21 gennaio 2011. Morire di carcere
Un detenuto egiziano di 64 anni si è ucciso impiccandosi nella sua cella, nel reparto internati del penitenziario peligno. Il detenuto era affetto da tempo da una forte depressione che aveva minato il suo equilibrio psichico. Ad agosto aveva ottenuto la libertà dopo aver finito di scontare la sua pena. Ma la lunga detenzione gli aveva procurato forti contraccolpi a livello psichico. Uscito dal carcere, aveva cercato di rifarsi una vita trasferendosi a Roma ma nella capitale si era macchiato di nuovi reati tanto che lo scorso mese di dicembre era tornato nel carcere di Sulmona, questa volta da internato. Sono 200 le persone che popolano questo reparto, sovraffollato oltre ogni limite. Lo scorso anno tre internati si sono uccisi: Antonio Tammaro, di 28 anni, il 7 gennaio; Romano Iaria, di 54 anni, il 3 aprile; Raffaele Panariello, di 31 anni, il 24 agosto. Un quarto, Domenico Cardarelli, di 39 anni, è morto per cause "naturali” l’8 aprile 2010. In altre 14 situazioni (solo lo scorso anno) i detenuti hanno provato a uccidersi, ma sono stati salvati grazie al provvidenziale intervento degli agenti di polizia penitenziaria. La Casa di Lavoro di Sulmona avrebbe una capienza di 75 posti: invece in celle di nove metri quadrati, concepite per un massimo di due persone, oggi sono in 4-5, con brande a castello e nessuno spazio per muoversi.
Erano quasi le 20 di ieri quando gli altri internati hanno lanciato l’allarme richiamando l’attenzione degli agenti di polizia penitenziaria in servizio in quel momento. A nulla sono valsi i tentativi di rianimare l’egiziano, tanto che il medico del carcere, intervenuto anche lui in soccorso, non ha potuto far altro che constatarne il decesso.
Sembra che il detenuto si sia impiccato alla grata della cella utilizzando un pezzo di lenzuola.
(Ristretti Orizzonti)

28 gennaio 2011. Il giorno dopo il Giorno della Memoria
Ieri sono partita per Ginevra. In stazione una ragazzina Rom, non so se minorenne, ma molto giovane, mangia un biscotto, seduta in sala d’aspetto. Mi chiede del treno, provo a parlarle, ma è straniera e alle mie domande sa solo rispondere Bologna, vuole andare a Bologna, abita a Bologna.
Arriva un carabiniere, le intima malamente di seguirla. Lei dice no. Io chiedo che problema c’è, il carabiniere giovane scompare.
Propongo alla ragazza di andare a comprare il biglietto per il treno, ma mentre usciamo arrivano due carabinieri, quello giovane con uno più anziano. Le intimano di seguirli all’auto. Le chiedono i documenti, lei risponde che lì ha sua sorella. Le chiedono il nome: Denisa, le chiedono il cognome: Denisa. Le dicono che la portano via. Io chiedo cosa succede, mi intimano di farmi gli affari miei, chiedono i miei documenti, ma parlo di "avvocato” e lasciano stare. Portano via la bambina.
Ieri era il 27 gennaio, giornata della memoria. La sera prima al gruppo Amnesty di Imola parlavamo di creare dei presidi per i Rom e gli immigrati, sul modello dei gruppi Anpi. Ci dicevamo di come molti Rom siano di fatto apolidi, perché, ad esempio, sono fuoriusciti dalla Jugoslavia, che non esiste più o perché non hanno residenza, e non si danno i documenti ai non residenti.
(Alessia Bruni)

28 gennaio 2011. Sorveglianza
"Il 70% dei dispositivi di videosorveglianza che installo nelle imprese sono usati per sorvegliare i lavoratori”. A dirlo è Léo Essuied, che lavora nel settore della videosorveglianza.
Grazie a nuovi sistemi di videosorveglianza, in grado di integrare i cellulari e le webcam, la situazione sul lavoro di molti impiegati sta cambiando. E non in meglio. Un impiegato di una farmacia parigina riferisce che "il suo responsabile guarda i video in diretta sul suo Iphone o sul pc e ci telefona non appena vede qualcuno di noi che non è abbastanza attivo nel negozio o che perde tempo nel retro bottega”.
Da quando è possibile collegarsi ad una videocamera connessa a internet attraverso il proprio smartphone, il sistema si sta diffondendo. Ma l’obiettivo non è controllare i furti: "Nessun manager può passare la giornata a controllare questi video sull’Iphone per cercare dei ladri. È ovviamente un sistema per sorvegliare gli impiegati”.
(Rue89)

