Al convegno di Aaster, tenutosi a Rovato ai primi di luglio, abbiamo improvvisato un forum per discutere del “berlusconismo” e delle prospettive della sinistra con Aldo Bonomi, Carlo Formenti, Marco Revelli ed Enzo Rullani; per Una città coordinava Franco Melandri.

Una città. Volevamo cogliere l’occasione che ci offre il convegno dell’Aaster, per uno scambio di idee sull’esito delle elezioni, sul fenomeno “berlusconismo” e sulla situazione della sinistra, prendendo spunto dall’intervista di Aldo Bonomi comparsa nel numero 95 di Una Città.
Bonomi. Io mi limito a ricordare che nell’intervista sostenevo che il berlusconismo è un fenomeno dell’ipermodernità, nel senso che Berlusconi fa “biopolitica”. Se per questa intendiamo che siamo ormai in una società in cui è messo al lavoro il nostro pensare, il nostro sentire, la nostra memoria, la nostra capacità di autoriprodurci, eccetera, ebbene Berlusconi è certamente uno che interpreta questa fenomenologia rivolgendosi non più al popolo, ma ai singoli soggetti, soli. Da questo punto di vista la storiella trasformistica del Berlusconi-operaio, così come del Berlusconi-casalinga-Confcommercio-artigiano-ecc., che, certo, fa sorridere, segnala in realtà la capacità di interpretazione e di rappresentazione di una società sempre più segmentata. Ho dato troppa dignità al fenomeno Berlusconi come qualcuno mi ha detto? Non credo. La seconda tesi era che Berlusconi interpreta, ovviamente in una versione liberista e individualistica, quello che chiamavo il capitalismo personale. Partendo da queste due considerazioni, infine, individuavo il problema della ricostruzione della sinistra nel lavoro dal basso per ricostruire legami sociali.
Formenti. La mia sensazione non è tanto che Aldo Bonomi, utilizzando la categoria della biopolitica, abbia dato troppa dignità a Berlusconi, quanto che occorra forse una precisazione, e cioè che quella berlusconiana è una biopolitica dei poveri, dei poveri di spirito intendo. Cerco di spiegarmi. Berlusconi incarna, all’interno della provincia italiana, nel quadro della new economy globale, un settore tecnologicamente e culturalmente arretrato, che è la tribù generalista. Da questo punto di vista scontiamo il fatto di essere un paese che oggi vende ancora 6 milioni di copie dei quotidiani come negli anni 20; non si è mai schiodato da questa quota, una quota incarnata dagli strati di popolazione medio-alti, sia per reddito che per cultura. Il resto della popolazione è stato culturalizzato, è uscito, cioè, dall’analfabetismo grazie soprattutto alla tv.
Berlusconi ha avuto questa capacità straordinaria, geniale dal punto di vista imprenditoriale, di innovare tutto il sistema televisivo italiano, rompendo il blocco tecnologico-mediatico-produttivo formato dal binomio Rai-Democrazia Cristiana, e quindi individuando con grande fiuto le trasformazioni antropologiche e culturali dentro una base sociale che restava culturalmente e politicamente arretrata. E proprio su questo ha progressivamente costruito la sua fortuna politica, sulla capacità di interpretare una medietà, che è una medietà astratta, non concreta, ma in un certo senso funziona proprio per questo. E’ molto interessante, ad esempio, vedere quali sono i format televisivi che vengono importati e funzionano in Italia. Se l’America presenta una segmentazione di mercato fra uno strato medio-alto, che si orienta più sui media innovativi e sui consumi culturali elevati, e uno strato medio-basso che, dentro le nuove tecnologie, riproduce le dinamiche di broadcast, cioè di trasmissione da un centro a molti, ebbene, vedremo che purtroppo questo funziona in Italia.
Ora, di fronte a questa situazione, la capacità di reazione sul piano della comunicazione e dell’interpretazione della composizione antropologica italiana, la sinistra è stata disastrosa, nel senso che, da un lato, ha rincorso Berlusconi sul suo stesso terreno, essendo meno brava dal punto di vista imprenditoriale e comunicativo rispetto alla controparte; dall’altro, non ha fatto un lavoro che, a questo punto, era comunque un lavoro di medio-lungo periodo, difficile, di ricostruzione a partire da dei nuclei di aggregazione antropologica e politica e ideologica, alternativi. A questo punto le prospettive, secondo me, sono abbastanza nere, i tempi probabilmente si allungano e sono convinto che non basterà che la gente si renda conto che le promesse non vengono mantenute, che le cose non funzionano, che i treni continuano a ...[continua]

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