6 luglio 2010. Mortalità
Una ricerca della Washington University, apparsa su Lancet, dà una buona notizia: la mortalità infantile sta rapidamente diminuendo nel mondo. Nel 2010 i decessi dei bambini sotto i cinque anni saranno il 35% in meno del numero registrato nel 1990. Paesi come l’Etiopia, pur scontando ancora un tasso altissimo (101 morti su 1000 nati), l’hanno visto dimezzare negli ultimi vent’anni.
Purtroppo, se la mortalità infantile è calata del 2% all’anno, Alex Saragosa, dalle pagine de Le Scienze, denuncia come si stia registrando un peggioramento nei tassi di mortalità tra i giovani adulti. In Grecia, Russia, Cuba e in altre 34 nazioni, gli adulti hanno più probabilità di morire oggi che nel 1990.
Le cause della morte prematura di 24 milioni di adulti l’anno sono da ricercarsi nell’aumento delle disuguaglianze economiche, nell’Aids e nel diffondersi di abitudini come fumo e alimentazione sbilanciata.
Ora la sfida è rendere la mortalità adulta altrettanto degna di interesse di quella infantile.
(Le Scienze)

7 luglio 2010. Bloody monday
Le reazioni seguite al rifiuto, da parte della Corte Suprema, di accettare il "certiorari” Vaticano mi fanno pensare che siano pochi gli italiani a conoscenza dei tortuosi meandri dell’appello americano. Senza entrare nei dettagli mi sembra importante far sapere che in quel paese l’appello non è un diritto costituzionale e che il primo grado conclude il procedimento sia civile che penale. La quasi totalità dei condannati americani ha patteggiato la pena e perso il diritto all’appello, ma solo una parte piccolissima dei condannati da una giuria riesce a farsi ascoltare da una Corte d’Appello (dove ci sono) o da una delle Corti Supreme Statali e, nel raro caso vi riescano, questo non significa il rifacimento del processo, bensì la revisione formale del verbale del dibattimento.
Per i condannati a morte gli appelli possono diventare una messa cantata pluridecennale, ma per gli altri la cosa si conclude piuttosto in fretta, tanto che su 45 milioni di procedimenti giudiziari (civili e penali) in appello ve ne sono meno di 300 mila. Anche la United States Supreme Court (Scotus), al vertice del sistema federale e sopra le corti supreme statali, non ha l’obbligo di ascoltare ogni richiesta che giunge al suo cospetto ed è solita farlo senza perdersi in chiacchiere. Il primo lunedì di ottobre è noto come "bloody monday” perché la Scotus inizia il suo "OT” annuale rigettando centinaia di "certiorari”, fra i quali vi sono moltissime richieste provenienti dal braccio della morte, arrivando a volte a seppellirne uno già accolto (DIGged: certiorari Dismissed as Improvidently Granted).
In definitiva, su 7-8 mila richieste d’appello la Scotus non emette più di 60-70 sentenze: il cosiddetto otto per mille della Corte Suprema.
(giusticlaudio@alice.it)

8 luglio 2010. Festival del pudore e del velo
Su Le Monde, Robert Solé ci racconta di un curioso Festival del pudore e del velo voluto dal Ministero iraniano della cultura e previsto a Teheran a fine luglio. La buona notizia è che le donne non sono più le sole a essere prese di mira, da quando anche gli uomini hanno cominciato a farsi i capelli. Alla caccia alla testa "mal velata” ora si aggiunge la caccia alla testa "mal pettinata”.
Le nuove disposizioni sono chiare: le "pettinature decadenti ispirate all’occidente sono bandite”, e così quelle a spazzola, all’irochese, alla Giovanna d’Arco, alla Tito. Nessuno è libero di fare ciò che vuole della sua testa: è permesso tagliare, rinfrescare, rasare a zero, ma non arricciare o ondulare. Niente banane e tanto meno code di cavallo. La depilazione delle sopracciglia è ugualmente bandita. Ma il governo non si accontenta di proibire, prescrive anche le capigliature adatte alla carnagione degli iraniani, alla loro cultura e infine alla legge islamica: capelli molto corti, con un po’ di gel se necessario. La circolare non precisa se lo shampoo è obbligatorio. Certo è, conclude sarcasticamente Solé, che i parrucchieri sono dispensati dal lavaggio del cervello: di quello preferisce occuparsi personalmente il potere.
(www.lemonde.fr)

