Marta, Graziella, Aldo e Gianluca sono amici, inquilini e soci della cooperativa “Bovisa – casa ecologica”, che ha realizzato nel 2001 a Milano, in un ex quartiere industriale, il più grande condominio eco-compatibile d’Italia. Composta di 53 appartamenti, realizzata secondo criteri di attento risparmio energetico e sostenibilità ambientale, questa “casa” oggi fa scuola, tanto da essere adottata come modello del marchio di certificazione per le case ecologiche.

Già molti anni fa avevate deciso di costruire un intero condominio secondo criteri ecologici, un progetto nato all’interno del quartiere della Bovisa, in un lungo periodo di trasformazione urbanistica e sociale del territorio urbano. Potete raccontarci la vostra storia?
Aldo. “Bovisa Verde” è nata nel 1984 circa. In quell’epoca e negli anni successivi - siamo intorno al 1987-1988 - incominciava un’importante dismissione delle aree industriali della Bovisa. Il nostro gruppo si era formato grazie all’esperienza vissuta nelle scuole, ancora molti anni prima, quando come genitori ci eravamo incontrati e impegnati a sostegno delle attività educative dell’epoca. All’inizio era stato coinvolto un gran numero di persone, poi pian piano, come accade di solito, si è arrivati ad essere un po’ meno. Comunque, si era creato un gruppo di genitori che si è poi sentito in dovere di proseguire questo impegno di tipo partecipativo. Il quartiere, intanto, andava trasformandosi, molte aree si liberavano. Molte fabbriche avevano già chiuso, altre invece erano ancora attive e producevano. Posso dire che si era ancora in un quartiere operaio, con molte fabbriche, molti corrieri. La Bovisa è un quartiere caratterizzato dal fatto di essere abbracciato dalla ferrovia, che in qualche modo lo chiude, forma una semiellisse di contorno che ha facilitato l’instaurarsi di un’identità. Era ed è un quartiere di gente che si conosce. Tra l’altro, ha questa strana piazza molto bella, con la fontana, che a Milano non è molto frequente. E il recupero di questa fontana degli anni Trenta del Novecento è stata una delle prime cose che abbiamo fatto come associazione.
Marta. Difatti il quartiere, per questo suo esser chiuso a ferro di cavallo, ha avuto un poco un aspetto diciamo “paesano”. Il quartiere all’epoca non è che fosse molto grande, per questo ci si conosceva un po’ tutti. E non era neanche un quartiere dormitorio come accadeva per molte altre zone industriali in quegli anni.
Aldo. L’idea di formare un’associazione a vocazione ambientalista nacque dal fatto che la Bovisa era a Milano una delle zone con meno verde pro-capite, meno di un metro quadro per abitante. E quel poco era assolutamente dequalificato, se non degradato. La prima scintilla quindi è nata da lì, dall’impegno per dare più verde al quartiere. Poi il discorso si è allargato verso altri ambiti: culturale, politico, di solidarietà. C’è stato anche un momento in cui si è ritenuto giusto presentarsi con una lista alle elezioni del consiglio di circoscrizione. L’unico partito che l’aveva sostenuta erano stati i Verdi, per cui per anni siamo stati identificati con loro, anche se nessuno di noi proveniva da quell’esperienza e magari non li votava nemmeno. Sta di fatto che questo ha creato un collegamento con il movimento ecologista. Anche per questo attraverso “Bovisa Verde” sono transitate molte persone. Da qui è stato naturale passare a occuparsi dell’urbanistica del quartiere, infatti in quegli anni stava avvenendo un grosso cambiamento: aveva luogo lo smantellamento delle aree industriali, qualche fabbrica aveva chiuso sul finire degli anni Settanta, altre venivano demolite. Veniva demolita anche la vecchia stazione delle Ferrovie Nord. Negli anni Ottanta questo processo è stato veramente ampio e ha interessato quasi tutto il quartiere. Contemporaneamente diventava evidente il livello di degrado urbano, il deperimento delle case, delle piazze. Rimanevano solo piccoli insediamenti industriali. A livello urbanistico il quartiere, ovviamente, risentiva di tutto questo, la composizione dei suoi abitanti meno. Infatti, il quartiere proprio in virtù di questa vicinanza con i treni, con l’anello ferroviario che lo circonda e in qualche modo lo isola, era frequentato da persone che da fuori Milano, venivano a lavorare nelle fabbriche, più che da altri quartieri. Quelli della Bovisa invece lavoravano da altre parti.
Ad ogni modo, verso la fine degli anni Ottanta il Politecnico si accorge delle potenzialità di un ...[continua]

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