2 ottobre. Il populismo non è fascismo, ma…
Marine Le Pen è fascista? Un tribunale francese ha sentenziato che i suoi oppositori hanno il diritto di definirla così. E Norbert Hofer, il leader del Partito della libertà austriaca? E Donald Trump?
Sheri Berman, nel suo intervento sull’ultimo numero del "Foreign Affairs”, interamente dedicato al populismo, solleva qualche dubbio. Sicuramente il contesto di crisi economica e inadeguatezza delle élites politiche ricorda molto quello degli anni Venti e Trenta. Proprio per questo varrebbe la pena capire perché la crisi economica comune a Germania e Stati Uniti portò a esiti così diversi. Berman ricorda ad esempio come mentre la Germania si intestardiva in una politica di austerità, Roosevelt poneva le fondamenta del futuro stato sociale. Non a caso, la forza del fascismo stava anche nella promessa di uno Stato che si sarebbe occupato dei suoi cittadini, difendendoli dagli effetti del capitalismo.
Ovviamente al successo del fascismo contribuirono molti altri elementi, la frustrazione dei reduci, la connivenza delle forze conservatrici, l’appeal nazionalistico…
E oggi? Berman intanto fa notare che i populisti non parlano mai di abbattere la democrazia, bensì di migliorarla. Sono antiliberali, ma non antidemocratici. Una differenza tutt’altro che banale. E poi c’è il contesto: nonostante tutti i limiti, attraverso le istituzioni democratiche, i partiti e le organizzazioni della società civile, i cittadini possono esprimere le proprie preoccupazioni, influenzare la politica e, attraverso il welfare, trovare risposta ai loro bisogni. Tutto bene dunque? Beh, se è vero quello che dice Theda Skocpol, e cioè che i movimenti rivoluzionari non creano le crisi, bensì le usano, allora è invece il caso di preoccuparsi. Ma delle cose giuste. Il passato ci insegna che più che dei populisti dobbiamo preoccuparci dei problemi che affliggono la nostra democrazia e che sono la crescente disuguaglianza, i bassi salari, la disgregazione delle comunità, eccetera eccetera.
(foreignaffairs.com)

10 ottobre. Morire di carcere
Un detenuto di 23 anni ha provato a impiccarsi nella propria cella della Casa Circondariale di Fuorni. Le guardie carcerarie, accortesi del tentativo, hanno dato subito l’allarme. Intubato e stabilizzato, il ragazzo è stato trasferito con urgenza all’ospedale di Salerno del Ruggi, dove è stato ricoverato in rianimazione in coma. (Ristretti Orizzonti)

12 ottobre. Il Gaokao
Ogni anno, ai primi di giugno, gli studenti cinesi che stanno per conseguire il diploma si cimentano nei test d’ammissione alle università: i Gaokao (letteralmente "esami superiori”) sono considerati un evento nazionale, al punto che nelle prossimità delle sale d’esame si interrompono i lavori nei cantieri, viene deviato il traffico e le forze di polizia verificano che nelle strade adiacenti non si faccia chiasso. In più, per evitare gli imbrogli, le aule vengono sorvolate da apparecchi che rilevano onde radio "anomale”. Fuori, intanto, si assiepano i genitori degli esaminandi, che si preparano per quel momento sin dalle elementari. Già, perché i posti disponibili sono circa uno ogni 50.000 candidati, e dal risultato del Gaokao può dipendere il resto della vita: dalla carriera alle prospettive di matrimonio. Certo un sistema tanto competitivo attira diverse critiche anche in Cina; d’altra parte, l’opinione condivisa è che non ci sia alternativa a un esame tanto duro. "Abbiamo troppa gente”. (theguardian.com)

