11/2/2013. Il costo della salute
Jeremy Hunt, ministro della salute, l’ha posta in questi termini: vuole che il Regno Unito sia il primo paese dove un anziano non sia costretto a vendere la casa per pagarsi le cure. La questione è in discussione da diversi mesi, da quando, grazie al Rapporto Dilnot, sono usciti dei dati allarmanti con oltre 30.000 persone costrette a vendere la casa e un 10% degli anziani che finisce con lo spendere fino a 100.000 sterline per essere curato. Ecco allora la decisione del Governo di introdurre un tetto di 75.000 sterline. Ovviamente il tetto non significa che tutti dovranno pagare quella cifra prima che lo Stato intervenga. L’idea è che, fissato un limite, poi sarà più facile stipulare delle assicurazioni che coprano la quota sotto quel tetto. Andrew Dilnot, l’autore del Rapporto che aveva portato alla luce la situazione, in realtà aveva raccomandato un tetto di 35.000 sterline, mettendo in guardia sul fatto che qualsiasi cifra superiore a 50.000 sterline sarebbe risultata iniqua nei confronti di chi ha poco reddito e poca ricchezza.
(guardian.co.uk)

12/2/13. Grecia: medici con la valigia
A causa della crisi economica, centinaia di medici lasciano la Grecia. Non più solo giovani neolaureati che partono per completare la propria preparazione in scuole di specializzazione, ma ginecologi, cardiologi e pediatri già formati, in cerca di nuove occasioni di lavoro soprattutto in Germania, ma anche Regno Unito, Arabia Saudita Dubai e Qatar. […] "Il problema è che con l’attuale crisi economica e i tagli alla sanità questo personale non viene rimpiazzato con nuove assunzioni”, racconta Chaniotika nea Vagghelis Konstantoulakis, presidente dell’organizzazione che riunisce i lavoratori della clinica pubblica, "e questo succede dappertutto in Grecia. Chi rimane è sovraccarico di lavoro. Nonostante gli sforzi, la nostra unità psichiatrica ha dovuto chiudere i battenti: siamo arrivati al punto che i pazienti con malattie mentali vengono seguiti dal pronto soccorso. Si aggiunga il fatto che la gente non ha più soldi per andare dagli specialisti privati e che quindi tutti, per ogni malessere, si rivolgono all’ospedale”. Senza contare che chi perde il lavoro, dopo pochi mesi non è più coperto dall’assicurazione medica. Questo il quadro complessivo, e desolante, di cosa significa ammalarsi oggi in Grecia. [...] L’anno scorso, ben 1166 medici specializzati ellenici, con un’età media fra i 35 e i 50 anni, hanno lasciato Atene per cercare lavoro in Germania, mentre nel 2007, all’inizio della crisi, l’avevano fatto solo in 292.
(balcanicaucaso.org)

17/2/2013. Numeri
Negli ospedali del Mezzogiorno il personale sanitario supera il numero dei letti negli ospedali: 23.880 posti letto effettivi e 25.532 dipendenti. (Corriere salute)

18/2/2013. Un rabbino
"Inevitabilmente, con quella stazza, gli occhi azzurri, lo sguardo intenso, la barba sale e pepe e la kippah, la prima impressione per un palestinese non può che essere quella: Un altro fanatico colono ebreo!”. Così comincia un pezzo di Laurent Zecchini, giornalista di "Le Monde”, che rende omaggio a questo bizzarro rabbino che non è inusuale vedere mentre aiuta a ricostruire le case dei palestinesi distrutte dall’esercito, o fare da scudo umano contro i coloni che vandalizzano gli uliveti, o essere trascinato via mentre manifesta a Gerusalemme Est o in Cisgiordania. Arik Ascherman è attivista dei Rabbini per i diritti umani, organizzazione nata durante la Prima Intifada. Per lui non c’è contraddizione tra la "tradizione ebraica” e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Così come è convinto che l’ebraismo e il sionismo non possono consistere nel "rubare terra all’altro”. I 120 Rabbini per i diritti umani, che vedono coinvolte anche alcune migliaia di volontari, sono impegnati quotidianamente per difendere le minoranze: arabi, drusi, beduini, lavoratori stranieri, ebrei etiopi, e poi c’è la lotta per i diritti delle donne e quella contro la "barriera di sicurezza” che cannibalizza la Cisgiordania…
Arik Ascherman sognava di diventare rabbino già a sette anni. Sarebbe così semplice, spiega a Zecchini, se gli israeliani, laici e religiosi, si limitassero a mettere in pratica quel versetto in Levitico (Vecchio Testamento): "Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”.
(lemonde.fr)

