A un anno dall’intervento è possibile fare un primo bilancio?
Vjosa. Personalmente nell’ottobre del 1998, dopo la massiccia offensiva estiva lanciata contro l’Uck, e dopo che era stato firmato l’accordo tra Milosevic e Holbrooke, io ancora ero convinta che si potesse evitare un intervento militare. C’erano le truppe del Kvm (Kossovo Verification Mission) che stavano monitorando la situazione in vista di una sospensione degli attacchi. Anche quando ho saputo che a quel tempo più del 53% delle persone uccise in Kossovo erano donne e bambini, ancora speravo… Non volevo un intervento militare, perché temevo una militarizzazione della società e poi francamente non volevo vedere ancora armi nei Balcani.
Tuttavia, il 16 ottobre 1998, quattro giorni esatti dopo l’accordo Holbrooke-Milosevic, ero sul campo e ho assistito all’ennesimo attacco delle truppe serbe contro villaggi albanesi. A quel punto mi sono detta: “Okay, l’accordo è stato firmato e non succede niente di nuovo”.
Ricordo che quello è stato il giorno in cui per la prima volta ho pensato che niente avrebbe più funzionato. Niente. Perché tanti patti erano stati siglati e Milosevic stava firmando un accordo dietro l’altro, senza rispettarne alcuno. E poi per la prima volta erano i miei stessi pensieri a farmi paura: se ormai solo un intervento militare avrebbe potuto cambiare qualcosa, ebbene, allora, tale intervento doveva arrivare.
Qualsiasi cosa vogliamo dire di Rambouillet, quella è stata l’ultima chance, l’ultima occasione per prendere le due parti e metterle attorno allo stesso tavolo per discutere della questione.
A quel punto, io, come la maggior parte dei kossovari, mi ero ormai orientata a favore di un intervento militare.
Devo anche dire che fino allora il conflitto non si era trasformato in un conflitto etnico; si trattava ancora di una pesantissima repressione del governo di Belgrado contro la popolazione albanese. Certo non c’era la fiducia tra i due gruppi, del resto da tempo vivevamo separati, ma nemmeno odio.
L’intervento infine è arrivato e ci fatto tornare tutti a casa, e questa per me è una conquista straordinaria.
Purtroppo non hanno colpito il regime di Milosevic, e hanno sicuramente compiuto molte azioni che non andavano in direzione della pace nei Balcani.
Innanzitutto hanno lasciato che le truppe di Milosevic se ne andassero senza consegnare le armi. In secondo luogo, quando hanno firmato gli accordi di Komanovo, non hanno nemmeno menzionato i prigionieri di guerra che sono così rimasti ostaggi nelle mani di Milosevic. E come terza cosa, non hanno offerto le opportune garanzie, anche sul piano legale, alle minoranze rimaste in Kossovo.
Malgrado ciò, se guardiamo ai risultati che l’intervento ha portato, certo sono più gli aspetti positivi che quelli negativi. Per la prima volta i diritti umani sono stati considerati più importanti della sovranità dello stato. E questo è un precedente che offre delle speranze per il futuro. Ma, soprattutto, il genocidio è stato fermato. Ancora non sappiamo quanti kossovari albanesi sono morti durante la guerra, molte fosse comuni devono ancora essere scoperte. Solo tre giorni fa hanno trovato il corpo di una mia amica, a Pristina, nel cimitero di Dragodan. Oggi noi tutti abbiamo parenti, amici che ancora risultano scomparsi.
Natasa. Se oggi vogliamo parlare dell’intervento Nato dobbiamo innanzitutto precisare che ci sono differenti aspetti da valutare: politici, legali, di tutela dei diritti umani. Dal mio punto di vista tutti gli albanesi hanno dato il benvenuto all’intervento Nato perché per loro era l’unica possibilità di essere liberati dal potere serbo. Tuttavia, partendo da una visione prettamente politica non hanno nemmeno mai menzionato le vittime, i civili, uccisi dagli attacchi della Nato; infine, non hanno discusso degli aspetti legali dell’intera operazione, anche perché la stessa comunità internazionale non ne ha discusso.
Sul piano del rispetto delle leggi internazionali, il tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia ha detto di non aver riscontrato violazioni delle leggi umanitarie. Amnesty International ha sentenziato invece che l’attacco del palazzo della radiotelevisione serba rappresenta una grave violazione. Human Rights Watch ha poi pubblicato un rapporto sostenendo che la Nato non ha commesso crimini di guerra, ma ha violato alcuni comportamenti di guerra.
Allora, per me, che sono impegnata nella difesa dei diritti umani e nel rispetto delle leggi ...[continua]

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