Manuela M. Consonni è a capo del Dipartimento di Studi Romanzi e direttore del Vidal Sassoon Centro Internazionale di Studi sull’Antisemitismo dell’Università ebraica di Gerusalemme. È autrice di libri e articoli sulla storia degli ebrei in Italia, sull’antisemitismo, sulla memoria della Shoah.

Tu vivi a Gerusalemme e insegni all’università. Volevamo chiederti come hai vissuto questi mesi difficili...
Questa guerra è stata diversa dalle altre, non tanto per l’avvicendarsi di missili e reazioni ai missili tra Israele e Hamas, ma per quello che è successo all’interno: ci sono state forti tensioni nelle città a doppia nazionalità, a Ramle, Lod, Akko, Haifa e Jaffa. E naturalmente a Gerusalemme.
L’università dopo quest’ultimo conflitto ha molto sollecitato gli incontri tra studenti palestinesi e studenti ebrei, perché poi ci sono anche i palestinesi israeliani. Il nostro rettore, Barak Medina, costituzionalista di fama internazionale, è molto sensibile a queste tematiche. L’invito a noi professori è stato dunque quello di creare occasioni di dialogo in cui i ragazzi e le ragazze potessero parlare di quello che hanno passato, di come hanno vissuto questi mesi. Ebbene, quando l’abbiamo detto ai nostri studenti -ce ne sono circa 85 nel nostro dipartimento e la metà sono arabi, perlopiù si tratta di studentesse- loro hanno risposto: “Ma noi già ci parliamo!”. È proprio così. Ne ho avuto conferma anche qualche sera fa quando li ho invitati a casa mia per la festa di fine anno.
È stata una bellissima serata, dopo tante tensioni. Saremo stati una quarantina. C’erano tutti i miei colleghi del dipartimento, le segretarie. Abbiamo ballato, abbiamo mangiato... e parlato.
All’inizio ero un po’ dubbiosa che sarebbero venuti visto che vivo nella parte ebraica della città, a Gerusalemme Ovest, dove ci sono stati molti problemi durante la guerra, ma anche già prima, a causa della folle manifestazione autorizzata dalla polizia con l’assenso del passato governo che aveva scatenato violente aggressioni verso gli arabi. Pertanto mi domandavo se i ragazzi se la sarebbero sentita. Avevo ordinato pizze per cinquanta persone, beh, sono finite!
Loro poi hanno portato i dolci, le torte; abbiamo fatto anche un brindisi con vino e coca cola. Alla fine io ero molto contenta, anche loro lo erano: hanno messo la musica araba ed ebraica, italiana e francese. Vederli ballare tutti insieme è stato per me e i miei colleghi di grande consolazione e di speranza. Erano felici di stare di nuovo assieme. È stato faticosissimo, però è stato anche molto bello.
Il padre di una studentessa non vedente di Bet Hanina, un quartiere arabo di Gerusalemme Est, l’ha accompagnata dicendomi che non sarebbe stata disposta a rinunciare all’incontro. Eravamo tutti insieme, chi con l’hijab, chi con la kippà, chi senza il velo, chi con una semplice fascia intorno ai capelli...
Comunque, ripeto, quello che abbiamo capito è che tra loro il dialogo non si è interrotto: si scambiano i compiti, c’è un gruppo whatsapp, si abbracciano, si siedono gli uni accanto agli altri ...
I palestinesi che frequentano il tuo corso dove vivono?
A Gerusalemme Est, nei quartieri di Shuafat, Bet Hanina, Sheik Jerak. Ma non sono cittadini israeliani, sono dei cosiddetti “residenti permanenti”, cioè non hanno il passaporto, hanno un laissez passer rilasciato dal ministero degli interni israeliano; formalmente sono cittadini giordani.
Devo dire che dopo la terribile vicenda dei tre ragazzi israeliani rapiti alla fermata dell’autobus presso l’insediamento israeliano di Alon Shvut a Gush Etzion, e la successiva rappresaglia da parte di facinorosi israeliani del ragazzo palestinese che è stato orrendamente assassinato, c’è stata una forte diminuzione di iscrizioni da parte di palestinesi israeliani che vengono dalle zone del Nord del paese: per questioni di sicurezza personale hanno preferito optare su Haifa. Il risultato è che oggi all’interno del 15% dei palestinesi iscritti all’università, la maggior parte provengono da Gerusalemme Est e sono “residenti permanenti”, appunto. Una situazione giuridica complicata che ha portato alcuni miei studenti a chiedere la cittadinanza israeliana.
Non è facile ottenerla, ma è possibile. D’altra parte, avere una residenza permanente implica che per uscire dal paese ci sia bisogno di un visto. Sono al corrente di tutto questo perché per le borse di studio estive per frequentare corsi di lingua in Italia o in Francia, gli studenti hanno ...[continua]

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