Chiara Frugoni insegna Storia medievale all’Università di Roma II. Ha pubblicato Francesco e l’invenzione delle stimmate (vedi intervista sul n. 34 di “Una città”) e Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, per Einaudi. Ha curato l’edizione illustrata dell’opera del padre, Arsenio Frugoni, Storia di un giorno in una città medievale, Laterza (vedi anche intervista sul n. 65 di “Una città”, oggi ripubblicata nel volume Burgen in Italien, Konemann). Il libro di cui si parla nell’intervista è Due papi per un giubileo, Rizzoli editore.

Potresti dirci intanto le ragioni che ti hanno spinto a scrivere questo libro sul Giubileo?
Trovandomi a Roma e insegnando all’università di Roma pensavo che sarebbe stato utile che i ragazzi sapessero cos’era il Giubileo, e vedessero anche i legami fra il primo Giubileo di Bonifacio VIII e quello attuale. Se leggiamo la Bolla dell’attuale Giubileo, l’Incarnationis mysterium, vediamo infatti che Papa Woityla si rifà proprio, citandola, alla Bolla di Bonifacio. Per certi aspetti non è cambiato niente.
Allora, innanzitutto: cosa vuol dire Giubileo?
Giubileo è una parola che deriva dalla lingua ebraica, vuol dire “corno di montone”, il cui suono dava inizio a una grande festa. E infatti nel Giubileo di quest’anno, non so se l’hai notato, a San Pietro il corno di montone è stato sostituito da una zanna d’elefante.
Questo per far risaltare il carattere universale della Chiesa, presente ormai in tutti i continenti.
Nell’Antico Testamento questa festa avveniva ogni cinquant’anni ed era l’occasione per la liberazione degli schiavi divenuti tali per debiti, e per la restituzione delle terre confiscate. Questo secondo una norma del Levitico, che in realtà non si sa se fu mai applicata.
Diventa evidente, allora, l’analogia che la Curia romana proponeva: così come nell’Antico Testamento gli schiavi ogni cinquant’anni erano liberati dalla schiavitù del corpo, la Chiesa offriva ogni cinquant’anni la liberazione dalla schiavitù del peccato.
Come avveniva questa liberazione dal peccato? L’idea del Giubileo è indissolubile dalla dottrina delle indulgenze?
In questo la dottrina della Chiesa è rimasta invariata: se uno va a confessarsi, il prete cancella la colpa del peccato, però rimane la pena. E’ come se un assassino ottenesse il perdono dai parenti della vittima: la colpa sarebbe cancellata, però l’assassino dovrebbe comunque andare in carcere a scontare la pena. Il meccanismo quindi è questo: io pecco, il sacerdote mi cancella le colpe e, però, io accumulo delle pene; quante siano, e cioè quanti anni io dovrò stare in purgatorio, non lo sa nessuno, lo dirà Dio. Però posso comunque diminuirle, cancellarle in parte, grazie a un motivo fondamentale: il fatto che Cristo, incarnandosi, ha portato una tale sovrabbondanza di meriti che in cielo si è costituito una specie di tesoro, alla cui crescita contribuiscono anche i santi, che si chiama, per l’appunto, la comunione dei santi. Quindi, è possibile attingere a questo enorme tesoro di meriti per cancellare un po’ di pene che gli uomini hanno meritato. E’ già evidente come quest’idea metta in moto un’economia molto mercantile, che ha nel meccanismo dell’indulgenza il suo motore.
Ora, l’uomo come fa a mettere in moto questo meccanismo?
Se uno ce la fa, con opere buone su questa Terra, ma, di solito, di pene ne rimarranno sempre abbastanza da garantire comunque una lunga permanenza in purgatorio dove, a quel punto, all’interessato non resta che la sofferenza per scontare le pene. Senonché chi resta sulla Terra può contribuire con preghiere e altro ad abbreviare il tempo che il trapassato deve trascorrere in purgatorio, così che questi possa andare prima in cielo.
La Chiesa, poi, a sua volta, poteva autonomamente cancellare queste pene, ma in maniera molto misurata. Per esempio: se uno faceva un pellegrinaggio e andava a visitare una chiesa, allora la Chiesa poteva dare quaranta o cento giorni d’indulgenza. Questo vale tuttora per chi entra in chiese con su scritto: “A chi varca questa chiesa confessato e comunicato quaranta giorni d’indulgenza”.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che di questo debito di pene che uno sta accumulando, di cui non conosce l’ammontare, vengono abbuonati quaranta giorni di opere buone che uno dovrebbe fare. Così cancella un pochino di pegno. Insomma, è un abbuono sulle opere buone che uno dovrebbe fare, non uno sconto sulla pena, perché quella non la conosce nessuno, ma si presume sia sempre esorbitante.
C ...[continua]

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