Antonio Carini di Monticelli d’Ongina (Pc) è uno degli uomini che hanno fatto grande la Resistenza italiana.
Antonio era nato a San Nazzaro di Monticelli d’Ongina il 7 ottobre 1902 ed aveva otto fratelli e sorelle. A 13 anni inizia a lavorare con suo papà e fa il barcaiolo. Si iscrive al Partito comunista e poi emigra in America prima a New York e poi a Buenos Aires. Già in questo periodo viene "tenuto d’occhio” dalla polizia che controlla anche gli italiani all’estero che sono considerati antifascisti. Nel 1936 Antonio parte per la Spagna come volontario contro Franco. Combatte nel battaglione Garibaldi come sergente a Madrid, a Guadalajara e a Huesca.
Viene ferito per due volte e partecipa alla difesa di Barcellona.
Alla fine della guerra civile spagnola, come molti volontari viene imprigionato in diversi campi di prigionia francesi a Saint Cyprien, Gurs e Vernet. Il 19 aprile 1941 viene consegnato alla polizia italiana e viene condannato a 5 anni di confino a Ventotene. Dopo il 25 luglio 1943 viene liberato, torna a casa e prende contatto con il Cln e a ottobre organizza ed entra a far parte delle brigate Garibaldi. A inizio ‘44 è in Romagna per organizzare la lotta armata nelle province di Forlì e Ravenna e assume il nome di battaglia di "Orsi”. Carini/Orsi ispeziona due volte la brigata partigiana che opera sull’Appennino agli ordini del comandante Riccardo Fedel "Libero”.
Al ritorno dalla seconda missione viene arrestato dai miliziani repubblichini nei pressi di Meldola.
Viene portato alla Rocca dell Caminate, sede di un comando repubblichino, dove è torturato per quattro giorni. Dagli stanzoni di quel castello si levano urla fortissime di dolore. I partigiani, gli altri antifascisti e detenuti politici rabbrividiscono. Più tardi i repubblichini portano in giro un partigiano per tutte le celle per farlo vedere come ammonimento, è il cadavere ambulante come lo chiamano loro con scherno. Il cadavere ambulante è Antonio.
Picchiato con il calcio dei fucili, non ha più i denti davanti, uno zigomo è rotto. Un occhio si sposta dalla sua orbita, le sue gambe e i suoi piedi sono bruciati perché Antonio è stato seviziato con una baionetta rovente. Nonostante questo, Antonio non parla, capisce che sta quasi per morire ma anzi dice ai compagni di tener duro. Valbonesi (un altro partigiano detenuto nello stesso periodo di Carini) ricorda: "Ho avuto modo di parlargli un attimo mentre era legato a un palo. Per noi c’erano state botte sulle gambe con stecche da biliardo, ma lui era stato maciullato: la carne delle gambe emanava puzza di bruciato. Eppure, in quel breve attimo in cui potemmo parlarci, mi raccomandò di non lasciarmi scappare nulla con i fascisti, di essere forte”.
I fascisti, inferociti per il suo contegno e la sua resistenza, lo legano ad un’auto e lo trascinano fino a Meldola, al ponte dei Veneziani, dove lo finiscono a colpi di pugnale e lo gettano dal ponte nel fiume. Là un repubblichino gli massacra la testa con una pietra.
Il medico incaricato svenne alla vista delle terribili condizioni del cadavere. Antonio Carini fu insignito della medaglia d’argento.
(tratto dal sito di Attilio Bongiorni)