30 gennaio 2011. Il piccolo Egitto di New York
Ad Astoria, nel Queens, noto anche come "piccolo Egitto”, sono arrivati da tutte le parti: tassisti egiziani, negozianti tunisini, medici libanesi: tutti alla ricerca di notizie in mezzo al fumo di narghilè del Layali El Helmeya Café di Steinway Street
Daniel Barry, del New York Times, ha trascorso del tempo con loro e racconta che quando il presidente Mubarak è apparso sul video del bar lo scorso giovedì annunciando di essere disposto a fare un rimpasto nel governo, ma non ad andarsene, c’è stata una sollevazione: "Vattene! Vattene! Vattene! Sei senza vergogna!”.
Mentre sabato decine di migliaia di egiziani scendevano in strada per il sesto giorno dall’inizio della rivolta, ad Astoria, il cuore della comunità egiziana di New York, la gente reagiva con speranza, ma anche con rabbia per un presidente egiziano che ha privato il loro paese della libertà per così tanto tempo e per un presidente americano che l’ha di fatto appoggiato.
In quasi ogni caffé, ristorante o negozio del "piccolo Egitto”, un quartiere che non stonerebbe al Cairo, nel fine settimana erano tutti incollati a Al Jazeera. Alla preghiera del venerdì molti hanno rivolto i loro pensieri ai manifestanti, ma anche alle loro famiglie, divenute irraggiungibili dopo che si sono interrotti i collegamenti. Ahmed Diaa, 29 anni, fuggito dall’Egitto dopo essere stato incarcerato e picchiato dalle autorità, è in partenza per il Cairo per unirsi ai manifestanti. La comunità egiziana ha radici profonde ad Astoria: i primi arrivarono negli anni 60 in fuga dalla repressione del regime di Nasser, come Ali El Sayed, 60 anni, cuoco e filosofo, proprietario del Kabab Café di Steinway Street, conosciuto come il "sindaco” del quartiere.
Da quando sono cominciati gli scontri, Sayed e altri egiziani di Astoria si sono scoperti divisi sulla posizione da prendere: sostenitori di Obama, non hanno apprezzato la sua reazione, inizialmente molto -troppo- tiepida, verso Mubarak. Muhammad Soliman, ingegnere di Alessandria, ben sintetizza il pensiero dei suoi compagni: "Obama deve decidere se preferisce avere 80 milioni di amici egiziani o uno solo”.
(www.nytimes.com)

1 febbraio 2011. Il pragmatismo dei Fratelli Mussulmani
Il quotidiano francese Le Monde ha intervistato Joshua Stacher, ricercatore all’università di Kent (Ohio) a proposito del comportamento che i Fratelli Mussulmani stanno tenendo in Egitto. Il quotidiano si chiede perché la confraternita abbia aspettato quattro giorni per unirsi ufficialmente alle manifestazioni: secondo Stacher, se i Fratelli Mussulmani si fossero uniti immediatamente alle proteste, l’Occidente non avrebbe esitato ad appoggiare il regime di Mubarak contro le rivolte. Probabilmente non si sono resi conto immediatamente della grandezza della rivolta in corso e, una volta capito che Mubarak può veramente essere cacciato, si sono fatti avanti, ma senza apparire come leader per non inficiare le possibilità del movimento. Secondo lo studioso, quello che la confraternita sta adottando è un atteggiamento estremamente pragmatico: i Fratelli Mussulmani non vogliono essere alla testa di un Governo e non presenteranno un candidato a delle eventuali elezioni presidenziali, per non rischiare di mettere l’Egitto in una posizione di isolamento diplomatico proprio ora che si presenta per il Paese -e lo hanno capito- una reale opportunità di cambiamento. I Fratelli Mussulmani vogliono partecipare alla vita politica, senza che questo comprometta lo status internazionale dell’Egitto: secondo Stacher, se un processo di democratizzazione si metterà realmente in atto, è probabile che le voci più radicali del movimento si facciano più discrete, mentre a quelle più pragmatiche potrebbero venir affidati degli incarichi e, addirittura, potrebbero formarsi in partito come è stato per l’Akp (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) in Turchia.
(www.lemonde.fr)