8 luglio 2010. Richiedenti asilo

"In una soleggiata mattina d’aprile, un aereo decollò da una pista di Heathrow intorno alle 6.30, destinazione Sud. A differenza degli altri voli, questo non compariva nei tabelloni delle partenze dell’aeroporto. Nessun vacanziero o uomo d’affari a bordo. Al contrario, questo volo segreto portava 15 richiedenti asilo a cui era stata negata la domanda e che stavano forzatamente lasciando il Regno Unito per mano di 45 guardie private. Tra i passeggeri c’era anche Yves Yitgna Njitchoua, 34 anni, originario del Camerun”. Così comincia l’inchiesta di Billy Kenber pubblicata sull’Independent il 5 luglio in cui viene denunciato il discutibile sistema con cui la Ukba, l’autorità che controlla le frontiere in Inghilterra, gestisce i rimpatri dei richiedenti asilo respinti.
Secondo alcune testimonianze raccolte, il personale che "accompagna” i respinti nei Paesi d’origine applica metodi brutali. Amnesty International UK ricorda che chiunque adotti questi mezzi dovrebbe essere addestrato al pari delle forze di polizia che li impiegano abitualmente; invece, per lavorare come guardie private presso le compagnie che ottengono questi incarichi, neanche avere precedenti per violenza costituisce motivo d’esclusione.
Yves Yitgna Njitchoua, intervistato da Kenber, ha raccontato di essere fuggito per le persecuzioni politiche subite in Camerun. Da cinque anni attendeva il responso del giudice incaricato della sua richiesta d’asilo; nonostante una perizia medica che aveva certificato le torture subite in patria è arrivato il provvedimento di espulsione. Da lì in poi, Yves è finito nelle mani degli addetti della G4S, l’agenzia privata assoldata dall’Ukba per occuparsi dei trasferimenti dei respinti. Dopo aver dichiarato di non voler rientrare in Camerun, il personale addetto al suo trasporto ha confessato di voler prolungare il più possibile il viaggio -sono pagati a ore. Una volta in Kenya, gli addetti lo hanno malmenato e consegnato alla polizia locale; le sue condizioni, una volta imbarcato sul volo per il Camerun, erano tali che il pilota dell’aereo si è rifiutato di partire, a meno che non venisse fatto scendere. Fatto rientrare in Inghilterra, è stato nuovamente espulso a fine aprile, questa volta a bordo di un charter. I voli charter "speciali” vengono forniti dalle maggiori compagnie, e risparmiano ai passeggeri dei voli commerciali viaggi in compagnia dei "re­spinti” e delle loro scorte. Secondo Medical Justice, ente di beneficenza britannico, dal 2004 al 2008 ci sarebbero stati almeno 300 casi di maltrattamenti da parte degli addetti alla sicurezza.
(www.independent.co.uk)

9 luglio 2010. La stampa palestinese
I dirigenti di Hamas hanno affermato di aver bloccato quella che sarebbe stata la prima distribuzione di giornali provenienti dall’esterno nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ieri era pronto a far entrare a Gaza 10.000 copie di tre quotidiani palestinesi prodotti in Cisgiordania e Gerusalemme, ma Hamas si è opposto in nome di un mancato accordo sull’iniziativa. Voci sostengono che Hamas non lascerà entrare i giornale palestinesi della Cisgiordania fino a che il Presidente Mahmoud Abbas non lascerà entrare nel suo "fortino” i giornali legati ad Hamas.
(www.independent.co.uk)