18/2/13. Grecia: proprietari disperati
In Grecia decine di migliaia di proprietari immobiliari, con l’acuirsi della crisi, si stanno scoprendo ostaggi di una combinazione micidiale: le tasse aumentano e vendere è letteralmente impossibile. Ne parla Nikos Roussanoglou sul quotidiano greco "Ekathimerini”. I professionisti del mercato immobiliare spiegano che chi negli anni passati ha scelto di investire i propri soldi in case o negozi ha fatto la peggior scelta possibile. Oggi, secondo le ultime stime, il 30% dei locali commerciali sono vuoti; gli affitti sono scesi fino al 50% e spesso gli inquilini non pagano affatto. Così aumenta la gente che possiede delle case e non ha un soldo. Per alcuni l’unica soluzione è aspettare che arrivino gli esattori, pignorino la casa e la mettano all’asta, così alla fine il fisco si prende i suoi soldi e il proprietario intasca la differenza.

18/2/13. Morire in Massachusetts
"Alle due di notte del 15 marzo 1988, ho ricevuto una telefonata di mia madre a Winter Park, Florida, che mi diceva che mio padre, che stava morendo di un cancro alla prostata, aveva preso una pistola dal tavolino e si era sparato, preferendo morire in un colpo piuttosto che lentamente di cancro”. Così comincia un lungo ed emozionante pezzo di Marcia Angell sulla "New York Review of Books”, sulla legge "Morire con Dignità” che oggi permette agli abitanti dell’Oregon di porre fine alla propria vita quando non la ritengono più degna di essere vissuta. La Angell ripercorre le tappe che hanno portato al referendum in Massachusetts (stato liberal, ma anche molto cattolico), dove la legge sulla morte dignitosa non è passata per pochissimo (49% contro il 51%) anche a causa di alcuni equivoci, come ad esempio l’idea che la possibilità di morire per chi lo desidera influisca sulla qualità delle cure per i terminali (peraltro già scarse), mentre proprio l’Oregon dimostra che dopo la legge c’è stato un miglioramento e non un peggioramento della condizione dei terminali. L’Oregon, a quasi quindici anni dall’entrata in vigore della legge sull’eutanasia, insegna anche un’altra cosa: per chi sceglie la morte, più che la sofferenza fisica, pesa la perdita di autonomia e appunto di dignità. (nyrb.com)

19/2/13. Imbrogliare ai corsi online…
Con la crescente popolarità dei corsi online qualcuno si è chiesto come si faccia a risolvere un problema che affligge gli insegnanti da secoli e cioè come evitare che gli studenti copino o comunque imbroglino. Un problema non secondario visto che di Mooc (massive open online course) ormai ce ne sono tanti e alcuni corsi danno una certificazione.
Uno di questi, il Coursera, nella Silicon Valley, recentemente ha lanciato un sistema che controlla il modo di battere sulla tastiera dello studente. EdX, il rivale della costa orientale, sta lavorando a uno scan per il palmo delle mani.
Ne parla Douglas Belkin sul "Wall Street Journal”. Fino ad oggi questi corsi sono stati gratuiti, con le classi più popolari che contavano fino a 150.000 studenti alla volta. Più di tre milioni di studenti di oltre 150 paesi si sono iscritti a queste lezioni. Visto il potenziale profitto è comprensibile che cominci a esserci una preoccupazione riguardo l’integrità accademica di questi corsi. Il sistema ideato da Coursera si fonda su un algoritmo che analizza il singolo modo di usare la tastiera: gli errori, la velocità di battitura, quanto a lungo vengono premuti i tasti ecc. Il tutto per evitare che sia un impostore a fare il test al posto dello studente. Ma c’è chi è andato oltre: Udacity, un’altra organizzazione che fornisce questi corsi, si è affidata a una compagnia specializzata nei test (Proctor U) che paga dei "controllori”, delle persone in carne e ossa che stanno "dietro” una telecamera precedentemente installata e verificano appunto che non ci siano altre persone nella stanza, né un altro computer aperto su Google… (wsj.com)

