Nonna Mayer, ricercatrice politica al Cnrs, lavora presso il "Centro-studi sulla vita politica francese" a Parigi. Da vari anni si occupa del Front National.

Quanto è diffusa oggi la xenofobia in Francia?
Per indicare un atteggiamento di rigetto verso tutti coloro che sono diversi per religione, razza o cultura, preferisco usare il termine "etnocentrico", perché non è un termine peggiorativo, non contenendo al suo interno alcuna condanna morale. Si può dire che quasi un francese su due è etnocentrico e che uno su quattro lo è in modo molto pronunciato. D’altra parte, questo dato non deve stupire, perché le medesime proporzioni le ritroviamo nei grandi paesi europei che hanno una storia d’immigrazione e di impero coloniale: Inghilterra, Germania, Belgio, ecc.
Chi è più sensibile a questi sentimenti? Ci sono diversi modelli esplicativi del razzismo e dell’etnocentrismo. C’è il modello psicologico, ad esempio, secondo il quale si è razzisti perché nell’infanzia si sono subite frustrazioni da parte dei genitori.
C’è poi il modello psico-sociologico, secondo cui si è frustrati a causa del lavoro e di difficili condizioni di vita, che favoriscono il rifiuto delle minoranze, le quali divengono il capro espiatorio delle proprie difficoltà. Effettivamente, si può notare che i più razzisti sono i più pessimisti verso l’avvenire: spesso ad esprimere idee razziste o xenofobe sono gli operai, i disoccupati, i lavoratori manuali, oppure chi teme di ritrovarsi disoccupato.
Un altro fattore molto importante è il livello di scolarizzazione: più si è istruiti, meno ci si dichiara xenofobi o razzisti; ad esempio, fra gli intellettuali e gli insegnanti solo il 4%, circa, esprime opinioni xenofobe. Questa percentuale sale, però, fino al 40-60% in ambienti popolari, che, meno istruiti, sono più pronti ad accettare una visione semplificata, stereotipata del mondo, dove ci sono "i buoni" e "i cattivi", "noi" e "loro".
Un ulteriore fattore di diffusione è prettamente politico: storicamente vi sono delle ideologie portatrici di razzismo. Il cattolicesimo, ad esempio, è stato un vettore di antisemitismo. Oggi, il Front National è effettivamente un grande vettore di etnocentrismo: più si è vicini al Front National e alle sue idee, più si rifiutano gli immigrati, le minoranze. Se il 42% dei francesi dice che prova antipatia nei confronti dei maghrebini, questa percentuale raggiunge il 94% fra le persone che si dicono vicine al Front National. E a tutt’oggi, sebbene il programma del partito di Le Pen sia diventato un mattone di 426 pagine in grado di occuparsi di tutto: sicurezza sociale, lotta all’inquinamento, costruzione di un’Europa delle patrie, ecc., ciò che gli elettori ricordano di tutte queste pagine è l’idea che la fonte di tutti i mali della Francia sono gli immigrati, responsabili della disoccupazione, della criminalità, della diffusione della droga, della perdita dell’identità francese. Il tutto in nome della "preferenza nazionale", lo slogan che attraversa tutto il programma, ossia l’idea che per salvare l’identità francese bisogna riservare i posti di lavoro ai franco-francesi, che bisogna ridiscutere le naturalizzazioni concesse dopo il ’74, che bisogna creare quote di immigrati nelle scuole, creare casse pensionistiche separate: francesi da una parte, stranieri dall’altra.
Gli elettori che accettano questo programma si dicono: "La sinistra è stata al potere, ma non è riuscita a bloccare la disoccupazione; nemmeno la destra ci è riuscita. Chi rimane? Il solo che propone un’idea nuova e semplice è Le Pen!".
Ma attenzione: il Front National ha cambiato il proprio discorso nei confronti degli immigrati sia nei suoi programmi che nelle sue prestazioni televisive. Non insiste più sulla nozione di razza o di eredità, ma su quella di "cultura". Non dice più: "Siamo migliori di...", ma: "Sono diversi...", per cui non possono integrarsi alla nostra cultura, non avendo i nostri stessi valori.

Questo, però, non significa diminuire la loro cultura o considerarla inferiore: nel Front National troviamo, ad esempio, un’esaltazione della cultura araba o di un leader come Saddam Hussein, che Le Pen andò ad incontrare durante la guerra del Golfo con l’idea che l’Iraq fosse una grande nazione, mentre il Kuwait non era che il prodotto dei petrodollari. Nello stesso tempo, però, diceva agli immigrati arabi che lavoravano in Francia che il loro posto non era qui, ma a casa loro, nel loro paese, di cui dovevano andare fi ...[continua]

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