15 luglio 2010. Preti on-line
In rete si moltiplicano anche i siti che offrono servizi "religiosi”. Su www.pretionline.it, si viene accolti col seguente messaggio: "Benvenuto in Preti on-line! Questo servizio vorrebbe avere due intenzioni: dare a chiunque la possibilità di mettersi in contatto con un prete. Forse molti hanno il desiderio di parlare con un sacerdote, per i motivi più diversi, ma non sempre ne hanno la possibilità: eccoci a disposizione! Favorire il contatto e lo scambio tra tutti i preti ‘internettari’ (ormai sono veramente tanti!). C’è l’esperto di Sacra Scrittura, quello di Teologia Dogmatica, quello che si occupa di Scouts, il vice-parroco alla prima esperienza... perché non dialogare ed aiutarsi nello svolgimento del nostro ministero?”.
(www.pretionline.it)

10 luglio 2010. Facebook e la morte
"Un giorno morirò, questa è l’unica cosa certa della mia vita. Quando accadrà, quando il mio cuore cesserà di battere e i miei polmoni smetteranno di respirare, il mio account su Facebook continuerà a esistere. I miei amici potranno ancora scrivere messaggi e vedere i contenuti da me inseriti. Ma davvero resterà tutto come prima? Non è detto. Qualcuno potrebbe segnalare a Facebook il mio decesso, e richiedere che il mio account venga trasformato in commemorativo o rimosso del tutto. Facebook ha predisposto un apposito form per effettuare la segnalazione. Stavo pensando a una cosa: per ovvi motivi non potrò essere io a segnalare la mia morte, ma penso che dovrei essere io a decidere il destino del mio account. Ora che sono viva, Facebook dovrebbe darmi la possibilità di esprimere la mia ultima volontà. Lo so, può sembrare una cosa macabra… ma un giorno spirerò, e subito dopo non potrò più decidere nulla. Questa è la realtà” (http://morganasuppo.wordpress.com).
Quello del destino del proprio profilo su facebook in caso di decesso è un problema che più di qualcuno inizia a porsi. Ne ha parlato anche Riccardo Campaci, blogger: "frequentando forum, chat, mailing list e social network spesso ci si chiede in che modo sia possibile scoprire della morte di qualcuno. Su Facebook, invece, non è così: se qualcuno muore, su Facebook la sua traccia resta persistente.
Il servizio di social networking mette infatti a disposizione degli utenti un apposito form di decesso. In questa pagina è possibile segnalare la morte di un amico o di un parente che purtroppo è venuto a mancare, indicando nome, data di nascita, potenziale indirizzo di posta elettronica, reti e relazione con la persona. Appurata come vera la segnalazione, Facebook trasformerà l’account della persona in account commemorativo: amici e parenti potranno sempre accedere alla pagina del proprio caro, per continuare a postare e a commentare in sua memoria, tenendo sempre vivo il suo ricordo.
Un’idea controversa che suscita reazioni opposte: poter lasciare una traccia di sé, o viceversa poter continuare a ricordare collettivamente anche in rete chi non c’è più, può sembrare una chance auspicabile.
Altri trovano invece eccessivamente macabra e forse di cattivo gusto l’idea di un cimitero di Facebook, atto a raccogliere tutte le persone decedute.

10 luglio 2010. Seveso 34 anni dopo
10 luglio 1976: è sabato, dal reattore dello stabilimento Icmesa posto al confine di Meda si sprigiona una delle nubi tossiche più famose della storia.
Nei 34 anni successivi, il lavoro febbrile di risanamento delle aree inquinate dalla diossina permetterà di immaginare e poi di realizzare quello che oggi è un parco naturale regionale, il Bosco delle Querce di Seveso e Meda: cinquanta ettari di boschi e prati che accolgono ogni giorno centinaia di visitatori.
10 luglio 2010: il bosco deve affrontare una nuova minaccia. Questa volta l’attacco non arriva da una fabbrica, ma dal cantiere di una autostrada, la Pedemontana, che passerà proprio a ridosso del bosco delle Querce portando nuove devastazioni ad un territorio soffocato. Infatti, sebbene le prescrizioni imposte dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) al progetto definitivo dell’autostrada abbiano scongiurato il rischio che un vasto lembo di bosco si trasformasse in area di cantiere e in svincolo autostradale, la grande opera porterà con sé comunque nuovi sbancamenti e distese di asfalto, ma anche nuovi appetiti immobiliari sulle poche aree non completamente cementificate. Il Parco Naturale nato sui terreni inquinati, dove tuttora si svolge attività di educazione per mantenere vivo quel ‘ponte della memoria’ che lega l’attuale bosco al grave disastro ambientale del 1976, rischia di rimanere un’isola all’interno di un oceano di cemento, se non verranno salvaguardati i collegamenti verdi verso le altre aree protette del territorio: a nord verso il Parco della Brughiera Briantea, a Ovest verso il parco delle Groane, e a Est verso il parco della Brianza Centrale che circonda i quartieri della città di Seregno.
Tra l’altro, nelle aree verdi appena oltre i confini del Bosco delle Querce, molto appetibili per la speculazione immobiliare, è stata rilevata la presenza di elevate concentrazioni di diossina. Anche per questo non devono essere consentiti nuovi cantieri, ed anzi occorre far diventare quelle aree le necessarie espansioni del Bosco delle Querce.