16 ottobre. Dove sono finiti i lavoratori?
Nel mercato del lavoro statunitense mancano all’appello milioni di uomini. Dove sono finiti? Questa è domanda che guida la ricerca da poco pubblicata di Alan B. Krueger, professore di economia a Princeton. Gli economisti da tempo si scervellano per capire perché una crescente quota di giovani uomini non solo non lavora, ma nemmeno cerca un impiego. Gli ultimi dati ci dicono che a settembre 2016 negli Stati Uniti l’11,4% degli uomini tra i 25 e i 54 anni (sette milioni di persone) non fa parte della "forza lavoro”. Com’è possibile? Al di là delle tendenze demografiche, che ovviamente incidono, la preoccupante scoperta di Krueger è che il 40% di chi sta "fuori” soffre, nel senso proprio di dolore fisico, anche di intensità elevata; un terzo ha delle disabilità di vario tipo; il 44% prende antidolorifici tutti i giorni e, ciò che è peggio, continua a provare dolore. (nytimes.com)

20 ottobre. Tutti programmatori?
Negli Stati Uniti si è aperto un dibattito attorno all’idea che saper programmare è diventato un aspetto dell’alfabetizzazione di importanza pari al saper leggere e far di conto e quindi va insegnato a tutti. Ne parla Annie Murphy Paul sull’ultimo numero de "Le Scienze”. L’amministrazione Obama si sta muovendo su questa strada. Nel Regno Unito, già nel 2014 per gli studenti è diventato obbligatorio saper programmare. Sheena Vaidyanathan, che insegna alla scuola elementare di Palo Alto, è convinta che tutti, maschi, femmine, ragazzini apparentemente poco dotati per la matematica, possano imparare a programmare. Ovviamente la sfida è molto ambiziosa, soprattutto perché per ora mancano gli insegnanti di informatica. I più diffidenti mettono anche in guardia dal rischio che lungo questa strada si inseriscano le grandi imprese interessate solo ai loro profitti. I più fiduciosi sostengono invece che "saper programmare” nel senso di scrivere codici, è troppo poco. Quello che bisogna insegnare, partendo dai bambini, è ciò che sta "sotto”, diciamo così, la programmazione, e cioè il pensiero computazionale, vale a dire "la capacità di saper prendere un grosso problema e scomporlo in tanti problemi più piccoli”, un’abilità che in effetti non serve solo a chi usa il computer. (Le Scienze)

28 ottobre. L’imama
La moschea Mariam, la prima a conduzione femminile, ha aperto in marzo a Copenaghen. Al primo incontro si è parlato di diritto delle donne. Sherin Khankan, 42 anni e quattro figli, una delle imam che guida la preghiera, è nata in Danimarca. Nel 2001 ha fondato "Critical Muslims” un gruppo che promuove un islam democratico e pluralista.
Sherin porta il velo solo quando prega e nei suoi sermoni rilegge il Corano "secondo i nostri tempi e la nostra società”.La sua moschea trova ispirazione nel sufismo, ma tutti sono i benvenuti. Nella moschea di Sherin si sono celebrati già cinque matrimoni (due dei quali tra persone di fede diversa). Uomini e donne sono invitati a partecipare alle varie attività della moschea, ma il venerdì è riservato alle donne. (wsj.com)

31 ottobre. Mr Hussain
Sharakat Hussain, ventiseienne di Birmingham, aveva acquistato un iPhone7 da 799 sterline per la sorella, dopodiché aveva deciso di restituirlo. Gli era stato comunicato che sarebbe arrivato un rimborso, ma dopo qualche settimana gli è arrivata un’email di Apple in cui gli si chiedeva di dimostrare di non essere il defunto dittatore iracheno. Ovviamente ha subito pensato fosse spam, ma si sbagliava. Il suo cognome era finito dentro la "black list”. A quel punto Hussain, che fa l’autista, si è infuriato, oltre che indignato per l’associazione. Apple si è scusata dell’errore umano e ha garantito che i soldi sarebbero stati riaccreditati quanto prima. (independent.co.uk)

