Ugo Leone insegna Politica dell’ambiente alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli. Dal ’95 al ’97 è stato presidente del Parco del Vesuvio.

I provvedimenti introdotti dal ministro dell’istruzione sull’insegnamento della geografia e le proteste degli insegnanti ad essi seguite a suo avviso segnalano anche la necessità di aprire un dibattito sulla titolarità del sapere geografico...
Proprio in occasione di quelle proteste, il ministro Berlinguer disse una cosa con cui mi trovo in pieno accordo, ossia che è importante che vi sia nella scuola un sapere geografico. Lui però aggiunse: indipendentemente da chi lo insegna. Ecco, i professori di geografia degli istituti medi non possono concordare con questa affermazione, anche perché si vedono limitati nelle loro possibilità di lavoro; non è un caso che alcuni di questi siano stati costretti a riconvertirsi ad altre discipline, a scapito di quello che sapevano e presumibilmente anche di quello che vanno a insegnare, dati i tempi limitati per la riconversione.
Io francamente posso anche concordare sulla precisazione del ministro, però bisogna allora individuare chi è titolare del sapere geografico, e per fare questo è fondamentale intendersi su che cosa sia questo sapere. Perché se -come è stato erroneamente considerato in passato- si tratta di un sapere puramente nozionistico, allora obiettivamente chiunque può esserne titolare. E’ come se noi dicessimo che il sapere giuridico consiste nell’elenco delle norme esistenti nei vari codici, per cui non c’è bisogno di un giurista, basta prendere un codice e ciascuno se lo legge e cerca di interpretarlo. Evidentemente non è così: non si può risolvere il sapere geografico con un buon atlante o con ottimi testi come il De Agostini, la Garzantina, pensati per una divulgazione anche molto spicciola.
A questo punto credo, però, che si debba fare realisticamente un’autocritica per il modo in cui il sapere geografico è stato considerato in passato, perché questa è stata una delle cause di affossamento progressivo di una scienza e di un sapere che hanno ben altre caratteristiche. Voglio dire che nel passato la geografia è stata pigramente, passivamente, considerata sempre la stessa scienza della localizzazione territoriale dei fatti economici o umani. E certamente la geografia è anche questo, ma ritenere che possa essere sempre e solo questo le fa perdere quell’aspetto di dinamismo che è proprio di tutte le scienze. Del resto, proprio la perdita del suo aspetto dinamico non solo l’ha ghettizzata, ma ha fatto perdere uno specifico professionale a chi di quel sapere potrebbe essere titolare.
Nel momento in cui questo tipo di sapere scompare che danno ne ha la società?
In termini realistici, il danno è praticamente nullo se scompare un sapere al "lascia o raddoppia", perché se ci sono meno italiani capaci di ricordare quali sono le capitali, i fiumi, i laghi, ecc., certamente ci sono più ignoranti, ma, insomma, poco male.
Del resto, in un intervento al convegno del Cidi, Tullio De Mauro raccontava: "I miei studenti all’università non sanno dov’è la Bulgaria o il Portogallo; non sanno mettere in ordine cronologico Giulio Cesare, Carlo Magno e Napoleone". Ecco, questi sono sicuramente sintomi di ignoranza, ma si può ugualmente vivere senza fare tanto danno. Il problema è che questo non è il vero sapere geografico, ed è l’assenza di questo che può invece far danno.
Anni fa Italo Calvino, alla presentazione dei testi di geografia per la scuola media, pubblicati da Zanichelli, curati da Gambi, Sofri e altri, economisti, storici, pochissimi geografi, che a quell’epoca parevano di un’apertura rivoluzionaria, disse che l’ignoranza della geografia del paese che governano è una caratteristica che gli uomini di governo si trascinano dal Risorgimento in poi. E arrivò paradossalmente, ma in modo molto efficace, a proporre lo studio obbligatorio della geografia per ministri e sottosegretari.
Ecco, quello fu un richiamo importante, perché l’ignoranza della geografia da parte dei governanti è uno dei motivi per cui il nostro è un paese che, all’indomani di ogni calamità cosiddetta "naturale", poi spende migliaia di miliardi per mettere pezze, per tamponare falle. E quella è un’ignoranza che, appunto, non si può colmare con atlanti, carte, ecc.
Oggi, grazie all’importanza che viene data ai temi ambientali, l’ambito di questo vero sapere geografico si è potenzialmente molto allargato e q ...[continua]

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