Sono nata e vissuta a Banja Luka, una città della Bosnia Erzegovina. Sette anni fa ho conosciuto in Jugoslavia, al mare, un ragazzo di Forlì. Ci siamo scritti e rivisti molte volte. Non parlavo italiano, perciò ci capivamo a gesti e parlavamo con i verbi all’infinito; anche nelle lettere i verbi erano solo all’infinito e io usavo un vocabolario... Gli piaceva molto Banja Luka e ogni volta si attaccava un po’ di più alla gente e alle cose che conosceva. Dopo un anno ci siamo sposati e sono venuta ad abitare in Italia. Non è stata una decisione difficile per me, perché quando vuoi bene a qualcuno vai in capo al mondo. E infatti non mi sono pentita di essere venuta in Italia, anche se nei primi tempi non è stato semplice cambiare le mie abitudini, la mentalità, il modo di vivere.
Puoi fare qualche esempio di ciò che hai dovuto cambiare?
I primi mesi son rimasta molto colpita dalla gente che appena sapeva che venivo dalla Jugoslavia si stupiva del fatto che "stavo bene". Erano certi, proprio convinti che nei paesi dell’est c’era solo povertà e si stava male. La Jugoslavia era certamente meno industrializzata dell’Italia, ma questo non vuol dire che ci fosse miseria e si stesse male. Quest’atteggiamento della gente era un colpo al mio carattere. Sono venuta in Italia perché amavo mio marito, non perché ero povera! Dopo sette anni posso dire di aver capito la mentalità degli italiani e che dietro quel modo di dire non c’era altro che il piacere che io stessi bene e non la voglia di umiliarmi. E infatti non ho mai avuto problemi, sono stata accettata e ho visto tante attenzioni nei miei confronti. Un’altra differenza importante è stato il rapporto con i vicini di casa. Da noi c’è un detto più o meno così: il vicino è più importante del fratello. Da noi c’è molta vita in comune. Dove abitavo io, alla mattina gli uomini andavano a lavorare e le donne si ritrovavano a casa di una, d’estate era sempre a casa mia perché nel cortile c’era l’ombra di un melo, e si prendeva il caffè insieme, si facevano delle chiacchiere. Nel pomeriggio, dopo il pranzo c’era il tempo per prendere un altro caffè insieme. Non si correva come qui, dove sembra che il tempo non basti mai. Alla sera poi tornavano gli uomini e a volte qualcuno portava della carne da mangiare tutti insieme, a volte qualcuno portava solo del vino e si faceva una bevuta. E poi c’erano le occasioni, come i compleanni, e allora si faceva festa e si cantava tutti insieme. Anche per i bambini era molto bello, perché erano tanti e c’era lo spazio per giocare. Ero abituata ad una vita abbastanza diversa da quella che si fa qui in un condominio. Adesso sono casalinga e mi sono impegnata ad imparare le tradizioni italiane. Faccio la pasta in casa e anche se sono mussulmana mi piace festeggiare il Natale e la Pasqua come fanno i cattolici.
Eri casalinga anche a Banja Luka?
No, lavoravo come cassiera in un supermarket statale. Ero abbastanza brava nel lavoro e ho fatto una piccola carriera da semplice operaia a vice capo di un reparto.
Dicevi prima che festeggi le ricorrenze cattoliche. Ti mancano quelle della tua religione e del tuo paese?
Sono stata sempre laica, i miei erano religiosi, ma io e mia sorella siamo state libere di scegliere. Da noi era abbastanza normale. Non saprei dire se a Banja Luka c’era una maggioranza di mussulmani o di ortodossi o di cattolici. Non ha mai avuto importanza, anche se adesso sembra che tutto quello che sta succedendo sia causato dalle religioni o dalle etnie diverse. Per caso una volta ho visto a Forlì un pullman di Belgrado e mi son fermata a parlare, pur sapendo che erano serbi. Io parlo volentieri con loro, non voglio subire questa violenza delle divisioni etniche o religiose. E una ragazza mi ha detto, parlando proprio di queste "percentuali", che tutto è andato bene finché qualcuno non ha cominciato a contare quanti mussulmani, quanti croati, quanti serbi c’erano lì e là. Io son cresciuta in una strada che finiva con quattro case, fra cui la mia: in queste case c’erano tre etnie e tre religioni, ma non c’erano divisioni, non c’erano steccati. Sono cresciuta tra bambini cattolici croati e bosniaci, serbi ortodossi e mussulmani come me e non c’è mai stato alcun problema, anzi avevamo l’abitudine di chiamarci fratelli fra di noi. Naturalmente c’era qualcuno, non fra gli amici più stretti, che covava una logica nazionalista, ma ha sempre avuto poco spazio, doveva tenersi per sé le sue idee. Quando è cominciata la guerra ...[continua]

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