una diffidenza cronica verso l’obiettivo del reddito minimo, anche da parte dei sindacati, perché viene visto in alternativa a dare lavoro, come qualcosa di non etico: cioè, avere un reddito senza lavorare non piace. Insomma, se si fa la lotta alla povertà si trascura la lotta per l’occupazione. Nel mondo cattolico, invece, c’è il timore di rendere più deboli le cosiddette solidarietà informali, ossia la famiglia e i gruppi di base, il timore che l’intervento pubblico per politiche forti contro la povertà possa deresponsabilizzare non solo il singolo, ma anche i gruppi informali. Il che è drammatico, perché sono proprio queste realtà che sono state ultimamente sovraccaricate di compiti e ruoli.
Che caratteristiche ha avuto la politica sulla povertà, se c’è stata, in Italia?
Non c’è stata una politica, o delle politiche coerenti, di lotta alla povertà in Italia. Nessuna delle politiche che noi possiamo individuare fornisce l’idea di un progetto organico, perché sono politiche frammentarie -ma questo potrebbe anche non essere un problema- e, soprattutto, incoerenti fra di loro. In particolar modo, disegnano, anche all’interno del mondo dei poveri, situazioni di maggiore o minore protezione. Possiamo dire che due sono le categorie che hanno trovato una forma di protezione abbastanza consolidata, accettata, anche se fortemente modesta. La prima è quella degli anziani privi di pensione e anche di reddito, l’altra è quella degli invalidi civili. Sono queste le due tipologie di cittadini che hanno avuto una forma di reddito minimo, talmente minimo che, se dovessero campare con quello, non ce la farebbero. Però, sono le uniche due categorie che rispondono al dettato costituzionale che parla di persone prive di risorse con diritto ad avere un sostegno minimo. Questa situazione spiega il perché le pensioni d’invalidità sono causa di illegalità e furberie. Se ci fossero indennità di disoccupazione degne di questo nome, o un reddito minimo, ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!