11 aprile. La catena dei trapianti
Craig, nome di fantasia, un uomo di Cincinnati, aveva bisogno di un rene; un suo familiare era disponibile alla donazione, ma non era compatibile. Che fare? Ecco l’idea, anzi il patto:  se qualcuno avesse donato un rene a Craig, il familiare di Craig avrebbe donato il rene "promesso” a un paziente in attesa; a sua volta, un parente del ricevente si sarebbe impegnato a donarlo a un altro, e così via. L’operazione è riuscita: Craig ha ricevuto un rene da Dylan, uno sconosciuto di Baltimora, grazie a una catena di scambi che ha portato a trapianti di rene su quattro persone, la cui aspettativa di vita è ora aumentata di circa dieci anni. Il modello ha un precedente di grande successo: Rick Ruzzamenti, un californiano, ha fatto partire una "catena di trapianti” che ha coinvolto trenta persone sparse in tutti gli Usa. (vox.com)

14 aprile. Web Democracy
Si parla molto di democrazia diretta e di web democracy. Uno dei nodi problematici è che il tipo di tecnologia usata influenza il dibattito. Dal 2007, Mark Klein, del Center for Collective Intelligence del Mit di Boston, sta lavorando al cosiddetto "Deliberatorium”, una piattaforma online fondata su alcune idee tratte dalle teorie dell’argomentazione e del social computing (un’area di ricerca che studia le intersezioni tra sistemi informatici e comportamenti) per aiutare gruppi di persone a confrontarsi e a trovare soluzioni a problemi dove si incontrano e scontrano interessi diversi. Uno studio internazionale guidato dal Cnr ha rilevato come i forum di discussione online e i "wiki”, se da un lato sono in grado di facilitare la condivisione della conoscenza e ampliare il pubblico dibattito, dall’altro mettono spesso in campo una tale mole di informazioni da risultare dispersiva. Inoltre la possibilità di modificare le informazioni da parte degli utenti spesso degenera nel cosiddetto "edit war”. Il Deliberatorium è invece strutturato con una ‘mappa argomentativa’ tesa a garantire un andamento logico della discussione e un dibattito esaustivo. Spiega Iandoli, del Cnr: "I partecipanti che l’hanno utilizzata hanno prodotto più argomentazioni a sostegno delle varie proposte, pubblicato contenuti meno ridondanti e prestato maggior attenzione ai contributi forniti da altri utenti, favorendo una valutazione più articolata e critica delle varie proposte”.

18 aprile. Il voto turco in Germania
La notizia del 63% ottenuto da Erdogan tra i turchi in Germania all’ultimo referendum costituzionale ha suscitato un grande sconcerto. L’amico Alessandro Cavalli ci ha offerto una spiegazione un poco confortante.
"Cari amici, non ho trovato chi si vuole fare intervistare sul voto. Il collega turco che ho incontrato teme di essere incarcerato al suo ritorno in patria. Però ho raccolto interpretazioni attendibili. In Germania vivono circa 3,5 milioni di persone origine turca; di queste 1,5 milioni hanno mantenuto il passaporto turco e hanno diritto di voto o tornando in Turchia o votando nei consolati. Solo poco meno del 50% è andato a votare e, di questi, il 63% ha approvato la riforma della costituzione, circa 450.000 favorevoli. Le interpretazioni sono due, tra loro non incompatibili: primo, gli oppositori non sono andati a votare non fidandosi dei consolati dove i funzionari avrebbero potuto manipolare le schede; secondo, l’immigrazione in Germania viene quasi esclusivamente dall’Anatolia, dove Erdogan ha vinto vistosamente, mentre ha perso a Istanbul, Ankara e Smirne città del loro paese d’origine dove gli immigrati in Germania non sono mai stati”.