31 ottobre. Effetti Brexit
Sulla prima pagina del "Guardian” oggi si parla di un effetto della Brexit piuttosto curioso: alcuni discendenti delle decine di migliaia di ebrei tedeschi che trovarono rifugio in Gran Bretagna in fuga dal nazismo, oggi rivendicano il loro diritto alla cittadinanza tedesca. Le autorità tedesche parlano di circa quattrocento domande arrivate dal Regno Unito.
Michael Newman, dell’associazione dei rifugiati ebrei, parla di una sfida psicologica considerevole: dopo aver aiutato gli ebrei a diventare cittadini britannici, oggi gli viene chiesto di assistere chi vuole riacquistare la cittadinanza tedesca.
In base all’art. 116, infatti, qualsiasi discendente di persone perseguitate dai nazisti ha diritto a chiedere la cittadinanza tedesca.
Ovviamente non tutti sono pronti a una simile scelta. Harry Heber, 85 anni, nato in Austria e arrivato in Gran Bretagna all’età di sette anni nel dicembre del 1938, dice che l’idea di tornare nel luogo dove i suoi parenti sono stati assassinati semplicemente gli provoca orrore. (theguardian.com)

1 novembre. Poverofobia
In francese si dice "pauvrophobie” ed è la parola scelta dopo un sondaggio condotto da Atd Quart Monde (movimento di lotta contro la miseria presente in 34 paesi) in occasione della giornata mondiale contro la povertà. Sembra che questa fobia della povertà in Francia (ma non solo) stia colpendo comunità locali e amministrazioni in un modo inedito. Non ci sono solo gli episodi eclatanti degli attacchi ai centri per i poveri e gli immigrati, racconta Isabelle Rey-Lefebvre su "Le Monde”, ora ci si mettono anche gli arredi urbani a ribadire il concetto: come le gabbie metalliche anti-clochard installate intorno alle panchine di Angoulême. I poveri ormai non sono più tollerati neanche sui marciapiedi. D’estate a Cannes, Nizza, Fréjus, si ripetono i decreti anti-accattonaggio. A Lione sono arrivati a chiudere le fontane in piena canicola.
"Le Monde” ha dedicato un lungo reportage alla fobia per la povertà. Ciò che colpisce è anche proprio il senso di fastidio che si sta diffondendo verso chi non ce la fa: se nel 1995 era il 25% delle persone a pensare che "i poveri non fanno abbastanza per uscire dalla loro situazione”, oggi, a parità di indice di povertà, a pensarla così è il 36%.
(lemonde.fr)

3 novembre. Il grande fratello e l’Rc auto
Agli ideatori doveva essere sembrata una bella trovata. "Firstcarquote” il nuovo prodotto della compagnia assicurativa inglese Admiral si rivolge esplicitamente alla "generazione digitale” alle prese con l’acquisto della prima auto facendo un’offerta allettante. Permettimi di "quotarti”, cioè di capire quante possibilità ci sono che tu faccia un incidente, e ti farò un bello sconto. Quotarti come? Beh, studiandoti attraverso il tuo account su un social network. Facebook ha bloccato sul nascere l’iniziativa perché viola gli elementari principi di privacy. Admiral si è giustificata spiegando che c’è un legame comprovato tra la personalità e il modo di guidare e che il loro servizio era pensato per aiutare i giovani neoguidatori spesso molto penalizzati dai premi assicurativi. Sarà. Certo la prospettiva che un’assicurazione usi degli algoritmi per sapere, per esempio, in che orari e dove incontri le persone, quali parole usi nei post e quanto lunghe sono le tue frasi fa, a dir poco, una certa impressione. (dailymail.co.uk)

