Diego Marconi, filosofo del linguaggio e professore emerito presso l’Università degli Studi di Torino, è stato tra i primi in Italia a promuovere la collaborazione tra filosofi, scienziati cognitivi e informatici. Il libro di cui si parla nell’intervista è Il mestiere di pensare. La filosofia nell’epoca del professionismo, Einaudi 2014.

Nel libro Il mestiere di pensare cita la definizione della filosofia in termini di problematizzazione radicale.
Dire che la filosofia è problematizzazione radicale equivale a dire che la filosofia non deve dare nulla per scontato, è come si usava dire una volta: priva di presupposti. Il modello di questa idea di filosofia è Cartesio, che pensava di partire da zero. Anche Hegel ha pensato qualcosa del genere e ha fatto una mossa geniale. Cartesio non si era accorto che per il solo fatto di usare un linguaggio automaticamente si acquisisce tutta una serie di presupposti. Hegel invece ne era consapevole, ma pensava che queste assunzioni di principio nell’uso del linguaggio potessero essere in qualche modo neutralizzate attraverso l’uso del metodo dialettico, cioè mettendo via via in discussione tutto ciò che è implicito nel fatto di usare certe parole e di fare riferimento a certi presupposti. E quindi pensava di realizzare dinamicamente un sapere privo di presupposti, partendo da dei presupposti ma poi mettendoli in discussione ed eliminandoli. In realtà, probabilmente nessuna di queste due posizioni funziona. Nel libretto che ha citato, a sostenere che la filosofia è problematizzazione radicale è un ipotetico obiettore contro quello che io sostengo. Io non penso che la filosofia sia questo, se non nel senso debole che in filosofia si può mettere in discussione tutto. Ma ogni volta che si mette in discussione qualcosa si presuppone sempre qualcos’altro: non si può mettere in discussione tutto contemporaneamente. Io penso che la filosofia nuoti nel mare dell’esistente, partendo da quello che la gente pensa per lo più e mettendolo in discussione; la mia, se vogliamo, è una concezione socratica della filosofia, più che cartesiana o hegeliana.
Che cosa contraddistingue i problemi filosofici dai problemi di altra natura?
Ogni filosofo ha una sua teoria di cos’è un problema filosofico. Per me i problemi filosofici sono quelli che -almeno al momento- non hanno una risposta scientifica, e non ce l’hanno perché le domande cui si vuole rispondere, così come si presentano, non sono domande scientifiche.
Cioè non è che non hanno una risposta scientifica perché la scienza non ci è ancora arrivata. Ci sono tante cose a cui la scienza non è ancora arrivata, per esempio a stabilire se davvero la velocità della luce è la velocità limite dell’universo o se invece, come adesso sembra, ci sono galassie che si allontanano da noi a una velocità maggiore di quella della luce. Queste sono domande cui la scienza non ha ancora risposto, ma sono domande a tutti gli effetti scientifiche, nel senso che sono in qualche modo dimensionate sugli strumenti epistemici delle scienze naturali, della cosmologia, della fisica, a seconda dei casi. Poi ci sono domande che non si presentano come domande scientifiche, per esempio la domanda “Che cos’è il bene?”, come è stata posta nella tradizione filosofica: questa oggi non è una domanda scientifica, non c’è nessuna scienza che si occupa istituzionalmente di rispondervi. Ci sono scienze che si occupano di stabilire come siamo arrivati a pensare che certe cose siano buone o, per esempio, che sia male uccidere. Perché siamo arrivati a pensare che sia male uccidere (almeno altri esseri umani)? Ci sono i biologi evoluzionisti che danno risposte a domande di questo genere: ci siamo arrivati perché era adattivo che fosse male uccidere altri esseri umani; ci sono alcune difficoltà in questa risposta, ma sono difficoltà scientifiche. Ma la domanda “Come siamo arrivati a pensare che sia male uccidere altri esseri umani?” è diversa dalla domanda filosofica “Perché è male uccidere altri esseri umani?” o “È vero che è male uccidere altri esseri umani?”.
Allora uno può pensare che le domande circa cosa è bene, male, buono o cattivo siano semplicemente prive di senso, e conosco biologi che pensano precisamente questo. Però se non sono domande prive di senso, allora non sono domande scientifiche: sono domande filosofiche. Penso che le domande filosofiche siano caratterizzabili grosso modo come le domande che oggi non sono oggetto di nessuna scienza e non hanno l’ar ...[continua]

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