Alessandro Diana è docente all’Università di Ginevra. è membro esperto a “Infovac”, una piattaforma informativa sul tema dei vaccini e delle vaccinazioni in Svizzera.

Partiamo dal tema dei vaccini e in particolare del problema dell’esitazione, di fronte al vaccino, che hanno tante persone. Di questo, in particolare, lei si sta occupando da tempo.
Io sono un pediatra infettivologo e mi sono specializzato in vaccinologia clinica. Per quanto riguarda l’esitazione vaccinale, devo fare una premessa importante. Fino a dodici anni fa, quando un paziente mi diceva che aveva delle perplessità perché aveva letto delle cose su internet, mi irritavo molto e lo interrompevo subito, affermando che erano tutte balle e così via. Avevo già notato che spesso queste discussioni finivano male. I pazienti se ne andavano e non tornavano più. A volte poi si arrabbiavano moltissimo e io ci rimanevo davvero male. All’epoca ero un vaccinologo in erba. Poi, con una lunga riflessione durata molti anni, ho cercato un approccio diverso, ricorrendo alle neuroscienze e soprattutto alla metacognizione, per comprendere meglio quali siano i meccanismi della mente. Così ho capito che tutti possiamo esitare, che è legittimo e soprattutto che non puoi far cambiare opinione a una persona se la interrompi dopo diciassette secondi. A poco a poco ho assunto un’attitudine molto più tollerante, ho iniziato ad ascoltarli, a cercare di comprenderli, chiedendo loro di spiegarmi le loro preoccupazioni e i loro dubbi. Questo all’inizio mi ha anche causato problemi con alcuni colleghi, che mi dicevano: “Ma tu da che parte stai, fai il vaccinologo o stai con i novax?”. Quando non ti è ben chiaro quello che stai coscientemente pensando e quello che sai fare, a volte non hai tutte le risposte e così spesso io diventavo rosso come un peperone e rimanevo in silenzio. Meno male che poi ho trovato una documentazione nella letteratura scientifica e grazie alla metacognizione sono atterrato nel campo della intervista motivazionale che naturalmente non significa un colpo amicale sulla spalla, ma è una scienza e una tecnica studiate da Stephen Rollnick, la “Motivational interviewing technique”, sviluppatasi negli anni Ottanta per sostenere tutti quei medici in difficoltà con la dipendenza da alcol dei pazienti. Dire per esempio: “Signora lei deve smettere di bere, le fa male al fegato”, non sortisce alcun effetto. L’etilista è cosciente che l’alcol gli fa male, il fumatore è cosciente che il fumo lo danneggia, ma con questi interventi non lo aiuti; l’approccio è molto più psicologico, devi capire prima di tutto se lui vuole cambiare qualcosa e cosa rappresenta per lui l’alcol o il fumo.
Può raccontare della metacognizione e della intervista motivazionale?
La metacognizione, fondata dallo psicologo americano John Flavel, è la scienza cognitiva che studia il pensiero umano, il modo in cui ragioniamo e costruiamo i nostri pensieri.
Questa scienza è quindi utile per il medico per comprendere meglio il paziente esitante al vaccino. La metacognizione ci informa in particolare sui meccanismi di errori logici che possiamo commettere. La semplice lettura di un titolo di un articolo scientifico che mette in dubbio un nesso causale tra il vaccino contro il morbillo e l’autismo, ad esempio, potrebbe portare un lettore (e persino un esperto) a concludere per un collegamento certo, senza nemmeno aver letto o compreso il contenuto dell’articolo.
Mentre gli operatori sanitari generalmente pensano alla soluzione migliore per i pazienti, l’approccio metacognitivo implica guidare il paziente a esplorare il proprio pensiero. Confrontarlo con i suoi dubbi, le sue contraddizioni e i suoi pregiudizi cognitivi, può portarlo ad avviare un processo di cambiamento. Il colloquio motivazionale utilizza strumenti di comunicazione, riflessione, domande aperte per supportare il paziente in un clima di non giudizio e di fiducia, per esplorare insieme a lui la sua ambivalenza e per poterla eventualmente risolvere.
Si basa su quattro principi fondamentali.
Primo, dimostrare empatia: il medico risuona emotivamente con il paziente e accoglie le sue emozioni e considerazioni senza giudizio, cercando di sviluppare un legame autentico e una relazione alla pari da persona a persona (e non in un rapporto d’autorità).
Secondo, sviluppare divergenze: dopo aver esplorato le opinioni del paziente e ottenuto il suo consenso a trasmettere informazioni, il medico evita di opporsi con una replic ...[continua]

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