Roberto Beneduce, Centro Frantz Fanon - Servizio di psicoterapia per Immigrati, Rifugiati e Vittime della Tortura - Asl 1 - Torino
Il mio intervento vuole soprattutto mettere in rilievo alcuni aspetti, non soltanto riferiti all’oggetto, mutilazione sessuale, o alla donna africana, ma anche al “noi”.
Perché partire da noi? Sicuramente un etnopsichiatra se lo può concedere più facilmente di quanto non faccia un ginecologo o un pediatra. L’autorevolezza della medicina infatti non ha bisogno di ulteriori legittimazioni. L’etnopsichiatra, invece, proprio in virtù del tempo lungo della relazione, è quasi obbligato a chiedersi anche qualcosa di sé, delle proprie reazioni, dei propri sguardi sull’altro.
Premetto che non è in discussione, da parte mia, come credo della quasi totalità delle persone e degli autori di analisi di tipo antropologico, la necessità di combattere queste pratiche.
Cerco qui soltanto di proporre qualche riflessione. Noi sappiamo quali sono le ovvie complicazioni che derivano dall’aver ridotto l’apertura vaginale a un forellino nel quale non entra neanche un cotton-fioc. Non dobbiamo ripetercelo, lo sappiamo da vent’anni e più; gli organismi internazionali ci hanno documentato.
Allora, quello che bisogna probabilmente meglio articolare, proprio per assicurare una maggiore efficacia agli interventi è una riflessione sul come produrre strategie di intervento.
Sono molte infatti le campagne sanitarie fondate su una consistente, razionale, fondatezza medica e che però si impattano contro limiti inaggirabili nei paesi destinatari.
Pensate alle contraddizioni virulente, di cui troppo poco si parla, che oppone la chiesa cattolica all’uso del profilattico per la prevenzione delle malattie trasmissibili sessualmente. E allora cominciamo anche a interrogarci sulle linee di contraddizione, su talune ipocrisie che nel nostro discorso permangono e che secondo me devono essere illuminate.
Uno degli elementi che vorrei oggi sottoporre alla vostra riflessione riguarda una questione in cui indirettamente siamo stati coinvolti: l’avvicinamento ormai sistematico tra abuso infantile, sessuale o fisico che sia, e pratiche tradizionali nocive, ossia mutilazioni. Mi sembra questa una cosa altrettanto ovvia e scontata, quanto pericolosa. Cosa di più automatico e semplice del costruire un’equivalenza, anche giuridica, fra l’abuso dell’infanzia e queste pratiche?
In Belgio qualche anno fa si parlava appunto di includere le mutilazioni sessuali nello stesso ambito dei reati caratterizzati dall’abuso del minore.
A me questa inclusione giuridica preoccupa molto, perché sento ancora una volta il peso di una proiezione culturale massiccia e per di più inconsapevole. Perché se giuridicamente ci sentiamo sollecitati da un articolo o da un comma che unifichino argomenti, pratiche, esperienze, dolori così diversi, temo che così creiamo una mostruosità semantica.
Se per esempio ragioniamo aggiungendo, l’uno accanto all’altro, il problema della mutilazione, il problema della sessualità, della violenza e dell’abuso sul minore, creiamo un turbine semantico nel quale le differenze si perdono, senza che questo ci aiuti a individuare le cause dei problemi. Tra l’altro, se il messaggio rivolto alla prevenzione è accompagnato da una ideologia, quel messaggio probabilmente non verrà accolto; di più, in modo paradossale, si produrranno delle strategie di tipo opposto a quelle attese.
A quale ideologia implicita mi riferisco?
Quando si ascoltano certi discorsi o si vedono certi filmati, ancor prima della nostra testa, si muove il nostro corpo: noi proviamo un grande malessere di fronte a questi dati. Non so se però questo basti a spiegare il tipo di termini che si utilizzano: “pratica selvaggia”, “pratica barbara”. Io credo che il messaggio e l’ideologia che si veicolano non siano molto diversi dal messaggio che veniva veicolato nel periodo coloniale in quegli stessi paesi. Termini come “atrocità barbare”, “sado-rituali”, “violenze selvagge” non possono non evocare nell’interlocutore un brivido nel corpo, che li pone su un piano di opposizione irrazionale, istintiva, ma a mio avviso estremamente legittima e persino comprensibile.
Un altro rilievo terminologico. Se guardate bene, quando si danno le definizioni mediche di mutilazione, nulla vieta di includervi anche le pratiche di circoncisione maschile. Questo non viene fatto, per quale motivo?
La mia domanda, nella sua banale retorica, risulta provocatoria in ...[continua]

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