1 febbraio 2011. Salute in internet
In base a un’indagine condotta da Pew Internet Project pare che la ricerca di informazioni relative alla salute sia la terza attività prevalente tra gli americani che usano internet. La prima e la seconda sono rispettivamente lo scambio di email e l’uso di motori di ricerca. Ben otto su dieci utenti della rete ammettono infatti di andare in internet per informarsi su malattie, terapie e medici.
Il centro di ricerca ha monitorato l’uso di internet in molti campi, commercio, musica, ecc. a partire dal 2000 e c’è stato subito un diffuso stupore per come la gente cercasse aiuto relativamente alla propria salute. La gente va in rete per prepararsi a un appuntamento o di ritorno da un medico.
In qualche modo internet sta diventando, di fatto, la "seconda opinione” medica.
(www.washingtonpost.com)

2 febbraio 2011. A scuola con Facebook
I docenti dell’istituto Tecnico Economico per l’Informatica e il Turismo Costa di Lecce stanno sperimentando un metodo innovativo per l’insegnamento: "Facebook - il SocialClasswork”. I docenti hanno pensato che, per rendere lo studio più accattivante per i loro studenti, tanto valeva proporre loro un mezzo che già amano: e cosa meglio del più famoso social network?
Ma come funziona questo metodo? Facebook verrà usato per studiare inglese, informatica e scienze del turismo. In pratica ad ogni studente verrà dato -in comodato d’uso- un computer portatile e una connessione Internet. Per quanto riguarda l’informatica, questa verrà affrontata attraverso lezioni sotto forma di "note facebook” fatte ad altri studenti: si tratterà di nozioni base sui codici html e sulla gestione di siti web; l’inglese si tratterà una volta alla settimana attraverso le "facebook chat” con una scuola di Londra; per quanto riguarda, invece, le scienze del turismo, i ragazzi verranno invitati a promuove eventi grazie agli strumenti di Facebook (eventi, pagine profili e pagine fan). Se si è interessati è possibile chiedere l’amicizia su Facebook all’Istituto Costa.
(www.style.it)

2 febbraio 2011. Matrimonio omosessuale in Perù
Il matrimonio omosessuale, questione già più volte sollevata in Perù, è ora diventato tema elettorale a causa delle affermazioni fatte da un altro rappresentante del clero peruviano, il vescovo di Chimbote, Luis Bambarén. Il religioso, in risposta alla possibilità, avanzata da diversi candidati alle presidenziali, ha sostenuto che "il matrimonio è un’unione inscindibile tra uomo e donna, anche se si cerca di proporne altre versioni”. Interrogato dai giornalisti ha poi continuato sostenendo che "i politici stanno solo cercando voti, proponendo cose inutili come la questione del matrimonio gay... E poi non ho capito perché si parla di gay. Parliamo in castigliano: sono finocchi. Si dice così, no?”
L’ex Presidente Alejandro Toledo, del partito Perú Posible -che è in testa ai sondaggi- ha sostenuto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso farà parte del suo programma; Manuel Rodríguez Cuadros, candidato di Fuerza Social, è della stessa opinione. Gli altri candidati, anche se meno radicali, hanno tutti avanzato la possibilità, se non di matrimoni, almeno di unioni civili. Il primo turno delle elezioni presidenziali si terrà il prossimo 10 aprile.
(Global Voices e Peru21.pe)

