Andrea Pugiotto è professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Ferrara. In prima fila nella battaglia per il miglioramento della condizione delle carceri e per l’abolizione dell’ergastolo, tra i suoi libri, curati con Franco Corleone,  segnaliamo Il delitto della pena (Ediesse, 2012) e Volti e maschere della pena (Ediesse, 2013).

Quando e perché ha scelto di fare della questione carceraria, e in particolare dell’ergastolo, non solo il suo filone principale di studio, ma anche una vera e propria battaglia civile?
Provo a rispondere muovendo da un dato giuridico. Nel nostro ordinamento penale esiste un principio secondo il quale, quando si ha il dovere giuridico di impedirlo, non evitare un reato equivale a cagionarlo. Analogamente, avere una competenza, cioè un sapere, e non fare nulla è un grave peccato di omissione o, per noi laici, una grave responsabilità personale. Nasce da qui, da questa consapevolezza, l’urgenza non solo di studiare e di scrivere, ma anche di trovare strumenti inediti ed efficaci in grado di veicolare il proprio sapere in una battaglia di scopo.
Non accade spesso, tra i membri dell’Accademia…
Non saprei dire. E comunque, in questo, ognuno risponde solo a se stesso: nel mio caso la circolarità tra l’impegno scientifico e l’impegno civile era un esito pressoché obbligato. Da costituzionalista, infatti, ho sempre pensato il Diritto come violenza domata, e la Costituzione come regola e limite al potere.
Visti da tale angolazione, il carcere e le pene rappresentano indubbiamente un campo d’indagine privilegiata, un banco di prova tra i più impegnativi per misurare la distanza tra la dimensione ontica del diritto, la sua effettività, e la dimensione deontica del diritto, il suo dover essere. O, se preferisce, tra il diritto vivente e il diritto che insegno.
Iniziamo dall’ergastolo, al cui superamento lei ha dedicato un’attenzione tutta particolare. Un tema impopolare, senza parlare del luogo comune, difficile da scalfire, per cui "l’ergastolo in Italia non esiste più”.
Sul tema dell’ergastolo -ma vale in realtà per tutti i principali problemi che ruotano attorno alle pene e alla loro esecuzione- è davvero larga la forbice tra il senso comune e la realtà delle cose. Ecco perché è fondamentale la parola, lo scritto, il dibattito pubblico, la capacità di creare momenti di riflessione non reticente: tutte occasioni capaci di colmare la distanza abissale tra l’opinione omologata, la doxa dominante, e la consapevolezza delle cose, l’epistème. Quante persone sanno, ad esempio, che in Italia esistono non uno ma più tipi di ergastolo? Quante sono al corrente che, al 22 settembre 2014, dietro le sbarre si contavano 1.576 ergastolani, dei quali ben 1.162 ostativi?
Parlo di ergastoli al plurale perché, accanto a quello comune contemplato nell’art. 22 del codice penale, presentano un proprio regime autonomo e una propria ratio l’ergastolo con isolamento diurno (art. 72 c.p.) e l’ergastolo ostativo (per i reati previsti all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario). Di ergastolo nascosto si deve poi parlare per l’internamento dei rei folli negli ospedali psichiatrici giudiziari che, di rinnovo in rinnovo, spesso si traduce in una detenzione senza fine. Degli attuali 1.576 ergastolani, molti sono reclusi da oltre 26 anni, che pure è il termine raggiunto il quale è possibile accedere alla liberazione condizionale, anche se si sta scontando una pena a vita. Altri addirittura sono in carcere da più di 30 anni, che è la durata massima per le pene detentive. Quanto agli ergastolani ostativi, sono condannati a morire murati vivi, perché per essi -salvo non mettano qualcuno al loro posto, collaborando proficuamente con la giustizia- le porte del carcere non si apriranno mai. Mi, e vi, domando: dobbiamo forse attenderne la morte in carcere per affermare che queste persone stanno scontando una pena senza fine?
L’ergastolo, però, è già stato sottoposto a giudizio, sia costituzionale -mi riferisco alla sentenza n. 264 del 1974- che popolare con referendum radicale del 1981, e tutte e due le volte ne è uscito confermato.
Quanto a quel voto popolare contrario all’abrogazione dell’ergastolo, come per ogni altro referendum, la vittoria del no non produce alcun vincolo giuridico, perché solo la vittoria del sì -con conseguente cancellazione della legge- è in grado di innovare l’ordinamento. Semmai, il fatto che la Corte Costituzionale abbia dichiarato ammissibile i ...[continua]

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