25 maggio
Avevo pensato di fare delle riprese da un drone. Uno sguardo dall’alto, ma non orientato verso la linea dell’orizzonte (incredibili aridi paesaggi del Sahel, un grande lago in mezzo al deserto…), bensì a piombo, uno sguardo claustrofobico  e un po’ astratto rallentato su dettagli in movimento. Su queste immagini sarebbero apparsi i versi di Eliot, per esempio:
The river’s tent is broken: the last fingers of leaf / Clutch and sink into the wet bank. The wind / Crosses the brown land, un­heard. The nymphs are departed.
(T.E. Eliot, The Waste Land)

Il problema non si pone, almeno per questa prima missione, perché mi è stato vivamente sconsigliato di portare il drone. Il Coopi, l’organizzazione che ha accettato di farmi visitare i suoi progetti e che si occupa della logistica (e della mia sicurezza), me lo ha vietato. La situazione in Ciad è militarizzata, in alcune zone c’è il coprifuoco e se provi a fare riprese a N’Djamena finisci nei guai o peggio. 
Nel 2015, per contrastare le azioni del gruppo terroristico, è stato costituito il raggruppamento militare multilaterale Multinational Joint Task Force (Mtjt), composto principalmente da Nigeria, Niger, Ciad e Camerun, ed è stata lanciata la campagna Rawan Kada (danza del coccodrillo) con sede operativa a N’Djamena. Da quel momento il Ciad è diventato la nuova frontiera di Boko Haram.
Il primo attacco nella porzione del bacino che appartiene al Ciad è avvenuto il 10 ottobre del 2015: nella cittadina lacustre di Baga Sola (dove tra qualche giorno incontrerò quattro rifugiati Fulbe nigeriani), la figlia di un notabile locale si è fatta esplodere insieme ad altri quattro attentatori durante il mercato del sabato, uccidendo 41 persone. Nello stesso periodo Boko Haram ha attaccato tre obiettivi militari e il principale mercato di N’Djamena (dove comprerò tre paia di mutande e dei pantaloncini). Un affronto particolarmente grave perché la città è considerata il principale snodo militare di questa zona del Sahel (Esercito nazionale del Ciad, Mtjf, forze transalpine e americane). Da qui partono i Mirages francesi dell’operazione Barkhane, per bombardare le postazioni di Al Qaeda in Mali, Ciad e Niger (loro, i militari francesi, li osserverò sguazzare di domenica nella piscina dell’Hilton). 
Le attività di controterrorismo anglo-francesi sono parte di un’agenda dal più profondo interesse strategico, soprattutto energetico: quella che oggi alcuni definiscono politica della "scialuppa armata” ("the politics of the armed life boat”, Christian Parenti in Tropic of Chaos).

È sempre bene ricordarsi da dove si è iniziato. Le mie orbite si sono sviluppate a partire da un reportage del giornalista del New Yorker (Ben Taub) che lo scrittore Edoardo Albinati gentilmente mi passò e che io lessi come fosse oro colato. Ben Taub raccontava come intorno al Lago Ciad ci fosse una delle crisi umanitarie più gravi (e misconosciute) del pianeta. Una crisi di cui la storia coloniale della regione, il terrorismo e il cambiamento climatico sono cause e concause. 
Eh già, perché anche il passato coloniale di queste regioni ha pieno diritto alla sua orbita. Un lago che un tempo era al centro dei territori di un fiorente impero (un regno tra i più grandi e importanti dell’Africa fino all’800) e che oggi è diviso in quattro stati, grazie alle decisioni prese dalle potenze occidentali in quel famoso congresso del ‘800 e più precisamente smembrato da inglesi, francesi e tedeschi, nel 1901 dopo averne sconfitto l’emiro.

26 maggio
N’Djamena è una capitale proporzionata agli unici due nastri bagagli del suo aeroporto in miniatura. L’energia elettrica (da fonti rigorosamente non rinnovabili) è razionata. Al mercato i commercianti di abbigliamento sembrano rifornirsi tutti dallo stesso grossista, un ragazzo passa con un vassoio pieno di mele verdi che profumano di Trentino ma vengono dal Camerun, le donne vendono carote enormi, melanzane, pomodori: di produzione locale ci sono arachidi e cocomeri… i tessuti sono d’importazione: in Ciad non esiste settore secondario. 
I viali sono ampi, ci sono poche macchine, qualche moto e molti incidenti.
Nell’Indice degli Stati più "fragili” del Fund for Peace, il Ciad (aspettativa di vita: 39 anni; il 15% dei neonati muore prima di aver compiuto un anno) viene subito dopo la Somalia, la Repubblica Centro Africana e il Congo. Insicurezza alime ...[continua]

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