Vito Fumagalli, storico del medioevo, è già stato intervistato sui numeri 7 e 18 del nostro giornale. Recentemente è stato pubblicato dal “Mulino” il suo libro “L’alba del medioevo” in cui analizza la crisi dell’Occidente nel VI° secolo dopo Cristo.

Nel suo recente libro, incentrato sulla crisi che nel VI° secolo “aprì” il medioevo, lei indica numerosi punti di contatto fra quell’epoca e la nostra. Uno di questi punti sarebbe il desiderio di recuperare una dimensione sacrale, ma questa dimensione, incentrata sulla compartecipazione con la natura, non è oggi impossibile da ricreare?
Intendendo la sacralità al di fuori di qualsiasi discorso confessionale, di qualsiasi contenuto di religione positiva, al di fuori di qualsiasi definizione determinata della tipologia sacrale, direi invece che la sacralità stia tornando. Non sappiamo che forme prenderà, però il ritorno è indubbio perché assistiamo a una rivolta contro l’artificiale e l’astrazione, contro la manipolazione ad ogni livello di quello che noi crediamo essere il reale. Ci si attacca alla vita e a ragioni che sentiamo profonde e quindi, automaticamente, sacre. Entro quali limiti questo ritorno sia possibile io non so dire, e nemmeno quante persone siano intenzionate a questo. Cosa sarà possibile immaginare, quali saranno gli oppositori che tenteranno di ostacolare il ritorno a forme umane e profonde, alla riconsiderazione delle ragioni della vita, perché è poi questa la sacralità, non lo so dire. Aggiungo che, se mi avventuro a fare il futurologo, mi tocca essere pessimista perché guardando la storia non c’è da essere molto ottimisti. Come nel secolo VI°, anche oggi siamo di fronte ad una stanchezza per i valori tradizionali: questo non significa che dobbiamo rifiutare la tradizione e buttarla dalla finestra, non successe nemmeno allora, però la tradizione va indirizzata in un modo diverso rispetto a quando, per così dire, viveva pienamente. Come nel secolo VI°, quindi, noi siamo di fronte a una rivolta verso il passato che sta investendo tutto; una rivolta contro tutto ciò che è stato e che è ancora, alla ricerca di qualcosa di nuovo e di diverso, di soluzioni umanamente più appaganti, che vadano più in profondità.
Abbiamo tanti segnali della ricerca di valori, come, ad esempio, la solidarietà. Del volontariato sappiamo ben poco, è un fenomeno in gran parte sommerso, però è un fenomeno che risponde a questa esigenza di ricercare più nel profondo le ragioni del vivere. La scelta del volontariato può essere dettata da molti e diversi motivi, ma, al di là delle motivazioni ideologiche, ha nella sostanza una volontà prepotente di ricongiunzione dell’uomo con i propri simili e con le esigenze profonde della vita, fra cui il rapporto con l’ambiente. Gli ambientalisti, fra l’altro, spesso cadono in una difesa ad oltranza, poco chiara, dell’ambiente: pur idealizzandolo lo ritengono qualcosa di staccato dall’uomo, dimenticandosi che l’uomo, a volte, ha anche fatto l’ambiente, lo ha reso più bello. Nonostante questo, però, gli ambientalisti, o almeno parte di loro, hanno una esigenza sacrale che li guida: l’ambiente è qualcosa che noi non abbiamo fatto e che ci pesa sulla coscienza, in quanto abbiamo l’obbligo di mantenerlo in certe forme, così come abbiamo l’obbligo di rispettare la vita, di assistere gli anziani, di curare gli ammalati.
Quindi direi che la sacralità, intendendola come un senso profondo dell’esistenza e come la necessità di riscoprire o di scoprire meglio, in forme diverse, tale senso, si ripresenta anche oggi come una molla importantissima.
Parlando di volontariato, comunque, non mi riferisco all’unico modo di ribellarsi a una data situazione, ma semmai al più evidente ed immediato. E’ chiaro che quando questo modo viene in qualche misura propagandato come “prova di bontà” di una ideologia o di una fede, allora subentra qualcosa di diverso e di negativo, che non ha più niente a che fare con l’impulso primitivo del volontariato. Ma direi che quello che sta avvenendo ora, in tutto il mondo, è la presa di coscienza del fallimento di una civiltà. Io vedo la storia come una serie ripetuta di fallimenti: magari, in una data epoca, si inizia affrontando le cose in una dimensione giusta, realistica, concreta, profondamente umana, e da ciò nascono movimenti che, appena prendono forma istituzionale, iniziano a deviare, diventando addirittura strumenti di potere e mantenendo pochissimo del loro carattere originario. Tornando al VI° secolo, uno deg ...[continua]

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