Maurizio Donadelli è vicepresidente della cooperativa Verso la Banca Etica e fa parte dell’ufficio di presidenza di Libera.

A che punto è la Banca Etica?
Nel mettere in piedi il progetto, sono emerse alcune difficoltà ampiamente previste, e che certo non devono far deflettere minimamente dal perseguire l’obiettivo; tra queste sicuramente primeggia quella legata alla raccolta di capitale sociale, dovuta alla scelta, tuttora condivisa, di andare a bussare a centomila porte invece che ad una o due piene di soldi, perché solo così si riesce ad avere una base sociale significativa e valida.
Questo strumento però, in futuro, dovrà essere in grado di conseguire risultati ben più impegnativi, primo fra tutti la formazione di un soggetto finanziario estremamente elastico e duttile, capace di rispondere ai continui cambiamenti della società.
Il concetto di banca etica che fin dall’inizio ho cercato di praticare intende valorizzare l’aspetto imprenditoriale, e nello stesso tempo essere l’occasione per un progetto culturale significativo. La banca etica, a mio avviso, non può e non deve limitarsi esclusivamente a stanziare finanziamenti a tasso agevolato verso cooperative sociali o associazioni del volontariato. Sarebbe riduttivo. Accanto al finanziamento, sarebbe opportuno ci fosse un vero e proprio accompagnamento delle realtà che chiedono un sostegno finanziario, con la possibilità di affrontare assieme i problemi di natura gestionale, burocratica, amministrativa, tributaria e fiscale, affinché chi comincia possa rendersi conto della complessità della nuova realtà verso la quale vuole indirizzarsi, ossia l’impresa sociale.
In estrema sintesi, la mia proposta è di affiancare al finanziamento un servizio di consulenza che permetta di sviluppare anche il livello culturale, facendo acquisire la capacità di mettersi in discussione a partire dalle problematiche che il lavoro quotidiano fa emergere.
Nell’ultimo anno, girando l’Italia per convegni e appuntamenti, ho registrato l’esistenza di molte esperienze nuove, che recenti studi e ricerche mostrano di aver recepito: si è cominciato a parlare di immigrati, di usura, di beni requisiti ai mafiosi, di enti locali e di welfare municipale
Ma tutto questo cos’ha a che fare col terzo settore?
La definizione di “terzo settore” comprende sia le cooperative sociali che le associazioni del volontariato, ma anche fondazioni e organismi vari. Ciò che va tenuto presente è che ci si può fossilizzare nel creare una risposta a un’esigenza già codificata, che, in quanto tale, è già vecchia. Bisogna inventare uno strumento che dia la possibilità di adeguarsi ai mutamenti, in modo da sapere come attivarsi in tempo reale, e con efficacia. E’ chiaro allora che anche il problema dell’usura, dei beni requisiti ai mafiosi e del welfare municipale appartengono ad un orizzonte che il terzo settore non può permettersi di trascurare. Tutto questo può essere fatto solo nella misura in cui veramente si creda, e quindi si investa, nella validità, nell’urgenza e nella necessità di impegnarsi in un progetto culturale, e di farlo assieme ad altre componenti sociali, magari trovandosi attorno ad un tavolo per studiare e ascoltare tutto quello che accade nel quotidiano, con la possibilità e la soddisfazione di poter dire, alla fine, di aver fatto qualcosa di imprenditorialmente valido e di culturalmente significativo.
Non c’è una diffidenza difficile da vincere verso l’impresa e le sue regole?
Da un recente studio che prende in esame 400 bilanci di cooperative sociali, risulta che tali realtà non hanno un’esigenza finanziaria così pressante come potremmo immaginare, perché hanno un preciso retroterra culturale, essendo figlie di un volontariato organizzato. Questo fa sì che molti imprenditori sociali si muovano con una notevole, se non eccessiva, cautela nell’uso del denaro, sia perché sono stati da sempre abituati a fare con quel poco che avevano a disposizione, sia perché non si fidano ancora di una gestione finanziaria che potrebbe apparire, soprattutto per chi non è esperto, azzardata e quindi fonte di incertezze. C’è quindi un atteggiamento molto prudente nei confronti del denaro, che viene dal passato. Oggi, però, si comincia a valutare l’ipotesi di sostegni finanziari per queste realtà, ossia di riconoscere le spese ai volontari o di remunerarli un minimo. Questo discorso presenta dei pro e dei contro: il pro è che finalmente viene riconosciuto il ruolo di chi ha delle buone id ...[continua]

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