4 novembre. Ivan il terribile
Il primo leader russo a rivalutare la figura di Ivan il Terribile, sanguinario zar del sedicesimo secolo, era stato Stalin; in un celebre aneddoto, il povero Eisenstein, reo di aver girato un film non proprio agiografico sulla sua figura, era stato duramente ripreso dal dittatore, che stimava Ivan come "grande e saggio governante”.
Con la fine dello stalinismo, anche il Terribile era tornato a essere considerato una figura cupa della storia di Russia. Così fino a oggi, perché la città di Oryol, nella Russia sud-occidentale, ha appena inaugurato nella piazza principale una statua equestre in suo onore. All’inaugurazione, alla presenza di alte autorità, il governatore cittadino ha affermato: "Anche ora abbiamo un presidente potente, che ha costretto il mondo intero alla deferenza verso la Russia. Proprio come aveva fatto Ivan il Terribile”. Non tutti ci stanno, e in città si è animato un piccolo gruppo di attivisti anti-statua. Una di loro è già stata aggredita, e per la paura ha lasciato il paese.
(politico.eu)
 
Il dovere
La catastrofe non potrebbe essere la grande occasione per una rinascita dell’Italia, in nome del bene comune? Perché non chiamare tutti i cittadini alla solidarietà non solo verso chi soffre adesso, ma verso chi potrà soffrire domani e verso figli e nipoti il cui futuro non deve essere gravato da ancora più debiti? In che modo? Varando una grande patrimoniale una tantum, su beni immobili e mobili, pesantemente progressiva, per ricostruire, per mettere in sicurezza buona parte del paese, per dare un forte impulso alla ripresa economica; ma che possa, soprattutto, darci ciò che rasserena gli animi e unisce: la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere.

Cosa succede in fabbrica?
Confessiamo che non avevamo capito, ed è grave, che i cinque operai Fca, licenziati per motivi disciplinari avendo inscenato una discutibile sceneggiata su un Marchionne suicida (per ricordare il suicidio, quello vero, di alcuni cassintegrati Fca), sono stati reintegrati dal giudice solo perché il loro contratto era antecedente al jobs act. Se fossero stati assunti dopo sarebbero fuori con qualche mensilità in tasca (poche).
Beh, intanto fa impressione la disparità con cui due operai, fianco a fianco sul lavoro, ma assunti in tempi diversi, verrebbero trattati per la stessa infrazione disciplinare: uno licenziato l’altro no. (Ma la Corte avrà da ridire? Speriamo, visto che è così puntuale a revocare, in nome dell’uguaglianza, i contributi di solidarietà a chi guadagna molte migliaia di euro al mese).
Ancora più impressione, però, fa l’eventualità che in fabbrica torni la paura del padrone.

Il voto sballottato
A chi gli fa notare che con la sua legge elettorale anche un partito del 25% potrebbe avere la maggioranza assoluta in Parlamento, uno degli architetti della legge elettorale ribatte che il voto al ballottaggio è pienamente rappresentativo, e lì, per forza, ma questo non c’era bisogno che ce lo dicesse lui, ci sarà chi avrà più del 50%. Quindi io dovrei sentirmi rappresentato in Parlamento dal voto che ho espresso in un ballottaggio? Se fossi in Francia, per esempio, e fossi costretto a votare Sarkozy per sbarrare la strada alla Le Pen, dovrei poi sentirmi rappresentato da una persona e da una destra che detesto? E poi in Francia fra il primo turno e il ballottaggio ci si può coalizzare, quindi si può trattare, fare patti e ottenere qualcosa. Qui no, assolutamente: che non sia mai che si arrivi a un "inciucio” (ma chi è stato che ha introdotto nel linguaggio politico questa parola? La più antipolitica e volgare che sia mai stata usata!). Ma facciamo pure il caso italiano, in una delle ipotesi neanche poi tanto campate per aria: la minoranza Pd se ne va ed è una separazione con astio che impedisce, almeno all’inizio, una ricomposizione in una lista comune; al ballottaggio ci vanno i Cinquestelle e la destra a quel punto riunita, con un Salvini in prima fila. Cosa voteranno gli altri? E comunque votino, si sentiranno rappresentati?
Finora, per anni, ha funzionato un ricatto (a cui, però, a rigore, ci si poteva anche ribellare): "Se voti i piccoli, disperdi”, "Se non voti, voti Berlusconi”, eccetera. Cosicché, in tanti, per tante volte, a malincuore abbiamo votato Pd. Adesso siamo alla costrizione. E quella, non so se se ne stiano accorgendo gli ingegneri della governabilità e i loro committenti, a tanti non va proprio giù.