3 febbraio 2011. Fumare a New York
A New York presto sarà vietato fumare nei parchi, nelle spiagge e negli spazi pubblici all’aperto. "Quest’estate i newyorchesi che si recheranno nei nostri parchi e nelle nostre spiagge potranno respirare un’aria più pulita e sedersi su spiagge che non siano piene di mozziconi di sigaretta”, ha detto il sindaco Michael Bloomberg dopo l’approvazione del provvedimento. La normativa toccherà 1700 parchi e 22 chilometri di spiagge.
La battaglia contro le sigarette è una priorità per Bloomberg: "Gli sforzi che abbiamo fatto negli ultimi nove anni hanno prodotto 350.000 fumatori in meno e hanno contribuito a far sì che i newyorkesi vivano in media 19 mesi in più che nel 2002”.
(El Pais)

3 febbraio 2011. L’arabo in Francia
In Francia si stima siano cinque milioni le persone che parlano arabo. Secondo i responsabili del salone Expolangues di Parigi, l’arabo è la seconda lingua in uso nel Paese, lo si insegna in 22 università e in quasi tutte le Grandes Ecoles. Tuttavia risulta che solo 6178 studenti l’abbiano studiato in questi contesti nel 2009, l’1% del totale. Questo significa che la maggioranza lo impara da "insegnanti comunitari” o da "religiosi”.
Alle scuole elementari se ne occupa, dal 1980, l’istituto per l’Insegnamento di lingua e cultura d’origine (Elco) composto di professori algerini, marocchini e tunisini che sono stipendiati dal loro Paese di origine: i 40.000 bambini toccati dal fenomeno hanno dunque accesso ad un insegnamento comunitario. Nella scuola superiore c’è, invece, una carenza: il Ministero dell’istruzione giustifica la mancanza di professori di arabo con problemi di budget. Solo 218 scuole lo propongono, con 217 professori disponibili. Secondo Smail Chafaï, dell’Institut du monde arabe, c’è una resistenza dei presidi. Questo fa sì che gli allievi si dirigano verso il settore associativo o verso le moschee, dove si stima confluiscano ben 600.000 persone.
(Libèration)

10 gennaio 2011. Halal
Il tre gennaio scorso in Francia è stata lanciata una campagna nazionale attraverso la stampa e manifesti nelle città contro la macellazione rituale (islamica e ebraica) degli animali, a cui hanno aderito anche associazioni animaliste tra cui la Fondazione Brigitte Bardot.
"Questo animale sarà sgozzato vivo senza essere stordito. Questa è la macellazione rituale”. Questo slogan è presente su 2.266 pannelli diffusi su tutto il territorio nazionale francese. Sotto la foto, su sfondo rosso, un’altra frase: "Dal punto di vista della protezione degli animali e per il rispetto dell’animale quale essere sensibile, la pratica per la quale si uccide un animale senza prima stordirlo è inaccettabile, qualunque siano le circostanze. Federazione dei veterinari d’Europa”.
Già nel novembre scorso una pubblicità in cui si descriveva la crudeltà di questo tipo di macellazione era stata diffusa, per poi essere bloccata dall’Autorità di Regolazione Professionale della pubblicità (Arpp). I militanti di destra già parlavano di "islamizzazione della società”. La nuova campagna ha sostituito i termini "halal” e "kasher” con "macellazione rituale”.
Le associazioni promotrici della campagna chiedono che venga messo in pratica un "etichettamento” specifico della carne che precisi le condizioni con le quali un animale è messo a morte perché, sostengono, animali uccisi in questa maniera si ritrovano poi nella filiera classica di distribuzione senza che il consumatore ne sia al corrente.
Fateh Kimouche, fondatore del sito specializzato in consumo mussulmano al-kanz.org, denuncia i toni parziali della campagna, ma si dice favorevole a un metodo di etichettatura della carne: "C’è molto falso halal. Con un’etichettatura le industrie sarebbero obbligate alla trasparenza”. L’uomo però non manca di far notare che la campagna rischia di essere recuperata dall’estrema destra.
La sociologa Florence Bergeaud-Blackler sostiene che, benché la nuova campagna si basi su delle "verità difficili ma necessarie, è una calamità”. Una legge degli anni Sessanta rende obbligatorio, in Francia, lo stordimento dell’animale: le comunità ebraiche, nel 1964, riuscirono ad ottenere una deroga per la macellazione kascher che fu allargata, negli anni Ottanta, alle comunità islamiche. Il problema, dice la sociologa, è che oggi si utilizza il metodo senza stordimento in maniera diffusa -e su scala industriale- perché è più "conveniente” economicamente: niente tempi morti e più produttività. "Non si tratta di un problema tra religiosi e politici, ma di un rapporto di forza tra politica e economia, ormai sempre più favorevole a quest’ultima”.
Il mercato dell’halal in Francia ha registrato, nel 2010, un aumento del 23% rispetto al 2009. L’insieme dei prodotti halal genera un volume d’affari di 5,5 miliardi di euro. Il cibo kasher (secondo la preparazione rituale ebraica) si attesta sui 2,5 miliardi all’anno. Secondo le stime (le statistiche etniche in Francia sono vietate) la popolazione mussulmana si aggira sui cinque milioni di individui, mentre quella ebraica sulle 700.000 unità.
(Europa451)