15 luglio 2010. Global Voices
Secondo un recente censimento, i single rappresentano il 39% della popolazione adulta marocchina, una delle più alte nella regione araba. Gli uomini sono in maggioranza, ma anche il numero di donne nubili è elevato, raggiungendo un sorprendente 33.3%. Si prova a speculare sulle ragioni dietro le discriminazioni subìte dalle donne e recenti sondaggi (tra cui il UN 2005 Arab Human Development Report) hanno concluso che, sebbene le credenze religiose possano spiegare certe limitazioni imposte alle donne, queste pratiche trovano maggiore riscontro nelle avversità economiche, la mancanza d’istruzione, l’assenza di democrazia e certe idee conservatrici. In Marocco la società è sorprendentemente tradizionalista: secondo un altro recente sondaggio quasi un marocchino su due ritiene che la nuova riforma del Codice Familiare, lodato a livello internazionale per le sue linee liberali, abbia garantito troppi diritti alle donne.
Samira è una blogger marocchina. Si descrive come "una ragazza vecchia, quarantenne, disoccupata e che vive ancora a casa con i genitori”. Samira condivide apertamente le sue esperienze giorno per giorno sul suo blog avviato da poco, Marocanication. Eccone uno stralcio:
Vivere con i genitori a 40 anni non è una situazione strana nella nostra società ed è inevitabile quando fai parte del sesso debole. In Marocco, fino a quando non trovi un marito sei trattata come una giovinetta, un’irresponsabile e una potenziale fonte di problemi. Oh! Proprio così! In un certo senso, tutto ciò non deve sorprendere in una società che reprime la sessualità e associa la libertà alla dissolutezza. Mi sono chiesta a lungo, come ogni altra donna, credo, perché gli uomini non subiscano simili restrizioni. Dopo un’approfondita analisi, ho deciso di mollare davanti a una scodella di Hrira (zuppa marocchina) in un giorno di grande depressione. Ma questa è un’altra storia. [...]
Mi viene da pensare proprio adesso alla libertà di quando si vive da soli. Ho trascorso la notte immaginando la scena di quando dirò loro che me ne andrò a vivere da sola. Mia madre mi guarderà con sdegno come se avessi fatto l’ennesimo stupido errore. E ciò non farebbe altro che ribadire l’assenza di rispetto nei miei confronti. [...]"Vecchia ragazza”: questa è una parola inventata quasi sicuramente da una donna, perché solo una donna sa come far male ad un’altra donna! [continua]
Global Voices è una rete internazionale di blogger che informano, traducono e sostengono i citizen media e i blog di ogni parte del mondo. L’articolo da cui è stato tratto questo brano è stato scritto da Hisham e tradotto da Letizia Bientinesi.
(http://it.globalvoicesonline.org)