18 aprile. Sul diritto alla resistenza
Il vostro appunto sul diritto alla resistenza, pubblicato su Una Città n. 236 mi invita a fare un piccolo commento sull’art. 20, comma 4 della Costituzione (Grundgesetz, GG) tedesca, che sancisce: "Gegen jeden, der es unternimmt, diese Ordnung zu beseitigen, haben alle Deutschen das Recht zum Widerstand, wenn andere Abhilfe nicht möglich ist”. In italiano: "Tutti i tedeschi hanno il diritto alla resistenza contro chiunque cerchi di abolire questo ordine, se non è possibile un altro rimedio”. Questo diritto alla resistenza nella Costituzione tedesca non è identico al testo proposto da Dossetti (art. 3 "La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente costituzione,è un diritto e dovere di ogni cittadino”). Dossetti parla di "atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla […] costituzione”. Il diritto alla resistenza della Costituzione tedesca non si riferisce ai diritti fondamentali individuali, ma alle caratteristiche strutturali e ai principi stabiliti nell’art. 79 comma 3 della Costituzione e ivi dichiarati intoccabili. L’art. 79 comma 3 della Costituzione afferma: "Non è ammissibile un cambiamento di questa costituzione che tocchi la struttura federale della repubblica, la partecipazione delle regioni (Länder) alla legislazione o i principi indicati negli articoli 1 e 20”.
L’art. 1 comma 1 della Costituzione obbliga il potere statale a rispettare e proteggere la dignità delle persone. L’articolo 20, comma 1, 2 e 3 afferma:  "1. La Repubblica Federale Tedesca è uno stato federale democratico e sociale; 2. Tutto il potere statale viene dal popolo. Esso lo esercita con elezioni e scrutini e mediante organi particolari di legislazione, organi esecutivi e di giurisdizione; 3. Gli  organi legislativi sono legati all’ordine costituzionale, le istituzioni esecutive e la giurisdizione sono legate alla legge e al diritto”.
È solo contro tentativi di eversione di queste caratteristiche strutturali che l’art. 20 comma 4 della costituzione autorizza tutti i tedeschi alla resistenza individuale o collettiva. In pratica è il diritto alla rivoluzione. Può essere tranquillizzante avere diritto alla rivoluzione, ma come, dove e quando  si può far valere questo diritto?, dove si può sporgere querela? e a chi? In fin dei conti resta valido: contro la limitazione, la violazione o anche l’annullamento di diritti fondamentali (ad esempio la libertà di stampa) non c’è diritto alla resistenza, ma solo la via legale attraverso i tribunali fino alla Corte costituzionale.
(Udo Maas, Mannheim)

20 aprile. Cure palliative in Mongolia
Quando si parla della Mongolia, a tutto vien da pensare salvo che sia un "buon posto dove morire”. Invece la Mongolia è un paese inaspettatamente avanzato nel campo delle cure palliative, ha una rete di hospice migliore di Grecia, Ungheria e Lituania, e che fa impallidire i vicini giganti Russia e Cina. Il paese asiatico, il meno densamente popolato al mondo, deve questo primato a un record decisamente poco invidiabile, la devastante incidenza di epatite e cancro al fegato (la più alta al mondo) provocata anche dalla scellerata scelta del governo, durante la crisi seguita all’indipendenza della Mongolia dall’Unione sovietica nel 1991, di mettere una bottiglia di vodka nelle "razioni” per le famiglie in difficoltà (due bottiglie alla settimana!). Ma soprattutto deve questo segno di civiltà all’impegno di una tenace oncologa, Odontuya Davaasuren. Al padre di Odontuya era stato diagnosticato un cancro ai polmoni proprio nell’anno della sua iscrizione all’università. All’epoca non c’era a disposizione né morfina, né altri antidolorifici. Per lei la morte, nel dolore, del padre, fu un’esperienza terribile. Da allora ha dedicato la sua vita alle cure palliative e, grazie a un’intensa attività di advocacy, è riuscita a sensibilizzare il governo. Grazie a lei oggi in tutti gli ospedali del Paese ci sono almeno cinque posti letto per le cure palliative.
(independent.co.uk)

24 aprile. L’Osservatore Romano
Sabato 22 aprile "L’Osservatore Romano”, grazie alla segnalazione di una nostra abbonata, ha pubblicato integralmente l’intervista a Franca Benini sul dolore dei bambini. Alla nostra incredula sorpresa, un nostro collaboratore ha commentato: "Ma certo, è l’unico quotidiano che si occupa dei problemi della gente!”.