La parola maggioranza
Qualcuno ha definito "la democrazia come l’espressione della volontà della maggioranza temperata dalle garanzie della minoranza”. La definizione non sembra entusiasmante, suona un pochino prosaica, ma per questo chiederemo a chi di dovere. Su una cosa però ci sentiamo di dire la nostra: maggioranza vuol dire maggioranza, non "chi arriva primo”. Giusto?

IL 25 e il 55
Ma siete proprio sicuri che un grande premio assicuri stabilità, governabilità e soprattutto dia la forza per cambiare? Se si ottiene la maggioranza dei seggi con una percentuale del 25%, siete convinti che questo non condizioni poi l’azione di un governo? Il paese non sparisce il giorno dopo le elezioni, tant’è che, per fare un esempio, non c’è stato un solo governo, dei "maggioritari” che si sono succeduti, che l’abbia spuntata su 700 tassisti.
Non può succedere che un premier del 55% in parlamento e del 25% nel paese sia portato a conquistare dopo, il consenso che non ha conquistato prima? In che modo? Varando leggi e provvedimenti "popolari” piuttosto che necessari ma "impopolari” e i cui benefici si vedrebbero solo nel tempo. E così saremmo alle solite.

Da Lenin a Renzi
Si discuteva alla Lewin, accapigliandosi anche qui, sul sì e il no. Ma poi si è andati a parlare dei vecchi amici e lontani conoscenti del ’68, in gran parte schierati con il sì. Un amico presente, a suo tempo militante a tempo pieno, s’è messo a raccontare che dovendo andare a dare un esame di storia contemporanea (se ne dava uno all’anno per rimandare il militare) con un assistente che era un compagno, portò nientemeno che "Proletari senza rivoluzione”, di Del Carria, uno dei testi canonici del tempo. Con il professore ordinario, invece, esperto di costituzioni, si sarebbe dovuto preparare sulle costituzioni scandinave. Mentre andò benissimo sul Del Carria, quando si trovò di fronte al costituzionalista fece scena muta. Le sue dispense non le aveva neanche aperte e la materia era comunque arabo per lui. Il professore, dopo aver chiesto al suo assistente com’era andata con lui e che questi aveva risposto: "Benissimo”, guardò fisso lo studente per qualche secondo, e poi disse: "Ho capito, le do 30 con disprezzo”. Il nostro amico ha aggiunto che, malgrado la supponenza rivoluzionaria di allora e tutto il nostro, di disprezzo, per l’accademia e quant’altro, non era riuscito a rimuovere con un’alzata di spalle l’episodio, che gli era rimasto impresso come uno di quei ricordi sgradevoli, di "peccati commessi”, che ci accompagnano per tutta la vita. Dopodiché ci si è messi a ricordare di quanto disprezzassimo la democrazia (qualcuno ha sfidato a contare le volte che la parola appare nei giornali rivoluzionari), di quali fossero le nostre parole chiave: "potere”, "forza” (e non solo per "i rapporti”), "masse”, "avanguardia”, di quanto dipendessimo da un capo, di quanto ammirassimo Lenin e la sua arte sublime dell’insurrezione (da solo, contro tutti: né il 6 né l’8, ma il 7!). Poi, ritornando all’oggi dei vecchi compagni, qualcuno ha detto: "Il giacobinismo è duro a morire”. E l’amico: "Se qualcuno facesse loro la domanda della professoressa Carlassare: ‘Ma un senato così chi rappresenta?’, farebbero scena muta”. Poi, andandosene, ha dichiarato: "Per disprezzo della mia ignoranza e arroganza di allora voterò no”.
Gianni Saporetti