Mustafa Barghouti, medico e dirigente politico palestinese, cugino del più conosciuto Marwan, prigioniero nelle carceri israeliane, è stato candidato alla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) nel 2005, su posizioni di alternativa di sinistra al duopolio di Fatah e Hamas.

Per lei le elezioni del 2005 sono state un momento fondamentale...

Sì, perché, malgrado le misure di boicottaggio messe in atto da Israele, offrirono ai palestinesi l’occasione di una competizione reale fra diversi indirizzi politici. Fu la prima vera sfida democratica ad un leader della classe dirigente nel mondo arabo. Con quel voto si aprirono le porte alle elezioni legislative dell’anno successivo e i partiti si dotarono di strumenti per combattere le falsificazioni dei risultati elettorali le volte seguenti.
E infatti Hamas vinse le elezioni legislative del 2006… Perché accadde, a suo giudizio?
Per due ragioni -e non dico nulla di nuovo. In primo luogo, Hamas aveva lavorato tra la gente, fornendo ottimi servizi sociali; e poi riuscì ad incanalare la rabbia popolare contro la cattiva condotta del precedente governo, fatta di corruzione, nepotismo e clientelismo.
Dalla sua istituzione nel 1994, l’Anp avrebbe dovuto gradualmente sostituire l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) quale interlocutore per la negoziazione della pace. Qual è la situazione attuale?
Dagli accordi di Oslo sono accadute tre cose. L’Olp è stata ridimensionata sino a diventare un organo interno all’Anp. In secondo luogo, la vecchia Olp non ha potuto assorbire tutti i nuovi gruppi politici: ad oggi, il 50% dello spettro politico palestinese ne è escluso. Anche il mio partito (Iniziativa nazionale palestinese, Ndr) che ha partecipato a qualche assemblea, non è ancora stato accettato ufficialmente. Infine, a causa delle restrizioni degli accordi di Oslo, l’Olp ha ormai perso il proprio ruolo di leadership della diaspora. È un bene, pertanto, che in occasione delle prossime elezioni non si voterà soltanto per la presidenza e il Consiglio legislativo dell’Anp, ma anche per il Consiglio nazionale palestinese, organo legislativo dell’Olp, che deve aprire le porte a tutte le forze oggi escluse.
Lei ha auspicato una terza Intifada: come la immagina?
La terza Intifada dovrà essere del tutto nonviolenta e guidata da una leadership di unità che dovrà agire compatta attraverso azioni politiche e di lotta: è ciò di cui la nostra causa ha bisogno per avere successo.
La disturba, da laico progressista, che la leadership iraniana dichiari il proprio incondizionato sostegno alla vostra causa?
Chiunque può appoggiare la nostra lotta, senza cercare però di influenzare le nostre posizioni, che devono essere rivolte all’interesse esclusivo del nostro popolo. La politica palestinese deve riuscire a liberarsi da ogni condizionamento e pressione internazionale, a cominciare naturalmente da tutte le ingerenze israeliane.
Lei rappresenta una "terza forza” fra Hamas e Fatah: qual è il vostro obiettivo, oggi?
Innanzitutto disinnescare il conflitto fra le due parti, molto dannoso perché viene usato per indebolirci: la divisione fra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania serve, ovviamente, agli interessi di Israele. Il problema è che tanto in Cisgiordania quanto a Gaza esiste un sistema di nepotismo e monopartitismo: questa è la ragione per cui anche Hamas sta perdendo molto in termini di popolarità nella Striscia, seguendo le orme di Fatah in Cisgiordania. Ciò di cui abbiamo bisogno è di superare questi due sistemi di potere, aprendo uno scenario autenticamente democratico, proprio per essere più forti di fronte a Israele.
A proposito del conflitto con Israele: pensa che la soluzione dei "due stati per due popoli”, che il suo partito sostiene, sia ancora praticabile?
Non so se sia ancora praticabile: l’abbiamo sostenuta perché la consideriamo la via più semplice, ma al contempo la vediamo svanita o prossima a svanire, distrutta da Israele. Se davvero diventasse assolutamente irrealistica, allora non avremo altra scelta che chiedere una soluzione con uno stato unico. In ogni caso, all’interno di entrambi gli scenari noi lottiamo contro l’apartheid, l’oppressione, l’ingiustizia e la privazione della nostra libertà.
Lei parla di stato unico. Ma di che tipo? E con quale nome?
Possiamo discuterne, ma la cosa più importante è che applichi il principio "una testa un voto”, con uguaglianza totale di diritti fra israeliani e palestinesi.
Un ...[continua]

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