Claudio Pavone ha scritto "Una guerra civile". Saggio storico sulla moralità della Resistenza. E’ ora impegnato nel progetto di un Museo delle Intolleranze e degli Stermini con sede a Roma.

Un Museo sulle intolleranze e sugli stermini nasce come testimonianza degli orrori del ’900 o, più in generale, come un excursus sugli scempi fatti dall’uomo nei vari secoli?
Questo problema è stato oggetto di discussione all’interno del gruppo che ha promosso il progetto che sta alla base della proposta di questo museo. La nostra intenzione non è quella di centrare tutto sul Novecento e sulla Shoa. Siamo infatti partiti dalla considerazione della necessità di dare all’iniziativa un respiro più ampio: ci è parso giusto dare risalto alla “tappa” dei duemila anni che verrà celebrata con il giubileo, senza però dimenticare che questa civiltà ha anche una faccia oscura, inquietante. Detto questo, è fuori discussione che partire da Diocleziano è impossibile e quindi una sorta di “selezione” è doverosa; in essa il Novecento occupa inevitabilmente un posto importante, anche solo per il semplice motivo che è più facile trovare materiali di documentazione, testimonianze.
All’interno dello spazio dedicato al nostro secolo poi, bisogna tener presente che l’evento della Shoa è la punta di un iceberg, nel senso che riguarda tutti e non può essere circoscritta ad una sorta di questione privata tra ebrei e tedeschi, visto che rimanda ad una riflessione ampia e generale sulle basi della nostra civiltà. In fondo questo è l’interrogativo che si è posto Browning nel suo libro “Uomini comuni”: come può un uomo comune arrivare ad essere lo strumento di un’attività così aberrante? Mentre a mio avviso è un po’ fuorviante il punto di vista di Goldhagen, trovo assolutamente inconcepibile che il tedesco in quanto tale sia portato ad odiare gli altri popoli.
Tale meccanismo chiama in causa, per contraccolpo, anche lo stereotipo degli italiani buoni; per questo Vittorio Foa ricordava giustamente come i tedeschi siano diventati una grande risorsa della coscienza italiana. Tornando al progetto complessivo, di un quadro più ampio in cui individuare alcuni eventi significativi, abbiamo pensato anche alle Crociate dove la logica di sterminio e d’intolleranza è simboleggiata in particolare da una frase estrapolata da uno scritto che raccontava la presa di Gerusalemme: “I nostri cavalcavano nel sangue dei saraceni che arrivava fino alle ginocchia dei cavalli”. Un’altra vicenda a cui daremo spazio è quella degli indiani d’America, in merito alla quale uno studioso dello spessore di Todorov ha scritto pagine fondamentali. Così come troveranno spazio la Santa Inquisizione e la strage degli armeni ad opera dei turchi.
Un punto collaterale al quadro che ho esposto, potrebbe essere quello che riguarda le stragi fatte nei paesi coloniali, distinguendo le stragi fatte dai colonialisti come, per intenderci, quella che fece Graziani in Etiopia, stragi che riguardano il “filone” occidentale, da quelle che gli extraeuropei si sono inflitte tra loro, come in Africa o in Cambogia. Comunque è nostra intenzione fare dei convegni, dei seminari preliminari, onde evitare una certa “arbitrarietà” delle scelte. Rispetto a questo abbiamo la possibilità di fare riferimento alle esperienze analoghe già avviate in altri musei, come a Lione, Washington, Gerusalemme.
L’aspirazione ad avere un respiro più ampio, induce anche ad una riflessione che individua il nocciolo della questione proprio nell’aspetto antropologico, ossia sulle ragioni degli stermini e dell’intolleranza, in quanto insite nella natura umana...
Credo che questo appello all’antropologia sia ormai una necessità di tutte le scienze storiche. In alcuni argomenti è più evidente, in altri meno. Per quanto riguarda le problematiche che vogliamo affrontare, credo che non se ne possa fare a meno. C’è poi da interrogarsi sulla relazione esistente, nel progetto di un museo come il nostro, tra un’indagine sulla natura umana e le situazioni storiche che hanno creato le condizioni perché il male prevalesse in maniera schiacciante sul bene, che pure c’è nell’uomo. Questo è accaduto anche in situazioni tra loro diversificate. Sono dunque convinto che il ricorso all’antropologia sia fondamentale, dobbiamo però stare attenti a non essere catastrofici, vedendo nell’uomo una tendenza irreversibile verso il male, né a lasciar prevalere un punto di vista facilone che, viceversa, vede negli uomini una bontà infinit ...[continua]

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