26 aprile. Guerre
L’esplosione di Moab, la "madre di tutte le bombe” sganciata il 13 aprile ad Achin, nel sud dell’Afghanistan, ci ha ricordato che quel conflitto dura da 16 anni. È la più lunga guerra condotta sul terreno dagli Stati Uniti. Seguita da quella in Vietnam e Iraq.
(timeline.com)

28 aprile. Sul reddito di cittadinanza
Sul numero primaverile di "Dissent”, Alyssa Battistoni dedica un lungo saggio all’Universal basic income (Ubi), il nostro reddito di cittadinanza. L’idea, che non è nuova, piace a molti: al Movement for Black Lives, ad Andy Stern, già presidente di Seiu, il sindacato americano dei lavoratori dei servizi, a Corbyn come ad Hamon. Battistoni fa però notare che a promuovere l’Ubi oggi negli Usa sono anche i tecnocapitalisti e che alcuni sperimenti pilota, come quello che partirà in Oklahoma, è promosso da privati. L’Ubi risponderebbe in questo caso a una sorta di "noblesse oblige” dei vincenti della globalizzazione verso i perdenti; se non addirittura, commenta maliziosamente Battistoni, un modo per "evitare la ghigliottina”. Questa versione unilaterale è comunque l’opposto della rivendicazione di chi mette in discussione la legittimità dell’enorme ricchezza accumulata da pochi. L’invito è a essere cauti perché dietro c’è un’ambiguità politica pericolosa. Il sospetto è, per esempio, che a destra l’Ubi sia visto come una sorta di cavallo di troia per far fuori quel che resta del welfare. Nel 1969 anche Nixon fece una proposta analoga, che però non passò. Bregman, giornalista olandese, grande sostenitore dell’Ubi, lo vede come la soluzione a tutti i problemi: grazie a una massiva redistribuzione della ricchezza prodotta dai robot, lavorando tutti meno ci saranno anche indubbi benefici sul traffico, sull’ambiente, sul clima, sulla criminalità, e sulla nostra salute mentale. Cosa vogliamo di più?
Battistoni, per capire da che parte stiamo andando, ci invita a porci due questioni: chi paga? Se infatti il reddito di cittadinanza "cannibalizza” i programmi di welfare, o se lo si finanzia con una tassa "regressiva” (cioè non proporzionale al reddito) come ad esempio l’Iva, non stiamo andando a sinistra. Non a caso qualcuno vede nell’Ubi anche il segno della debolezza della sinistra e del sindacato: è come se avessero rinunciato alla propria missione. La seconda domanda cruciale è: a chi è destinato? A tutti, quindi anche agli immigrati? Anche ai ricchi? Insomma, il problema del reddito di cittadinanza, conclude Battistoni, è che viene presentato come un’idea senza un’ideologia, cosa che decisamente non è. La discussione è aperta.
(dissentmagazine.org)

1 maggio. Primo Levi sul lavoro
"Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono”.
(La chiave a stella, Primo Levi, Einaudi 1978)

2 maggio. Povertà
Negli ultimi decenni, la quota delle persone che vivono in "estrema povertà” (cioè con meno dell’equivalente di 1,9 dollari al giorno) è precipitata. Secondo la Banca mondiale, nel 1981 c’erano 1,9 miliardi di persone "estremamente” povere e i poveri contavano complessivamente il 42% della popolazione mondiale. Nel 2013 "solo” 767 milioni di persone risultavano povere, meno dell’11%. Il balzo è dovuto soprattutto alla Cina, dove nel 1981 l’88% della popolazione viveva sotto la linea della povertà, condizione che nel 2013 riguardava circa il 2% della popolazione. Possiamo dire che oggi la povertà non è più un problema "globale”, bensì "solo” africano e dell’Asia del Sud. Oggi metà dei poveri del mondo sono africani, ma molti di loro vivono parecchio al di sotto dei 1,9 dollari al giorno, tant’è che si è coniata una categoria ad hoc, gli "ultra” poveri. (economist.com)

3 maggio. Morire di carcere
Un detenuto originario di Racconigi si è suicidato questa mattina (3 maggio) in carcere a Saluzzo. L’uomo stava scontando una pena per furto, la scarcerazione sarebbe avvenuta a novembre. (lastampa.it)