24/2/13. Dotati o solo ben preparati?
Natalie Viderman, quattro anni, per sei mesi ha trascorso, ogni settimana, un’ora e mezza al Bright Kids, a lavorare sulla visualizzazione spaziale e il ragionamento seriale, parte del Naglieri Nonverbal Ability Test (Nnat 2), il nuovo test adottato a New York per selezionare i bambini dotati. Con la madre poi lavora ogni sera su conoscenze generali e altri test preparatori.
Jenny Anderson, giornalista del "New York Times”, parla del programma per i ragazzini "dotati” adottato dalle scuole di New York, che sta scatenando tutta una serie di discussioni, tra cui quella se i bambini selezionati siano davvero i più talentuosi o semplicemente quelli che hanno genitori in grado di prepararli ai test.
La questione, alla fine, è come individuare chi è davvero "gifted”, cioè dotato. Già valutare uno studente non è facile, commenta la Anderson, immaginate cosa vuol dire "testare” un bambino di quattro anni. Come non bastasse, è in corso una gara tra le imprese che si occupano di test per dimostrare di saper scovare un genio in ogni bambino. Non a caso, nell’anno scolastico 2012-2013 sono stati classificati come dotati quasi 5000 bambini, il doppio dell’anno precedente. È stato proprio alla luce di questi dati che i funzionari del dipartimento dell’Istruzione hanno iniziato a preoccuparsi. È risultato infatti evidente che la preparazione ai test (che tra l’altro non tutti possono permettersi e quindi è una selezione nella selezione) vanifica i test stessi nella loro funzione di ricerca dei veri talenti.
Il fatto è che appena sono stati cambiati i test, sono usciti nuovi strumenti per prepararsi. Anche la mamma di Natalie ha interpretato l’introduzione di un test più severo come un invito ai genitori a fare di più e non ha perso tempo… (nytimes.com)

25/2/2013. La rivoluzione digitale del FT
Il "Financial Times” festeggia il suo 125esimo compleanno e si appresta a fare la sua rivoluzione digitale. I cambiamenti prevedono 35 esuberi e 10 nuovi posti "digitali”. Al netto 25 giornalisti in meno sui 600 complessivi, di cui 100 all’estero. La pagina internazionale sarà la stessa nelle edizioni Usa, Asia e Europa, per cui al lettore americano capiterà di leggere, per esempio, la storia di una banca cinese. E questo è un punto a favore, spiega Berber, l’editore, perché le notizie nazionali si trovano anche altrove e il lettore medio del FT è globalizzato, è un dirigente, un politico, uno che prende decisioni. Ciò che il FT deve offrire sono analisi in profondità, ad esempio della crisi in Europa, cose che non si trovano altrove. Tenere sia la versione cartacea che quella online è una bella sfida, ma per qualche tempo ancora Berber ha capito che la carta rimarrà, al limite per i vecchi lettori, o solo come accessorio di moda. La sfida è di rendere la carta stampata complementare al web: se il web è la prima bozza di una storia, la carta è il momento più riflessivo, più approfondito, tant’è che Barber sta vagliando l’ipotesi di preparare le pagine da stampare con qualche giorno di anticipo e ha già tagliato la redazione notturna (considerata inappropriata per la carta, c’è già il web). Oggi il FT ha complessivamente 600.000 abbonati. Gli abbonati online hanno superato quelli alla carta e il 25% legge le notizie su un telefonino. (ft.com)

25/2/2013. Il dottor Watson
Due anni fa l’Ibm ha suscitato grande curiosità quando il suo programma "Watson” ha battuto i due campioni di "Jeopardy!”, popolare programma americano di quiz di cultura generale. Già nel 1997, "Deep Blue”, un’altra creazione Ibm, aveva sconfitto il campione di scacchi Garry Kasparov. Con i quiz però la cosa è un po’ diversa perché si tratta di interpretare domande il cui senso non è sempre così facile da intuire, inoltre una delle prove di "Jeopardy!” consiste nel fornire la domanda a una risposta.
Ovviamente l’Ibm non è interessata a creare computer che vincano dei quiz, ma a ben altro.
Con il Memorial Sloan-Kettering Cancer Centre, istituto di ricerca per la cura del cancro, e il Wellpoint, compagnia di assicurazioni sanitarie, l’Ibm testerà presto questo sistema con gli oncologi di due cliniche. Pare che il dottor Watson sia in grado di estrarre il "senso” da una sterminata quantità di quelli che gli scienziati chiamano dati non strutturati. Il programma è stato alimentato, tra l’altro, con dizionari, archivi di giornali e l’intera Wikipedia. Da questi dati, Watson è riuscito a individuare relazioni tra concetti e perfino a capire le metafore. La speranza è che sia utile ai medici per rimanere aggiornati sulla ricerca medica. Per fare quello che fa Watson, un medico normale dovrebbe dedicare 160 ore alla settimana alla sola lettura. L’idea è che il dottor Watson metta a confronto ciò che dice il paziente con la letteratura medica e le linee guida, arrivando perfino a consigliare un percorso clinico. La cosa interessante è che il medico, prima di valutare l’opportunità di seguire le indicazioni di Watson, può chiedergli di mostrare come è arrivato a quelle conclusioni, ripercorrendo i vari passaggi.
Quello che desta qualche preoccupazione è l’idea che sia un computer a decidere se quel trattamento sia adeguato e quindi coperto dall’assicurazione. Come resta da capire il rapporto tra il medico e questa sua protesi, specie qualora le loro idee non convergano. (economist.com)