4 febbraio 2011. Siccità catastrofica
Nel 2010 una diffusa siccità nelle foreste dell’Amazzonia ha fatto sì che "il polmone del mondo” abbia prodotto più biossido di carbonio di quanto è in grado di assorbirne, con il rischio di una pericolosa accelerazione del riscaldamento globale. Secondo gli scienziati, la siccità registrata nel 2010 sarebbe stata addirittura più intensa di quella del 2005 (già allora classificata come epocale).
Il risultato previsto è che dalle foreste verranno verosimilmente emesse qualcosa come otto miliardi di tonnellate di Co2, più delle missioni annuali negli Stati Uniti.
Per la seconda volta in meno di dieci anni, la più grande foresta pluviale al mondo ha rilasciato più biossido di carbone di quanto ne ha assorbito perché molti dei suoi alberi sono morti.
Secondo Peter Cox, dell’Exeter University, tali siccità sono causate dall’inusuale alta temperatura dell’oceano nelle regioni tropicali dell’Atlantico del nord, che ritarda la stagione delle piogge in Amazzonia.
(www.independent.co.uk)

5 febbraio 2011. La lunghezza della vita
In base a una ricerca condotta da due gerontologi della University of Southern California, gli anni di invalidità in vecchiaia stanno aumentando: se infatti nel 1998 erano 3,8, nel 2006 risultavano ben 5,8. Se nel 1998 un ventenne avrebbe avuto in media altri 45 anni "sani” -e una ventenne altri 49,2- nel 2006 la stima è scesa a 43, 8 per i ventenni e a 48 per le ventenni.
(Le Scienze)

6 febbraio 2011. Madri cinesi
Amy Chua, professoressa cinese alla Yale Law School divenuta famosa per il suo libro sulle "mamme tigre”, per spiegare la ragione per la quale i genitori cinesi sarebbero in grado di crescere figli così prodigiosi da essere divenuti degli stereotipi, comincia con la lista delle cose che le sue due bambine, Sophia e Louisa, non hanno mai avuto il permesso di fare: dormire oltre l’orario, guardare la tv o giocare coi videogames, scegliere le loro attività extracurriculari, prendere un voto inferiore alla A, rifiutarsi di suonare il piano o il violino eccetera.
L’idea di base è che per divertirti a fare una cosa devi saperla fare molto bene, si tratti di uno strumento musicale, della matematica o della danza. Quindi i bambini vanno forzati a fare esercizio -anche contro la loro volontà. Superato l’ostacolo iniziale, questo produrrà un circolo virtuoso, perché saper fare bene una cosa produce ammirazione, complimenti e soddisfazioni.
I genitori cinesi, dalla loro, hanno il fatto di essere molto rispettati e autorevoli, anche se tale rispetto viene conquistato con metodi che farebbero inorridire un genitore occidentale.
Ma, continua Chua, tre sono le differenze fondamentali tra i due sistemi educativi. Primo, i genitori cinesi non si preoccupano dell’autostima e della psiche dei loro bambini; loro partono dal presupposto che i figli sono forti, non fragili, e si comportano conseguentemente.
Secondo: i genitori cinesi sono convinti che i figli debbano loro tutto e che i figli debbano ripagarli con l’obbedienza e rendendoli orgogliosi di loro. Terzo: i genitori cinesi pretendono di sapere cos’è meglio per i loro figli.
Se il modello cinese rasenta la coercizione, Chua lo difende, convinta che non ci sia nulla di meglio, per la costruzione della fiducia in sé di un bambino, di scoprire di poter fare cose che era convinto di non poter fare. Certo, questo vuol dire anche stare addosso ai figli all’inverosimile, trascorrendo molto tempo con loro, per aiutarli e controllarli. Infatti, segretamente, molti cinesi sono convinti di essere dei genitori migliori di quelli occidentali, sempre preoccupati di non intaccare l’autostima dei figli, ma poco propensi a sacrificarsi per loro.
(www.nytmes.com?)

