Annibale Osti ha 54 anni, vive a Milano, ha tre figli, lavora in una società di consulenza finanziaria ed è impiegato in varie attività a carattere ciclistico, sociale e culturale.

Tu lavori da sempre nel campo bancario e finanziario.
Il mio percorso lavorativo si può dividere in tre fasi. La prima di apprendistato presso una banca americana, dopo l’università, la seconda con un grande gruppo bancario italiano e la terza con un’attività professionale autonoma, semiautonoma, diciamo precaria...
Tutto è cominciato durante un corso di studi post-universitario in Inghilterra. La mia idea era di proseguire un’attività di tipo accademico, di fare un master in preparazione ad uno sbocco di lavoro presso l’università. Poi è intervenuto il caso: venne ospite, nella casa che dividevo con altri studenti, un loro amico che aveva iniziato a lavorare presso una di queste banche d’affari inglesi e così, parlando con lui a cena -ero già un po’ in dubbio sulla mia capacità o volontà di continuare a fare lo studente a tempo pieno- colsi questo stimolo, accettai il suo consiglio e iniziai a fare questi colloqui. Entrai così in una banca californiana che stava aprendo delle sedi in Europa, la Wells Fargo (famosa per i film western: è nata come agenzia delle diligenze) e aveva interesse appunto ad assumere un neolaureato per prepararlo e poi portarlo in Italia. Iniziai con loro nella filiale di Londra.
Come in tutte le banche americane dell’epoca, il primo lavoro che un neolaureato andava a fare era il cosiddetto analista finanziario, colui che deve analizzare i bilanci, i dati delle aziende clienti o potenziali clienti, preparare e scrivere delle relazioni che poi vengono esaminate e valutate dalla direzione crediti, ovvero dalle persone che decidono quanti soldi la banca è disposta a prestare (a rischiare) nei confronti di un intervento aziendale.
Devo dire che all’epoca queste banche straniere lavoravano soprattutto col settore pubblico italiano. Erano i primi anni ’80, l’epoca delle partecipazioni statali, e di conseguenza c’era la possibilità di finanziare delle grosse aziende sostanzialmente garantite dallo Stato italiano, quindi con un rischio abbastanza basso. Non solo, essendo l’Italia considerato il paese più “fragile” dell’Europa occidentale, le banche prendevano interessi molto più alti di quelli che per la stessa operazione avrebbero preso in Francia, in Germania o in Inghilterra. Infatti le banche estere arrivavano a pioggia; parliamo di banche europee, ma anche appunto americane, giapponesi… e noi analisti avevamo questi pacchi di bilanci, di informazioni, da elaborare. Ovviamente all’epoca non c’erano i pc, quindi si lavorava con la macchinetta calcolatrice, si facevano queste somme e sottrazioni, e si presentavano i dati di queste aziende in una forma sintetica che i responsabili potessero valutare. Normalmente il neoassunto non aveva contatti diretti col cliente, la banca stava bene attenta a tenere chiusi in casa questi giovani promettenti. Era un lavoro tipicamente sulle cifre, e anche di valutazione macroeconomica dell’andamento del paese, il cosiddetto “rischio Italia”.
Il tutto rappresentava una forma di rodaggio, iniziazione, formazione in vista dell’anelata opportunità di contattare i clienti. Per me l’occasione per superare la fase di puro supporto interno alle scelte della banca arrivò abbastanza rapidamente, con l’apertura di una filiale in Italia. Inutile dire che dal punto di vista della banca, avere italiani che lavorassero in Italia rappresentava un grosso risparmio rispetto a mandare degli americani o degli stranieri. Quindi dopo un anno di questo lavoro interno sui bilanci e sui dati delle aziende clienti, fui trasferito a Milano presso questa neocostituita filiale.
La natura del lavoro rimaneva la stessa, quindi analisi dei rischi, però con la possibilità di entrare nella fase negoziale con i clienti. Il rapporto con i clienti si intensificò con l’apertura del comparto “aziende locali italiane”, per i gruppi italiani emergenti. Parliamo di aziende che all’epoca iniziavano a farsi conoscere al pubblico, soprattutto al mercato finanziario, quali Benetton e Parmalat, per fare i nomi più conosciuti.
A quel punto il mio lavoro cambia radicalmente. Intanto viene introdotto, per quello che mi riguarda, l’aspetto commerciale, quindi non solo un lavoro di supporto e di analisi e di calcolo dei coefficienti finanziari (i parametri che permettono a queste temutissime direzioni ...[continua]

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