4 maggio. Cinesi in Africa
Il "New York Times” ha pubblicato un lungo reportage sui cinesi in Namibia, un paese che conta 2,5 milioni di abitanti (un decimo della popolazione di Pechino), in particolare sul progetto in corso nella baia di Walvis dove i cinesi stanno costruendo una penisola artificiale dell’estensione di quaranta campi di baseball per potenziare il porto. Nelle vicinanze sono inoltre previste nuove autostrade, un centro commerciale, una fabbrica di granito e un deposito di carburante. Dal 1990 al 2015 la Cina ha investito qui oltre quattro miliardi di dollari. I leader cinesi ci tengono a spiegare che quella con l’Africa è una cooperazione "win win”, in cui vincono tutti. Sarà. In effetti molti dei progetti -strade, ferrovie, porti, miniere, telefonia- probabilmente non sarebbero mai stati realizzati senza l’intervento cinese. Se però il modello è quello della miniera di uranio di Husab, in cui la compagnia cinese possiede il 90% e il governo della Namibia il 10%, il dubbio che si tratti piuttosto di una nuova forma di colonialismo è piuttosto forte.
(nytimes.com)

5 maggio. Le elezioni e i franco-algerini
In Francia ci sono 764.000 franco-algerini. In queste settimane sono stati invitati a votare per le elezioni legislative algerine che si tengono presso i vari consolati in Francia. Sofia, 20 anni, è una di questi e a "Le Monde” ha spiegato che per l’Algeria non andrà a votare, non è interessata. Oggi si sente francese ed è molto sulle spine per il secondo turno delle presidenziali. Come molti altri nelle sue condizioni è preoccupata per un eventuale successo di Marine Le Pen. Secondo Otman Daoudi, vice presidente dell’Associazione degli algerini in diaspora, il 99% dei franco-algerini voterà Macron perché ha parlato della colonizzazione e dei crimini contro l’umanità commessi dalla Francia. (lemonde.fr)

6 maggio. Oppiacei
Nel Regno Unito, la prescrizione di antidolorifici negli ultimi dieci anni è raddoppiata. I medici iniziano a preoccuparsi: è l’effetto di una maggiore consapevolezza sull’efficacia di questi farmaci o c’è un problema di dipendenza? In particolare l’impiego dell’oxicodone, che abbiamo imparato a conoscere guardando il "Dr House”, è aumentato del 300%. Ora, queste medicine migliorano senz’altro la qualità della vita, ma hanno anche pesanti effetti collaterali e soprattutto, se assunte senza controllo, inibiscono la produzione di endorfina aumentando la sensibilità al dolore e creando una situazione di dipendenza da cui è molto difficile uscire. È importante che, soprattutto i medici di famiglia sappiano riconoscere quando è il momento di sospendere la terapia, perché il rischio di una crescente dipendenza, denuncia Harry Shapiro del DrugWise information service, può assumere dimensioni catastrofiche. (guardian.com)

7 maggio. Un’altra demolizione
Jeff Halper, già direttore dell’Israeli Committee Against House Demolition, ha pubblicato su Facebook una foto dove si vede una ruspa intenta a demolire una casa palestinese a Gerusalemme Est. E ha commentato così:
"Uno spettacolo che ormai è diventato parte del paesaggio. Stavo accompagnando alcuni attivisti ucraini in giro per Gerusalemme, quando ci è capitato di assistere a questa scena (nel cerchio): la polizia di confine israeliana intenta a transennare una casa ad A-Tur, sul fianco del Monte degli Ulivi, per poi demolirla, con la famiglia e i vicini costretti a fare da spettatori. Secondo i calcoli dell’Icahd, dal 1967 Israele ha demolito circa 50.000 case palestinesi nei territori occupati -numero che sale a 130.000 in tutto il Paese se si comincia a contare dal 1948. E non per "motivi di sicurezza”. Negli ultimi cinquant’anni Israele ha semplicemente posto un divieto alla costruzione di nuove case palestinesi, e se una famiglia costruisce perché le serve una casa in cui crescere i propri bambini, è passibile di demolizione. Purtroppo, come altri aspetti dell’oppressione israeliana, la sofferenza e l’ingiustizia non vengono notate dai media e dal grande pubblico. Alla fine è solo un altro giorno, un’altra demolizione di routine, un’altra famiglia senza più casa. Che noia”.