27/2/2013. La cura al berlusconismo
Secondo un articolo di "El Pais”, principale quotidiano spagnolo, l’unica cura al berlusconismo è quella di viaggiare. Lo dimostrerebbe chiaramente l’analisi del voto dei tre milioni di residenti italiani all’estero, che offre un’immagine molto diversa da quella del voto in Italia. Per prima cosa, il Partito democratico risulta vincitore con una maggioranza molto più solida di quella ottenuta nelle circoscrizioni italiane. Mario Monti, la cui agenda è stata rivolta soprattutto a restituire all’Italia il suo prestigio internazionale, ottiene un significativo secondo posto. Ma la cosa che colpisce di più è la distanza di Berlusconi e di Grillo: la loro campagna viscerale, i loro messaggi ripetuti quoti­dianamente come un mantra, i loro appelli ad un’età dell’oro pre-crisi o post-crisi non hanno avuto la stessa presa su questo elettorato. La spiegazione di "El Pais” è che si tratta di migliaia di giovani inquieti, preparati, costretti a partire per trovare un posto adeguato alle proprie competenze, ormai anestetizzati alle promesse di pifferai e salvatori. Questi giovani sanno perfettamente che un’Italia isolata dal resto del mondo, fuori dall’Euro, rappresentata da istrioni più o meno giovani, con o senza la barba, non conviene proprio a nessuno. (El Pais)

28/2/2013. Morire di carcere
Natale Coniglio, operaio 42 enne originario di Stilo (Reggio Calabria), ieri si è tolto la vita nel carcere di Noto (Siracusa) in cui era detenuto, impiccandosi nella sua cella. Era stato condannato per furto e ricettazione. Nel 2013 sono già sei i reclusi morti suicidi e 18 il totale dei decessi in carcere. I numeri forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria parlano di oltre 3.000 detenuti morti negli ultimi 20 anni, dei quali circa un terzo per suicidio. L’età media dei suicidi è 37 anni, poco più alta (39 anni) l’età media dei detenuti morti per malattia: nelle carceri italiane la "speranza di vita” delle persone si dimezza. Gli stranieri sono il 35% della popolazione detenuta, ma quasi il 50% dei morti in carcere, nonostante i reclusi stranieri siano mediamente più giovani degli italiani. L’80% dei decessi riguarda persone condannate a meno di tre anni, il 40% sono persone in attesa di giudizio, tecnicamente innocenti. (Ristretti Orizzonti)

28/2/2013. Gli stipendi tedeschi
Ma gli stipendi tedeschi non erano quelli più generosi, anche alla prova del superiore costo della vita? In un articolo apparso oggi sul "Financial Times”, Gerrit Wiesmann, inviato a Berlino, dà un’immagine un po’ diversa. Sabrina Decker, che guadagnava 1100 euro in un call-center, si è vista trasformare il contratto, che ora prevede, anziché una paga oraria, una paga a telefonata (40 centesimi ciascuna). Così, pur facendo due giorni di pausa ogni dodici, oggi porta a casa cento euro in meno. Ma di storie come la sua ce ne sono tante.
L’autore dell’articolo parla di condizioni "dickensiane” da quando il mercato del lavoro ha imboccato la strada di una maggiore flessibilità. La disoccupazione effettivamente è bassa e i lavoratori del settore dell’auto stanno portando a casa dei bonus, dall’altra parte, però, i lavoratori poco qualificati stanno vedendo le loro condizioni peggiorare seriamente.
Dalle riforme del lavoro del 2005, i lavori cosiddetti "old-style”, con contributi e salari secondo le regole, sono cresciuti del 7%. Nel contempo i cosiddetti lavori atipici sono cresciuti del 20%. I famosi "minijobs”, lavori retribuiti con 450 euro al mese (o meno) esenti da tasse e contributi, sono aumentati significativamente e oggi sono sette milioni.
Secondo Eurostat, i lavori "low-paid” hanno raggiunto il 22% della forza lavoro, cinque punti sopra la media europea. Per ora una via d’uscita pare quella di imporre dei salari minimi, ma la proposta di rendere il lavoro più "costoso” in un momento di crisi ha incontrato molte perplessità, non solo tra gli industriali.
La formula del "minijob”, pensata per agevolare l’entrata nel mercato del lavoro, rischia così di diventare una trappola di precarietà. (ft.com)

