Michel Wieviorka, sociologo, dirige il Centre d’analyse et d’intervention sociologiques (Cadis) presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales a Parigi. Ha pubblicato recentemente Face au terrorisme. Liana Lévy ’95.

Vorremmo capire un po’ quel che è successo in Francia nel novembre e dicembre scorsi…
Bisogna partire dal momento in cui il Primo Ministro annuncia in Parlamento una riforma della Sécurité Sociale. Il Parlamento, in cui il Primo Ministro gode di una maggioranza rassicurante, applaude in massa questa riforma, assicura il proprio appoggio, si congratula per il coraggio del Primo Ministro. La Cfdt, sindacato moderato, per voce del suo segretario generale, signora Nicole Notat, fa sapere che grosso modo è soddisfatta del progetto di riforma. Dopodiché tutto si svolgerà molto velocemente. Force Ouvrière fa sapere di essere molto scontenta di tale progetto. Ma Force Ouvrière co-gestisce le casse della Sécurité Maladie; detiene, quindi, oltre a ingenti risorse economiche, un notevole potere clientelare che dalla riforma verrebbe fortemente intaccato.
Nella seconda metà di novembre, si constata che il progetto governativo include delle modifiche ai cosiddetti "regimi pensionistici particolari", che riguardano innanzitutto i funzionari delle grandi imprese pubbliche. Grosso modo, l’idea del Governo è dire ai lavoratori: "Se volete avere una pensione completa, bisogna lavorare 40 anni, e non 37 e mezzo come ora", equiparando tutti al settore privato. Nello stesso periodo, il Governo vara "un contratto di piano" con le ferrovie, che, introducendo forti premi di produttività, intende far lavorare di più il personale presente piuttosto che assumerne di nuovo.
In breve, l’opinione pubblica si trova di fronte un Governo che solo sei mesi dopo l’elezione di un Presidente che aveva promesso delle misure tese a ridurre quella che lui chiamava la "frattura sociale", fa ora esattamente il contrario e intende introdurre cambiamenti forse necessari, certamente dolorosi. In secondo luogo, il Primo Ministro è personalmente in causa perché si è comportato in modo estremamente brutale -"arrogante" è la parola che ricorre più spesso-, sprezzante, scortese; un uomo che non ha nessun senso della negoziazione e della discussione, che licenzia, se così si può dire, dei ministri per fare un nuovo governo e in particolare si sbarazza di tre donne-ministro senza neppure riceverle.
In più è un Primo Ministro che, come si era appreso qualche settimana prima, quando era molto vicino a Chirac nell’amministrazione del Comune di Parigi, aveva fatto avere ai propri figli agevolazioni per l’alloggio. Ora, questo Primo Ministro chiede ai francesi di fare economia, di essere ragionevoli e stringere la cinghia, ma non dà l’esempio quando si tratta della propria famiglia.
E’ in questo clima che nella popolazione francese in generale, e nella funzione pubblica in particolare, crescono sentimenti molto ostili al Governo e monta velocemente lo sciopero.
Lo sciopero si è limitato esclusivamente al settore pubblico?
Sì, si è limitato alla funzione pubblica e ad alcune grosse imprese pubbliche, anche se non è stato seguito in modo compatto né si è verificato dappertutto. Quindi, non si è trattato affatto di uno sciopero generale, seppure ha goduto di una simpatia molto forte nell’opinione pubblica, malgrado tutti i problemi che causava a chi doveva spostarsi per andare a lavorare. A dire la verità, non c’era solo un’opinione pubblica favorevole: tantissime persone hanno manifestato più volte insieme con gli scioperanti in lotta. Detto questo, però, si pongono diversi problemi.
Innanzitutto, si è evidenziata la debolezza del sistema francese di negoziazione collettiva. Se questo sciopero è stato così impressionante, è perché non è stato possibile negoziare in precedenza. In realtà in Francia il sistema delle relazioni sociali è molto debole. Per esempio, c’è stato ad ottobre un movimento studentesco, guidato da organizzazioni sindacali che non fanno mai nulla e, perciò, incapaci a negoziare, che è stato in realtà manipolato dai vari rettori per ottenere denaro e finanziamenti aggiuntivi da parte del potere politico. Se gli studenti chiedevano aule e professori, era perché i rettori avevano loro suggerito di chiedere proprio quelle cose. Un altro esempio è costituito dalla crisi urbana: i problemi delle banlieues, la violenza, ecc.
In questi quartieri difficili c’è una debole capacità di azione da parte di diverse assoc ...[continua]

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