David Calef è coordinatore nazionale di JCall-Italia (European Jewish Call for Reason) ed esperto di emergenze umanitarie e sicurezza alimentare presso la divisione di Emergenza e Riabilitazione della Fao.

In Israele e Palestina la situazione è di nuovo precipitata. Tu sei impegnato in Jcall, il movimento d’opinione di ebrei europei nato nel 2010 sulla base di un "appello alla ragione”. Puoi intanto raccontare qual è la vostra posizione?
Jcall è nato nel 2010 con una presentazione formale al Parlamento di Bruxelles.
All’origine dell’iniziativa c’è un incontro tenutosi a Parigi in una biblioteca di letteratura Yiddish, nel dicembre del 2009, in cui David Chemla, all’epoca uno dei leader di "La paix maintenant” (la pace adesso), aveva invitato alcune persone da vari angoli dell’Europa per costituire, appunto, un’associazione, ebraica nella maggioranza dei membri, di persone legate a Israele perché ci sono nate, ci vivono, hanno il passaporto, o anche per ragioni culturali, ideali, preoccupate per il destino del sogno sionista. Un’associazione che, pur dichiarando esplicitamente il proprio legame con Israele, si dichiarava libera di criticare le politiche del governo israeliano, soprattutto riguardo la questione palestinese.
L’idea partiva dalla presa d’atto che, in Europa, la maggior parte delle associazioni ebraiche nazionali, l’Ucei in Italia, il Crif in Francia, eccetera, sono esplicitamente schierate "senza se e senza ma” con il governo israeliano, senza mai interrogarsi se le politiche adottate appoggino veramente gli interessi di un paese democratico a maggioranza ebraica. E qui si entra subito nel merito delle questioni, perché Israele, stato democratico e pluralista, fuori dai confini del ’67 può dirsi tale solo per gli abitanti degli insediamenti, non certo per i palestinesi che si trovano o parzialmente o totalmente sotto controllo israeliano e che, ad esempio, per andare a trovare il cugino, devono chiedere il permesso, fatto che chiunque viva in Occidente considera un’aberrazione e una prevaricazione da parte di Israele.
Purtroppo, non solo le istituzioni ebraiche sono schierate con Israele senza esitazione, ma anche la maggioranza degli ebrei europei ha questa inclinazione. Noi, molto semplicemente, nutriamo il dubbio che questo non sia il modo migliore per appoggiare Israele. Questa è la ratio che spiega la nascita di quello che volevamo essere: un movimento europeo in grado di andare oltre le realtà nazionali.
È stato così stilato un "appello alla ragione” in cui dichiariamo di essere per due popoli, due stati, ma denunciamo anche come da Netanyahu a Naftali a Bennett, a Liebermann, a Uri Ariel, il governo sia esplicitamente contrario alla creazione di uno stato palestinese al proprio fianco. Perché comunque noi parliamo di uno Stato palestinese vero, sostenibile, "viable”, come si dice in inglese, e non un’entità frammentata in uno spezzatino. All’indomani del nostro appello c’è stata subito una contro-reazione in Francia e successivamente anche in Italia. L’appello francese, sottoscritto anche da molti italiani, facendo un po’ il verso all’appello alla ragione di JCall, si intitola "Reason Garder”, conservare la ragione. Non ho detto che JCall a sua volta riecheggia il movimento nato nel 2009 negli Stati Uniti con il nome di JStreet. Negli Stati Uniti c’è un contesto diverso: gli ebrei europei tendono ad essere di centro e conservatori; gli ebrei americani tendono ad essere, invece, liberal e di sinistra. Non solo, l’antisemitismo è un fenomeno assolutamente marginale e anzi c'è un sincero filosemitismo, nel senso che la gente pensa che essere associati agli ebrei, all'ebraismo sia una cosa cool. Purtroppo non è così in Europa, dove le pulsioni antisemite stanno invece riemergendo, ma questo è un altro discorso.
Comunque, per concludere, JCall è nato con l’obiettivo di far sentire una voce ebraica diversa e di promuovere un dialogo nelle comunità ebraiche europee; un dialogo all’interno del quale sia possibile, ad esempio, avanzare il dubbio che la costruzione di insediamenti non sia la via migliore per creare uno stato palestinese. Sempre che sia quello l’obiettivo.
L’8 luglio, a Tel Aviv, c’è stata una conferenza organizzata da "Haaretz”, quotidiano israeliano con posizioni molto simili alle nostre; erano presenti esponenti politici e della società civile; c’erano il partito laburista, il Meretz, ma anche Naftali Bennett, persone con visioni molto differenti ...[continua]

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