3/3/2013. Prigionieri della nuvola?
Benvenuti nell’era del "cloud computing”, che permette ai nostri portatili, smartphone e tablet di connettersi alla "nuvola” in qualsiasi momento per godere di una vasta gamma di servizi e applicazioni in remoto. Così comincia un articolo di Marie Lechner, giornalista di "Libération”, sui pericoli della nuvola. Il cloud computing è così confortevole, comodo, facile da usare, che il rischio è di diventare "prigionieri volontari della nube”, come ha messo in guardia il collettivo olandese Metahaven nel saggio "Gli schiavi della Nuvola”. Non tutti sanno come funziona la nuvola, ai più basta che funzioni. In realtà il meccanismo si fonda sul fatto che le nostre mail, le foto, le conversazioni, ecc. vengono memorizzate sui server di Google, Amazon o altre multinazionali. Dopodiché basta un buon accesso. Intanto però così si sta passando dall’architettura originale di internet, un arcipelago di isole, in cui i dati degli utenti erano sparsi su diversi server (casomai gestiti personalmente), a un’archiviazione centralizzata dei dati nelle mani di una manciata di grandi aziende.
Il rischio, già attuale, è quello di uno spossessamento dei dati personali e della perdita del loro controllo. Con un’aggravante: tutti i dati memorizzati da Facebook, Twitter, Apple, Amazon, Google, rientrano sotto la giurisdizione di Patriot Act che costringe, nel caso, i fornitori di cloud a rilasciare i dati.
Qualche forma di resistenza è già in atto. Aumentano gli inviti a riprendersi i dati dalla nuvola per ricreare "una rete di pari”, piccoli anelli che vadano poi a formare un telaio ancora da tessere. Forse una visione un po’ utopica, ma che si iscrive in un movimento che sogna una rete alternativa a quella sempre più commerciale, centralizzata e sorvegliata da tutte le parti.
(liberation.fr)

4/3/2013. Il cugino ricco
È l’ottavo produttore di petrolio al mondo, ma non fa parte dell’Opec, è a tutti gli effetti un "petro State”, ma non è uno Stato arabo. In più promuove i diritti umani e spende moltissime delle sue ricchezze in spesa pubblica. È la Norvegia. Un paese che l’"Economist” ha preso recentemente in considerazione in un’indagine sui paesi scandinavi, per raccontare come, a differenza dei suoi vicini, la Norvegia stia abbracciando il capitalismo di Stato.
La compagnia petrolifera nazionale, Statoil, è la più grande della regione. Lo Stato norvegese possiede ampie quote di Telenor, il più grande operatore telefonico, di Norsk Hydro, il maggiore produttore di alluminio, e di DnBNor, la banca più importante. Possiede inoltre il 37% della Borsa di Oslo. Tutto questo grazie al petrolio scoperto nel mar del Nord nel 1969. La formula del controllo statale attraverso quote societarie (anziché imponendo regole) pare funzionare. Ora la sfida è come trovare la miglior combinazione tra controllo statale e competizione globale. Come si diceva, tra i "petro State”, la Norvegia resta un caso anomalo: il petrolio sembra infatti non aver contaminato la "cultura nordica” del paese. La ricchezza petrolifera non ha distrutto lo spirito egalitario: in Norvegia ci sono i lavoratori manuali meglio pagati e gli amministratori delegati peggio pagati. Che sia una nazione che non perde la testa facilmente, lo si è visto anche dopo la strage compiuta da Anders Breivik in nome della supremazia bianca. La reazione del paese, estremamente composta, ha colpito il mondo intero. Breivik è stato sottoposto a un processo impeccabile che si è concluso con una condanna a 21 anni. (economist.com)