21 luglio 2010. Permessi speciali
Il Guardian del 19 luglio racconta la battaglia di Tony Nicklinson, 54 anni, affetto dalla sindrome locked-in, detta anche sindrome del chiavistello. Si tratta di una rara condizione che impedisce i movimenti muscolari volontari. A chi ne è colpito resta solo la propria coscienza, con cui si ritrova "rinchiuso” dentro il proprio corpo. Tony non vuole più continuare a vivere, ma le limitazioni fisiche cui è soggetto gli impediscono di togliersi la vita; né vuole che la moglie rischi una condanna all’ergastolo per omicidio. E’ per questo che ha chiesto al Dpp (Department of Public Prosecutions, l’equivalente della nostra Procura della Repubblica), di emanare delle linee guida che tutelino la moglie dalle sanzioni previste dalla legge per i casi d’omicidio. Nel 2005, mentre era in viaggio d’affari ad Atene, Tony fu colpito da un’ischemia cerebrale estesa che lo ridusse nelle condizioni in cui si trova. Adesso confessa che avrebbe voluto morire in quel momento. Potendo tornare indietro non chiamerebbe nemmeno più l’ambulanza. L’immobilità totale gli impedisce di fare qualunque cosa. Non è un malato terminale, né è costretto a sopportare dolori lancinanti; è semplicemente stanco di vivere, e rivendica il diritto al suicidio, circondato dai propri cari; non vuole né "aggirare” la norma e andarsene in Svizzera, dove l’eutanasia medica assistita è legale, né morire di stenti, rifiutando il nutrimento liquido che gli viene somministrato due volte al giorno. Chiede una dispensa per chi l’aiuterà a morire. C’è un precedente, risalente a febbraio, che lo fa ben sperare, per l’ottenimento di questo "permesso speciale”: Omar Puente, marito di Debbie, affetta da sclerosi multipla, aveva chiesto e ottenuto dal Dpp una dichiarazione in cui il suo ufficio si impegnava a non procedere nei suoi confronti, qualora avesse assistito il suicidio della moglie. Ma il caso qui è diverso: Tony non può contribuire in alcun modo al suo suicidio: dev’essere ucciso, e in questi casi si procede come per i normali casi di omicidio. Di fatto, questa rappresenta l’iniziativa più audace della storia britannica per il riconoscimento del diritto alla dolce morte, perché non si limita a richiedere riforme per il diritto al suicidio assistito, ma cerca un ampliamento verso la nozione di "suicidio consensuale”. Le associazioni anti-eutanasia si sono scatenate. Care Not Kill, una di queste, ha affermato che si rischia di introdurre un pericoloso precedente di cui potrebbero abusare i familiari stanchi di accudire il proprio caro. Tony aspetta, ma non molla. Se va male con il Dpp, si rivolgerà direttamente al Ministero di Giustizia.
(http://www.guardian.co.uk/)

25 luglio 2010. Uno ogni cento
"L’America si distingue dalle altre nazioni per molte ragioni, molte delle quali positive. Uno degli aspetti negativi è invece la sua volontà di rinchiudere i propri cittadini. Un americano adulto su cento oggi giace dietro le sbarre (con il tasso che sale a uno su nove per i giovani neri). La sua popolazione detenuta, 2,3 milioni di persone, supera quella di quindici dei suoi stati. nessun’altra nazione ricca risulta così punitiva come la Terra dei Liberi”
(www.economist.com).

26 luglio 2010. In attesa di giudizio
Corrado Liotta, 44 anni, detenuto nel carcere "Cavadonna” di Siracusa, si è ucciso questa notte impiccandosi alle sbarre. Sembra che l’uomo sia morto all’istante, poiché nell’appendersi al rudimentale cappio che aveva fabbricato si è spezzato le vertebre cervicali. Fatto sta che i compagni di cella non si sono accorti di nulla ed il corpo senza vita dell’uomo è stato scoperto dall’agente di turno, che stava effettuando la conta alle 3 di notte.
Liotta era detenuto, in attesa di giudizio, nel Reparto "isolati” del carcere e già la settimana scorsa aveva commesso atti di autolesionismo, ingoiando lamette da barba. Era stato arrestato lo scorso 9 maggio dagli agenti della Questura di Siracusa, intervenuti per sedare un litigio scoppiato in un condominio: l’uomo, armato di un coltello e di un cacciavite, minacciava pesantemente delle persone chiuse all’interno di una stanza, chiedendo loro dei soldi. Da qui l’arresto, con l’accusa di lesioni e minacce, tentata estorsione e danneggiamento.
(Ristretti orizzonti)