Massimo Teodori, storico e saggista, insegna Storia americana. Fra le sue pubblicazioni più recenti Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista, Marsilio, 2008 e Pannunzio, Mondadori, 2010. Ha curato Il carteggio Salvemini-Pannunzio (1949-1957), Camera dei deputati Archivio storico, 2010.

Leggendo il tuo libro su Pannunzio la cosa che più colpisce è questa sua capacità di mettere insieme tutte queste persone che la pensavano diversamente una dall’altra e restando però, nello stesso tempo, fedele a una linea politica rigorosa. È un personaggio straordinario. Ci puoi raccontare?
Innanzitutto va detto che la vita di Pannunzio, che nasce nel ’10, è una vita complessa perché per una prima parte che va fino al 1942, Pannunzio è essenzialmente un letterato umanista dai vasti interessi civili e culturali, ma che non si occupa di politica. In quel periodo, cioè dal 1928-29, quando lui aveva 18-19 anni, fino al ’42, fa una serie di riviste -"Oggi”, "Argomenti”, e via di seguito- che sono dapprima essenzialmente letterarie e culturali e che poi diventano, alla fine degli anni 30, dei settimanali di attualità.
Poi lui è un pittore che viene invitato a 19 anni a esporre i suoi quadri alla prima quadriennale d’arte che si apre nel 1932 a Roma. Un pittore, quindi, molto promettente. Poi, cosa singolarissima, diventa un grande esperto di cinematografia. Frequenta il primo corso del centro sperimentale di cinematografia che si apre a Roma nel 1935 e da allora, per tutta la fine degli anni 30, fa molte scenografie e alcune regie, rimaste abbastanza sconosciute. Poi, nel 1937 viene chiamato come redattore capo, insieme ad Arrigo Benedetti, a "Omnibus” di Longanesi, su cui scrive per due anni una colonna di cinema settimanale. Quindi, di questo periodo, ci rimangono 120 colonne di critica cinematografica. Poi "Omnibus” viene soppresso e lui ricrea un’altra sua rivista, insieme a Benedetti, che si chiama "Oggi” che va avanti fino al 1941.
Su queste sue riviste, soprattutto queste ultime alla fine degli anni 30, che sono dei rotocalchi d’attualità, si ritrovano già tutte quelle grandi firme, da Nicola Chiaromonte ad Alberto Moravia, da Corrado Alvaro a Mario Tobino, ma la lista è lunghissima, che poi, nel dopoguerra, collaboreranno con lui, prima nel quotidiano "Risorgimento Liberale” e poi nel "Mondo”.
Quindi, dicevo, il personaggio è complesso perché fino a 32-33 anni è un personaggio non caratterizzato politicamente. Qual è la sua definizione politica? Questo è importante, perché si rifletterà anche sul dibattito che c’è stato nel primo dopoguerra. Lui si definisce a-fascista, cioè uno di coloro che non erano degli antifascisti militanti, ma che non erano neanche assolutamente dei fascisti. Tanto è vero che in tutti i suoi scritti di carattere culturale, sia che riguardino la cinematografia, che l’arte, la letteratura, o la cultura in generale, ha sempre un punto di vista molto distante da quello del regime. Pannunzio, cioè, non è stato mai un uomo collaterale al regime. Per intenderci, non ha fatto mai nessuna di quelle cose che molti intellettuali, passati nell’immediato dopoguerra direttamente al partito comunista, avevano fatto negli anni 30.
Quindi lui era a-fascista. Però coltivava una grande quantità di interessi, letterari, politici, storici e artistici. La sua biblioteca, che io conosco, contava 30.000 volumi. E lui, di fatto, si fa un’educazione liberale, liberale in senso moderno, che si trova riflessa nell’unico saggio che Pannunzio ha scritto in vita sua. Si tratta di un saggio su Tocqueville, che esce nell’agosto del ’43, cioè all’indomani del 25 luglio. Questo saggio, evidentemente, lo aveva cominciato a scrivere molto prima: ho trovato una serie di quaderni, di appunti su Tocqueville accumulati nel tempo. Che cos’è questo saggio su Tocqueville? In realtà è anche un saggio autobiografico. Pannunzio che vive sotto la dittatura di Mussolini si specchia nel Tocqueville che vive sotto Napoleone III. Leggendo di Tocqueville sembra di leggere la sua storia, la biografia dei suoi primi vent’anni. E questo spiega anche come, nel ’43, quest’uomo, che non era stato un antifascista, viene incarcerato a Regina Coeli per quattro mesi per antifascismo perché aveva cominciato a collaborare ai primi nuclei di ricostituzione del partito liberale che tra la fine del ’42 e l’inizio del ’43 si riunivano proprio qui a Roma.
A lui fu affidata subito la redazione di "Risorgimento Liberale”, che fino al ...[continua]

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