Nel corso del viaggio verso il campo profughi è evidente che più ci avviciniamo alla meta, più il panorama diviene desolato. A un certo punto siamo circondati soltanto da terra brulla e polvere, di cui è possibile avvertire perfino il gusto acre. Poi, poco prima di raggiungere il campo, ecco che ci appaiono le fabbriche di mattoni. Si tratta di edifici di fango, in cui si producono mattoni d’argilla. I lavoratori, molti ancora bambini, si affannano sulle distese di mattoni secchi e sono ricoperti dall’onnipresente polvere marrone. Ci verrà spiegato che gli operai sono tutti profughi, provenienti dai campi situati nelle vicinanze. In effetti, queste fabbriche di mattoni sono sorte proprio in seguito all’insediamento dei rifugiati in questa zona: isolati, bisognosi di tutto, i profughi costituiscono infatti un immenso serbatoio di manodopera a bassissimo costo, costretti ad accettare condizioni di lavoro disumane. Si tratta si uno dei tanti, strazianti aspetti del business dei rifugiati.
Le famiglie giunte con l’ultima ondata di profughi non sono numerose, a causa della carenza di abitazioni disponibili nel campo. Un’attivista di Rawa ci ha spiegato che l’ultimo luogo abitabile presente nel campo era stato da poco assegnato. Quindi, con le lacrime agli occhi, lei stessa ha dovuto respingere nuovi profughi in cerca di una sistemazione. La costruzione di nuove casette è ora ritenuta una priorità nel campo.
Fra le attività di Rawa vi è anche quella di recarsi nei campi di profughi di recente e recentissima immigrazione, per portarvi cibo e medicinali. Nonostante si tratti di un campo profughi presente sul territorio ormai da più di vent’anni, e la popolazione alloggi in piccole casette di fango -e non sotto teli di plastica svolazzanti senza nulla che copra la terra sottostante, come spesso accade nei campi allestiti per i nuovi rifugiati- la povertà e le mille difficoltà di vita della popolazione appaiono subito evidenti.
Le case che visitiamo sono poverissime, piccole, spoglie, spesso buie. In molti casi i pasti vengono cucinati in piccoli angoli allestiti direttamente sul terreno, un fuoco di legna che riscalda pentole annerite. L’acqua potabile, arrivata di recente, è distribuita da fontane collocate nei vicoli. Tuttavia, non mancano gli sforzi per abbellire le abitazioni, e ridare loro il sapore di casa: la presenza di un orto, di un cespuglio di fiori.
All’intero di un cortile, scorgiamo a un certo punto una donna anziana. E’ seduta, si copre il volto e piange a lungo, lamentandosi. Si tratta di una profuga recente, ci dicono. E’ disperata perché si trova in una condizione di completa dipendenza dagli altri, mentre in passato la sua famiglia era autosufficiente e prospera. Lasciamo la sua casa senza poterla consolare.
Arriviamo al campo profughi: come tutto il paesaggio circostante, è immerso nella polvere, causa prima di una diffusa, cronica presenza di malattie respiratorie, soprattutto fra i bambini e le bambine… Nonostante la povertà del campo, è evidente che al suo interno viene svolto un intenso lavoro costruttivo. Dentro c’è anche una scuola, che funziona regolarmente. Con pazienza, nel corso degli anni, le donne della Rawa hanno convinto le famiglie del campo a mandarvi i propri figli. Si tratta di un risultato molto importante, frutto di un lavoro difficile e delicato.
Il problema è anche quello del reddito. Alcuni lavorano fuori, nelle fornaci sorte appena dopo l’arrivo dei profughi. La difficoltà di convincere i profughi a mandare i figli a scuola è legato però al fatto che nella maggior parte dei casi i bambini e le bambine venivano tenuti a casa perché lavorassero al telaio, aiutando così la famiglia a mettere insieme il necessario per vivere. In molti casi, dunque, è stato necessario fornire alle famiglie un’alternativa al reddito procurato dai più piccoli, per favorire la frequenza scolastica di questi ultimi. Rawa ha così fornito a molte famiglie un telaio e ha garantito loro l’acquisto dei tappeti ad un giusto prezzo, preoccupandosi poi di rivenderli all’esterno.
L’associazione ha poi organizzato alcuni laboratori di cucito, in cui le donne, tantissime fra loro vedove, confezionano sciarpe e vestiti, acquistati, come i tappeti, direttamente da Rawa.
In cambio, e come condizione, è stato chiesto alle famiglie di mandare bamb ...[continua]
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