5/3/2013. Case di riposo o prigioni?
Le case di riposo sono assimilabili a luoghi di detenzione? La domanda -scioccante- è stata posta da Jean-Marie Delarue, il Controllore generale dei luoghi di "privazione della libertà”, che il 25 febbraio ha reso pubblico il suo rapporto annuale. Delarue ha fatto un parallelo tra le prigioni e gli ospedali psichiatrici, da una parte, e le case di riposo dall’altra, riconoscendo che, anche se giuridicamente "non hanno niente a che vedere” gli uni con le altre, sul piano del funzionamento "c’è tutto da vedere”.
La questione è quella del rapporto tra sicurezza e libertà in questi luoghi. Secondo un’inchiesta del 2009 condotta dalla Fondatione Médéric Alzheimer, l’88% dei residenti è stata sottoposta a "misure di protezione” per evitare le fughe. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le unità "chiuse”, i codici di accesso e addirittura delle cimici nei vestiti fino ai braccialetti elettronici. Anche se nel caso degli anziani si preferisce parlare di "braccialetti di autonomia”, perché in alcuni casi permettono ad anziani con problemi cognitivi di uscire, i rischi di una deriva liberticida sono evidenti. Un altro metodo messo in discussione è quello della "camicia chimica”: la prescrizione di potenti calmanti, una sorta di sostituto della contenzione fisica della vecchia camicia di forza. Talvolta questi strumenti vengono introdotti per sopperire alla carenza di personale, denuncia Joëlle Le Gall, presidente della Federazione delle associazioni di anziani e familiari, che aggiunge: "So che è una parola forte, ma io considero questi luoghi delle prigioni”. Le istituzioni rispondono che se di "privazione di libertà” si può parlare in alcune circostanze, questo avviene sempre e solo nell’interesse della persona. La discussione è aperta.
(monde.fr)

6/3/2013. Incubo batteri
"I nostri antibiotici più potenti non funzionano e i pazienti si trovano con infezioni potenzialmente incurabili”. La notizia compare in prima pagina sul "Washington Post”. Thomas Frieden, direttore dei Centri per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione, all’ultima conferenza ha lanciato l’allarme. Gli enterobatteri resistenti ai carbapenemi non si sono ancora diffusi nella comunità, e tuttavia bisogna intervenire perché sono estremamente pericolosi. Frieden parla di una "tripla minaccia”. Intanto sono resistenti a tutti o quasi gli antibiotici, anche di ultima generazione. In secondo luogo uccidono fino alla metà dei pazienti infettati. In terzo luogo questi batteri possono trasferire la loro resistenza ad altri batteri della stessa famiglia rendendo anche questi intrattabili. Negli ultimi dieci anni la percentuale di batteri resistenti agli antibiotici si è quadruplicata: dall’1,2% del 2001 al 4,2% del 2011. Nella prima metà del 2012 negli Usa duecento tra ospedali e ricoveri per lungodegenti hanno trattato almeno un paziente infettato da questi batteri. Gli enterobatteri sono una famiglia di oltre 70 batteri, tra cui l’Escherichia Coli, che normalmente vive nel nostro sistema digestivo. Dei 19 pazienti infettati da un focolaio in un ospedale degli Stati Uniti un paio di anni fa, 12 sono morti e, tra questi, almeno sette decessi sono direttamente imputabili al Klebsiella pneumoniae, altro batterio resistente agli antibiotici. All’epoca il personale deputato al controllo delle infezioni ha tamponato attrezzature, pareti, sponde dei letti e pazienti per monitorare e contenere il batterio. Nonostante gli sforzi estremi, a distanza di un anno, il batterio risultava ancora presente. Finora i pazienti morti in seguito a queste infezioni risultano comunque fragili, con il sistema immunitario già compromesso a causa delle terapie oncologiche o anti-rigetto post-trapianto. Questi batteri passano talvolta da paziente a paziente attraverso le mani dei medici e degli infermieri. Tutte le precauzioni che prevedono accurata pulizia delle mani e degli ambienti vanno promosse (e pretese dai pazienti), ma serve soprattutto una maggiore cautela nella prescrizione di antibiotici. Come è ormai noto: più assumiamo antibiotici più incoraggiamo la diffusione di batteri resistenti.
(washingtonpost.com)