Mio nonno era un facoltoso proprietario terriero, quando è accaduto quel che è accaduto ed è diventato un ‘presente assente’, passava i giorni davanti all’amministrazione militare in attesa del permesso di viaggio per Acri, solo per poter vedere il suo campo, di sfuggita, dal finestrino dell’autobus. Passava la giornata a leggere giornali e la nottata a riflettere e rievocare ricordi. Aspettava. È lui che mi ha cresciuto e io lo amavo più di mio padre, occupato a logorarsi e a estrarre pane da cave di pietra. Mio nonno mi ha insegnato a leggere, a misurare la terra e l’età degli ulivi. Mi comprava i libri ad Acri e mi portava dai suoi amici per vantarsi del bambino che leggeva libri e giornali, conosceva a memoria la poesia araba antica, recitava il Corano sbagliando soltanto la sura Ya Sin e leggeva le epopee di ‘Antara e Zir Salim e i romanzi storici di Jurji Zaydan finché non crollava dal sonno. La mattina andavo a scuola, anche se ufficialmente non ero iscritto, perché mio padre non risultava nei documenti governativi. Chi se n’era andato in Libano tornando in Palestina dopo un anno o due non aveva più la cittadinanza. Mentre chi, dopo duemila anni, arrivava qui da Varsavia aveva diritti e cittadinanza [...].

"Mio nonno ha continuato a esercitare la speranza, si è trasferito in un altro paesino, più vicino al suo vecchio campo. Un’estate è persino riuscito ad aggirare la legge: ha preso in affitto il suo vecchio appezzamento da un commerciante ebreo con l’accordo di coltivarlo ad angurie e rivenderne il raccolto al nuovo proprietario. Non essendo esperto di commercio mio nonno ci ha rimesso economicamente, però ha guadagnato l’occasione di passare lunghe ore nella sua vecchia proprietà. Sotto il sole, mi ha esposto la storia di questa terra che non avresti trovato molto differente dal colore della sua pelle.
L’attaccamento del nonno all’appartenenza nazionale, fondata sul possesso della terra e sulla nostalgia di ripristinare quel legame legalmente interrotto ma storicamente e psicologicamente ben saldo, era più forte dell’improvvisa miseria risultata dalla privazione della terra, sua fonte di sostentamento. Se l’appartenenza fosse stata soltanto una questione di sostentamento, avrebbe risolto il problema liberandosi del terreno a vantaggio di un benessere garantito. Ma ha preferito l’indigenza alla vendita della terra che, non avendo più il significato di fonte di vita come prima, era divenuta presupposto di dignità”.
Mahmoud Darwish
Tratto da Una trilogia palestinese, Feltrinelli 2014