Silvano Esposito, medico infettivologo, ha tenuto per quasi quarant’anni il corso di Malattie Infettive alla Seconda Università di Napoli e poi all’Università di Salerno. Ha lavorato al Policlinico di Napoli ed è stato primario d’infettivologia a Salerno. Ha fondato la rivista “Le infezioni in medicina”, che è diventata l’organo ufficiale della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali”.

Hai trascorso gran parte della tua vita a studiare le malattie infettive. Puoi parlarcene?
Alla prima lezione del corso di laurea di Malattie Infettive, mi presentavo sempre così: “Sono il professore Silvano Esposito e sarò il vostro docente di malattie infettive per questo anno accademico. Per conoscervi meglio, vorrei chiedervi: quanti di voi pensano di diventare infettivologi alla fine del proprio percorso universitario?”. Bene, nessuno alzava mai la mano. In effetti era una risposta prevedibile perché le malattie infettive sono sempre state una disciplina negletta, povera, che nessuno vuole intraprendere. Tutti, una volta laureati, vogliono fare i cardiologi, i pediatri, gli ortopedici, perché oltre a essere branche affascinanti della medicina, permettono anche di guadagnare bene. Io però aggiungevo sempre: “Comunque pensateci bene. È vero che nell’immaginario collettivo questa viene considerata una disciplina di nicchia, ma da tempo sui media non si parla d’altro che di malattie infettive”. Questo ovviamente lo dicevo prima del Covid. Molto prima dell’attuale pandemia, già si parlava nelle rubriche specializzate e non, in tv, sui giornali e sui social network, molto più di vaccini, di meningiti batteriche, di Ebola, di Zika, di malaria, di morbillo, piuttosto che di altre patologie.
Diciamo che il Covid in qualche modo si è “vendicato” di questa percezione che le malattie infettive fossero una disciplina di serie B.
Le malattie infettive sono tutt’altro che scomparse. Purtroppo quest’idea delle malattie infettive come secondarie rispetto a tutte le altre ha portato, negli ultimi 15-20 anni, a una riduzione di posti letto nei reparti di quest’area medica. L’ho potuto constatare direttamente a Salerno, dove i colleghi che andavano in pensione non venivano sostituiti e il numero di medici di ruolo si è ridotto a meno della metà. Anche i posti letto di malattie infettive, inizialmente cinquanta, sono diventati prima trenta e poi quindici; una dinamica che si è ripetuta un po’ in tutte le città d’Italia, e questo malgrado i segnali di allarme che arrivavano con l’emergere di nuove malattie infettive, soprattutto in Asia.
Come si definiscono le malattie infettive?
Le malattie infettive sono tutte quelle malattie che trovano origine in un agente patogeno. Gli agenti patogeni in natura sono di cinque classi: batteri, virus, protozoi, elminti (cioè i vermi, come la tenia) e funghi. Le malattie infettive hanno una grande incidenza nella morbilità e mortalità mondiali. La polmonite batterica o virale e la diarrea infettiva in età pediatrica sono le prime cause di mortalità nel mondo.
Nell’ambito delle malattie infettive, si sono venute a creare una serie di “sotto-specialità”, sia dal punto di vista della ricerca che dell’assistenza medica. Per cui c’è, tra gli infettivologi, chi si interessa prevalentemente di Aids, chi di epatiti, ecc. Un’area importante, che è una vera e propria specialità, è quella delle malattie tropicali (tra cui la malaria, la dengue, la febbre gialla, le infezioni da virus Zika, ecc.), soprattutto per via della grande mobilità e dei fenomeni di immigrazione.
In era pre-Covid, quella che negli ultimi 15-20 anni si è andata maggiormente sviluppando è stata la sotto-specialità delle infezioni nosocomiali: infezioni e resistenze batteriche e micotiche che si sviluppano negli ospedali. Purtroppo esistono centinaia di esempi: infezioni delle vie biliari dopo un intervento di colecistectomia, infezioni di protesi valvolare dopo un intervento di cardio-chirurgia, osteomieliti dopo un intervento ortopedico... Le infezioni ospedaliere sono particolarmente gravi perché i batteri risultano già “selezionati” nell’ambiente nosocomiale, sono batteri “opportunisti” che possono provocare infezioni in soggetti debilitati o immunodepressi. È una questione di diluizione della carica batterica: a differenza che nella comunità, in ospedale tutto si concentra, soprattutto nelle terapie intensive dove i pazienti sono in respirazione assistita. Qui, il rischio di sviluppare un’infezione nosocomiale (p ...[continua]

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