6 febbraio 2011. Confessione via Ipad
L’applicazione si chiama "Confessione: un’applicazione cattolica romana” e aiuta nella preparazione della confessione e poi nel confessionale stesso. Grazie a profili personali protetti da password vengono offerti un esame di coscienza, una guida passo dopo passo al sacramento, l’atto di dolore e altre preghiere.
Il francescano padre Thomas Weinandy, direttore esecutivo del Segretariato per la Dottrina e le Pratiche Pastorali della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, e padre Dan Scheidt, pastore della chiesa cattolica Regina Pacis di Mishawaka (Indiana), hanno collaborato allo sviluppo del testo del programma.
Esistevano già altri programmi analoghi, come "Mea Culpa” e "iConfess”, ma "Confessione” è il primo ad aver ricevuto l’approvazione episcopale. Il Vescovo Rhodes di Fort Wayne-South Bend ha infatti concesso l’imprimatur per questa applicazione.
(www.zenit.org)

7 febbraio 2011. Tassa sul tricolore
"Chi espone la bandiera dello Stato italiano rischia di dover pagare la tassa sulla pubblicità. A Desio il titolare di un albergo ha deciso di esporre davanti all’ingresso il vessillo nazionale e la bandiera blu dell’Unione Europea. La concessionaria che si occupa di riscuotere la tassa per conto dell’amministrazione comunale ha richiesto per il tricolore 140 euro di imposta. Per le due bandiere l’importo annuale richiesto è stato di 280 euro. Nonostante la marcia indietro del comune, dopo la diffusione della notizia, il problema interpretativo resta...”.
(tratto da "Balzelli d’Italia” scaricabile da www.confesercenti.it)

8 febbraio 2010. La Tunisia richiama i suoi riservisti
L’Assemblea nazionale tunisina ha sospeso il Partito dell’ex Presidente Ben Ali, il Rassemblement constitutionnel démocratique (Rcd), che verrà dissolto nelle prossime settimane. Se il Governo di transizione di Mohammed Ghannouchi sta cercando di portare avanti il cambiamento, la transizione in Tunisia resta però difficile.
Lo testimonia il fatto che il Ministero della Difesa ha richiamato, con un comunicato diffuso lunedì 6 febbraio, tutti i militari congedati tra il 2006 e il 2010 e i riservisti del 2008 e del 2009 a presentarsi, a partire dal 16 febbraio, "nei centri regionali di mobilitazione più vicini alle loro residenze”. Nessuna spiegazione è stata però data rispetto a questa decisione.
Più osservatori sostengono che con questa mossa il Governo sta cercando di mantenere l’ordine in Tunisia usando l'esercito, perché la polizia è stato un organo estremamente potente del passato regime. Il problema è che l'esercito tunisino può contare su 35.000 uomini, mentre si stima che la polizia -ai tempi di Ben Ali- ne contasse più di 100.000.
Dopo la caduta del vecchio regime, il 14 gennaio scorso ci sono state manifestazioni e disordini a Tunisi e nelle città circostanti. Ed è sempre stato l’esercito a intervenire per ristabilire l'ordine.
Da parte del Governo arrivano spesso voci di "complotto” contro la rivoluzione da parte di uomini vicini al partito dell'ex-Presidente, l’Rcd. Lo stesso Ghannouchi ha sostenuto che "ci sono delle persone che vogliono far tornare indietro il Paese”.
Intanto il Governo sta cercando di organizzare le elezioni (presidenziali e legislative), programmate nei prossimi sei mesi.
(Europa451)